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di Gennaro Fucile
Io canto l’auto elettrica,
ma c’è qualcosa di stonato

Pentiti di tutto il mondo unitevi potrebbe essere un possibile claim per questi strani tempi odierni. Dai fumatori ai comunisti, gli ex si contano a milioni, ma sono ben poca cosa di fronte agli ex inquinatori del pianeta che oggi faticosamente, un passo alla volta, rivedono il loro stile di vita, si ravvedono e adottano pratiche di vita quotidiane più consone al suo stato di salute. È una lunga marcia, chiaro, iniziata tortuosamente, disturbata anche da velleitarie pretese di rivoluzione (verde) e segnata da polemiche, contestazioni e scetticismi. Ora, però, iniziano a muoversi quelli che contano, per fortuna, spazzando via quella spessa crosta di indifferenza sotto cui la gente comune, il popolo, i cittadini, i consumatori, i lavoratori o come si vogliano chiamare le grandi masse, ha vivacchiato, fregandosene altamente dell’inquinamento, del pianeta e della salute. Per fortuna le imprese, che un tempo si chiamavano capitalistiche, ma che in realtà non sono altro che materne figure che ci coccolano, ci viziano e ci curano, al punto di aver anche insozzato il pianeta e le anime che lo abitano, pur di renderci felici, quelle stesse aziende, oggi dicono basta. Lo dichiarano convinte, facendo seguire alle parole i fatti, quasi in ossequio a quel loro irriducibile nemico di Treviri, l’ebreo tedesco Karl Marx. Ricordiamolo, lui, nel 1848, scriveva a proposito della borghesia che: “non può esistere senza rivoluzionare di continuo gli strumenti della produzione, quindi i rapporti di produzione, quindi tutto l’insieme dei rapporti sociali”. Oggi la nuova rivoluzione si chiama sviluppo sostenibile e il giorno di Capodanno è andato in onda uno spot esemplare, che riassume meglio di mille saggi di sociologia che cosa sta avvenendo in questa fase avanzata del buon vecchio capitalismo. Uno spot di novanta secondi, uno spot parlato per parafrasare Miguel de Oliveira, un manifesto, proprio come quello del filosofo di Treviri. Vale la pena di riportare integralmente quel testo:

“C’è mai stata una invenzione più bella di quella dell’automobile? Da quando esiste ha reso la nostra vita più piacevole ed ha contribuito alle grandi rivoluzioni della società. Ma oggi è ancora in sintonia con la società? Perché qualcuno può viaggiare mentre altri possono a malapena spostarsi? Perché il piacere di alcuni deve pesare sulla vita di altri? Perché godere della nostra vita oggi, implica una minore qualità della vita domani? Noi di Renault crediamo che sia ora di cambiare le cose. Crediamo che il piacere di un viaggio non debba essere solo di chi guida ma di tutti quelli che lo circondano. Crediamo che sicurezza non significhi utilizzare manichini nei crash test, ma impegnarsi per salvare persone e vite. Crediamo che il riscaldamento del pianeta non sia solo una questione di gas di scarico, ma una sfida da affrontare nella sua totalità: prima, durante e dopo. Crediamo sia ora di diffondere l’auto elettrica. Perché ci guidi di nuovo verso un futuro diverso, nel rispetto delle persone e della vita. Renault. Drive the change. Renault vi augura un felice anno nuovo”.

Eccola l’azienda che condivide con le persone, con la sua gente, ovvero con tutti i suoi possibili clienti e testimonial, affanni e timori, speranze e sogni. L’azienda tipo del capitalismo cognitivo ha come ideologia la coscienza verde, ambientalista e imprenditoriale: lo sviluppo sostenibile, appunto, che in altre parole sta a significare come rendere conciliabile il mercato e il profitto con la salvaguardia di un pianeta continuamente spremuto. Un’ideologia privilegiata e non esclusiva – in questo senso le imprese interpretano il concetto di flessibilità che esigono dal proprio capitale umano –, poiché, dove è necessario, si torna in un batter d’occhio alle maniere forti. Ideologia che si sta facendo largo tra piccole e grandi imprese grazie alla sua convenienza. Costa, beninteso, come ogni riconversione degna di questo nome, ma iniziano già a vedersi i primi benefici economici, l’ottimizzazione dei costi, il risparmio di risorse naturali e, al tempo stesso, consente di elaborare strategie di comunicazione in grado di attingere alla risorsa immaginaria inesauribile del bene del pianeta, del genere umano, del futuro dei nostri figli e altre buone cause, autentiche, ovvio, ma che – come sempre – vengono espropriate per trasformarsi in materia prima buona per innovare anche sul piano dell’ideologia. Intendiamoci, un’auto elettrica, non inquinante, è preferibile a quelle odierne, una fabbrica non tossica è migliore di un serbatoio di veleni e la lista dei lapalissianismi potrebbe continuare, ma qui non si contestano scelte produttive, bensì si ammira la capacità di ribaltare le cause e gli effetti, l’esemplare metamorfosi in anime belle, un apprezzamento che non si limita certo al solo settore auto e non importa come davvero sarà il verde futuro, è la visione del mondo che conta, la Weltanschaung del novello biocapitalismo. Si pensi a quell’autentico capolavoro di marketing operato dalla Chiquita, ben prima che si teorizzasse il green marketing, di cui fiore all’occhiello è il Chiquita Nature & Community Project, nell’ambito del quale è stata realizzata la Riserva di Nogal, oasi naturalistica situata nel corridoio biologico di San Juan/La Selva in Costa Rica all'interno di un'area adibita a piantagione di banane. Si pensi a  come, analogamente, ha iniziato anche a fare la multinazionale svizzera Nestlé con una linea di caffè che ha ottenuto dal Fair Trade Foundation l’organo di certificazione del Fair Trade inglese, la concessione del marchio Fair Trade (Commercio Equo e Solidale), oppure, ancora, al ribaltone di MacDonald’s, che in Italia prova a farsi catena di ristorazione paladina del prodotto tipico e quindi alfiere del km0. Quasi uno sberleffo al sociologo George Rtizer, che ha fatto della macdonaldizzazione del mondo un sinonimo di globalizzazione e nella sua accezione peggiore, s’intende. Così va il mondo, una volta tragedia e dopo farsa. Quarant’anni fa il picco del maggio francese si registrò quando gli operai occuparono gli stabilimenti Renault a Cléon, Flins, Mans, Boulogne-Billancourt. Oggi la rivoluzione vede in prima fila il management della Renault. Prima tragedia, poi farsa. Chi lo diceva? Sempre lui, il filosofo di Treviri.