Un incontro ravvicinato con la fantascienza. Leggere Philip
José Farmer non è altro e non è poco,
poiché speculazione e intrattenimento, qui perfettamente
saldati, regalano effetti vertiginosi. Provare con il ciclo Riverworld
per credere: “Sebbene alcuni nomi della serie del Mondo del
fiume siano immaginari, i personaggi erano o sono reali. Magari non
venite menzionati ma ci siete anche voi” (Il grande
disegno). È andata proprio così, Farmer
ha reso tutti noi personaggi di una sua storia. Nessuno ha mai osato
tanto, non si registra niente del genere in letteratura. Dante
azzardò una bozza di questo ambizioso progetto, ma si
limitò a prendere in considerazione un numero più
ristretto di persone, dovendo considerare
l’umanità vissuta in un arco temporale
più ristretto. A rigor di logica ogni scrittore si avventura
su questa strada e nelle sue creazioni fa rientrare ipoteticamente un
certo numero di esseri umani reali. Ognuno di noi, in fondo,
è un potenziale personaggio dentro una storia che qualcun
altro potrebbe scrivere. Fin qui, siamo nell’orizzonte
ordinario della letteratura e non ce ne allontiamo di molto se
allarghiamo la cerchia dei potenziali personaggi ad un buon numero di
terrestri nostri simili. Quando però tutti, ma proprio tutti
gli umani sono presupposti in una storia, beh, allora siamo di fronte
ad una vera esagerazione, lo stile di Farmer, l’autore di
questa storia sconfinata chiamata il Ciclo del fiume,
saga in cinque romanzi principali più diverse storie
affluenti. Tutto si svolge su un immenso pianeta dove tutta la razza
umana dalla preistoria fino a pochi decenni dopo il Duemila
è risorta contemporaneamente. Oltre questo duemila e
qualcosa imprecisato, l’umanità si è
estinta in seguito al primo contatto avuto con gli alieni. Dalla
resurrezione sono esclusi tutti i minori di cinque anni. Tutti si
ritrovano sulle rive di un fiume lungo circa 32 milioni di chilometri,
circondato da alte pareti scoscese che impediscono di allontanarsi e
obbligano alla percorrenza del corso d’acqua per gli
spostamenti. In totale sono 36.006.009.637 di persone, resuscitate dai
misteriosi Etici, una superciviltà, avanzatissima
scientificamente e parimenti progredita sul piano tecnologico. Nel
conto è compreso Farmer, che vezzosamente si cela dietro il
nome di Peter Jairus Frigate (si notino le iniziali), ma basta sentirlo
parlare per conoscere la sua vera identità: “Le
serie erano la sua specialità, nei sogni e nella narrativa.
Una volta, durante la sua carriera di scrittore, aveva avviato ventuno
serie. Ne aveva completate dieci. Le altre stavano ancora attendendo,
incompiute, quando il grande redattore dei cieli le aveva
arbitrariamente censurate tutte” (Il grande disegno).
Frigate non è il principale personaggio di questa commedia
(post)umana, ruolo che spetta a Sir Richard Burton, esploratore e
scrittore, scopritore del lago Tanganica e traduttore delle Mille
e una notte. Altre prime stelle ingaggiate sono Samuel
Clemens, meglio noto con lo pseudonimo di Mark Twain, Hermann
Göring, il fondatore della Luftwaffe, Alice Pleasance Liddel
Hargreaves, che ispirò a Lewis Carroll le storie di Alice
in Wonderland, Giovanni d’Inghilterra, il
Senzaterra, fratello di Riccardo I d’Inghilterra, Cuor di
Leone, e ancora, Jack London, Tom Mix, il re vichingo Erik il
sanguinario, Cyrano de Bergerac, Mozart e Li Po. Una capatina la fa
anche Gesù, ma a lui Farmer dedicherà un romanzo
a parte (non del ciclo), inquietante quanto basta: Cristo
marziano. Nel Mondo del fiume si
può tornare a morire ma si è immediatamente
resuscitati in un altro punto del pianeta. La corrente vitale che
attraversa tutte le principali storie farmeriane è, infatti,
l’idea di immortalità, un’autentica
ossessione, e scrivere cicli di lunga durata dona all’idea
stessa di lunga durata una consistenza materica, quantomeno cartacea.
Scrivere, o più precisamente riscrivere. Già, ci
sono scrittori di fantascienza che fanno coppia fissa con un concetto:
Isaac Asimov è tutt’uno con le sue leggi della
robotica, William Gibson con il virtuale, Philip K. Dick con i
simulacri, James Ballard con l’inner space, Samuel Delany con
la linguistica. Philip Jose Farmer è la riscrittura, dunque
la fantascienza stessa e, a ben vedere, la letteratura tutta.
Può essere eccessivo, è vero, ma in che altro
modo ragionare intorno ad uno scrittore spesso privo del senso delle
proporzioni, che ha sempre voluto strafare, esagerare, facendosi beffe
di tutto e di tutti, dei generi, delle regole, delle norme, dei
tabù. Un autore smisurato, che ha rapito tutti gli eroi di
cui è stato fan e accanito lettore per arruolarli nelle sue
storie, o meglio riprendendo/riscrivendo quelle storie innumerevoli
altre volte. Quella di Farmer è una visione pantagruelica
della letteratura: da un lato ingurgita storie in porzioni gigantesche
e dall’altro ne cucina di altrettanto colossali, variando le
ricette originali, aggiungendo qui un po’
d’avventura in più, lì qualche
spruzzatina di psicoanalisi, là qualche farcitura dotta, o
aromi sessuali alieni, piuttosto che condimenti esotici. Farmer
è un riscrittore. “Voglio riscrivere tutte quelle
vecchie storie che amavo tanto nella mia fanciullezza e anche in
gioventù”, dichiarò in
un’intervista rilasciata a Paul Walker. In questo modo,
Farmer ha costruito la sua personale carta dell’impero, con
la stessa consapevolezza borgesiana che tutto ormai è stato
detto e che non resta altro da fare che trovare godibili combinazioni
nella Biblioteca di Babele. L’operare di Farmer è
un agire divino, costruisce mondi dal nulla e li disfa con altrettanta
disinvoltura, è un fabbricante d’universi come poi
finirà per intitolare un altro suo celebre ciclo. Giusto un
accenno, per ricapitolarlo. Il ciclo dei Fabbricanti
d’universi è un wargame giocato dai
Signori degli universi, esseri quasi immortali. Nei loro universi,
tramite speciali trattamenti, sono fermi all’età
di 25 anni, possono però morire di morte violenta. La loro
età varia dai 10.000 al mezzo milione di anni. Dopo
così tanto tempo l’unico piacere che dà
la vita è quello di rischiarla combattendo altri Signori per
sottrarne i domini. I loro cosmi privati, costruiti in base ai gusti
personali di ciascuno, sono una sorta di dimensioni parallele
artificiali, che comunicano in determinati punti tra loro, attraverso
porte che si “schiudono” solo per mezzo di
particolari chiavi: i corni. Perdere i corni è un guaio, si
è votati all’isolamento, non è
possibile, infatti, costruirne. La loro nozione del tempo è
andata perduta col passare del tempo insieme a quasi tutta la scienza
dei Signori. Gli universi sono artificiali, la stessa Terra
è artificiale, un universo creato da un Signore. Nel quinto
romanzo della serie, Il mondo di Lavalite, la
metafora del colpo di scena, dell’aleatorietà del
codice della scrittura, almeno di quella fantascientifica e della
stessa opera farmeriana, prende definitivamente forma. “Non
siamo creatori più di quanto lo siano i narratori o i
pittori. Anche loro fanno mondi, ma non riescono mai a fare di
più di ciò che sanno. Possono scrivere o
dipingere mondi basati su elementi noti, messi insieme in un ordine
diverso, in un modo che li fa apparire come creatori”. (Il
mondo di Lavalite). L’universo tascabile di
Lavalite ha un aspetto mutevole, strutture geologiche che cambiano
incessantemente. Le montagne si innalzano dalle pianure, o sprofondano
creando burroni nell’arco di una nottata. Nascono oceani
estesissimi in pochi giorni e ricoprono depressioni sorte dal nulla in
poche ore. A giocare con i Signori c’è anche
Farmer che qui mette in scena la più genuina proiezione di
come avrebbe voluto essere, Kickaha, ovvero Paul Janus Finnegan (ancora
le iniziali aiutano), superuomo dedito solo
all’attività ludica per eccellenza, il gioco per
il gioco dell’avventura spericolata. Il nume dietro Fabbricanti
d’universi è l’amatissimo
Edgar Rice Burroughs, creatore del primo immortale della fantascienza,
John Carter eroe di un ciclo marziano, e autore di Tarzan, il
personaggio prediletto da Farmer. Gli dedicherà diversi
romanzi tra cui Lord Tyger (con il memorabile
incipit: “Mia madre è una scimmia, mio padre
è dio”) e L'ultimo dono del tempo,
forse il suo romanzo più scriteriatamente smisurato, viaggio
indietro di 14.000 anni nel tempo ad opera di un Tarzan, alias John
Gribarsdum, demiurgo della storia umana. Sempre Tarzan
suggerirà poi il genere delle biografie fittizie con Tarzan
Alive: A Definitive Biography of Lord Greystoke da cui
germinerà il terzo grande ciclo farmeriano, meno strutturato
ma altrettanto ambizioso, quello dell’universo Wold
Newton, dove si presuppongono parentele aliene che legano
insieme una combriccola stupefacente, comprendente tra gli altri, Doc
Savage (la sua biografia apocalittica è
l’altro tassello di partenza), Philip Marlowe,
Arsène Lupin, James Bond, Nero Wolfe, Phileas Fogg, il
Viaggiatore nel tempo di H.G. Wells e Sherlock Holmes. Strange
Relations si intitola una sua bizzarra pentalogia
di racconti a sfondo erotico/psicanalitico/fantascientifico, titolo che
si apprezza appieno in questa chiave. Analisi,
ragionamenti, studi: lasciamoli da parte. Capire il gioco di Farmer
comporta l’affidarsi alla fantasia più che alla
ragione. Ripetiamolo, Farmer è un riscrittore e nei migliori
omaggi alla sua opera non viene esplicitamente citato, come la serie Lost,
una variazione ben temperata sul tema principale del Riverworld,
la resurrezione, così come nel fumetto Den
di Richard Corben, che incarna letteralmente l’eroe
farmeriano, guerriero atletico e sessualmente prorompente (anche Corben
ebbe grattacapi con la censura). Oppure gli omaggi arrivano da cultori
del suo metodo, il citazionismo di Quentin Tarantino, esemplare in tal
senso. Logiche postmoderne, di cui Farmer è autorevole
precursore. Per saperne di più sulla sua opera,
insomma, non occorre rileggersi pagine e pagine di critica letteraria,
di commenti, appunti, dubbi ed elogi, studi a loro volta provocanti,
intelligenti, oppure troppo interne alla logica del fandom. Per
approfondire, comprendere, rendersi conto in prima persona è
sufficiente… ritrovarsi sul Mondo del fiume,
incontrare e parlare direttamente con gli autori che hanno ispirato
Farmer, quelli da cui ha preso a prestito personaggi e situazioni.
Impossibile? No, noi ci fidiamo di Farmer: come tutti gli scrittori che
finiamo per amare, anch’egli è un amico di lunga
data, e la fiducia è il principio costitutivo
dell’amicizia. Non abbiamo seri motivi per non credergli, per
non ritenere possibile che una volta risvegliati sul Mondo del fiume
saranno inevitabili incontri straordinari con persone che abbiamo
conosciuto personalmente o con cui si sono intrattenute relazioni
virtuali, come quelle che produce la lettura di un romanzo, ad esempio.
È solo questione di tempo. Certo oltre 36 miliardi di
persone che si spostano danno luogo ad un numero finitamente grande di
combinazioni non sono una cosuccia da poco, ma avendo a disposizione
l’eternità e dunque l’infinito (sul Riverworld,
come si è detto, si muore ma si resuscita inesorabilmente),
prima o poi ci troveremo faccia a faccia con chiunque. Il campo si
restringe, di poco ma si restringe, se intentiamo una ricerca, una Quest
come quella che gli eroi farmeriani tramano lungo migliaia di pagine.
Bisogna pagar pegno, certo, si deve morire, come accade ogni volta che
si termina un libro, per poi risorgere in un altro di cui si inizia la
lettura, per restare al gioco farmeriano della metafora. La nostra
ricerca si restringe, dunque, perché diamo inizio ad
un’avventura e questo è un lavoro per eroi,
appunto, in genere anche un pizzico fortunati, almeno gli eroi moderni,
quelli popular, meno oppressi dal senso tragico, più inclini
all’avventura per l’avventura, Indiana Jones, per
intenderci personaggio genuinamente farmeriano. Scegliendo a caso,
marciando, riposando e riprendendo il cammino senza sosta (sul Riverworld
siamo tutti dei ventenni privi di acciacchi, fisico sano,
forte, vitale), cercando indizi, incontrando altre
personalità che esulano dalla ricerca, potremmo fare due
chiacchiere con John Lennon, Petrarca, Keplero o Massimo Troisi, per
poi riprendere la caccia, finché, un giorno (non
c’è dubbio, il passaggio è ellittico),
eccoci al primo incontro ravvicinato, e non è dei
più semplici, perché Kurt Vonnegut è
ancora piuttosto di malumore per il beffardo scherzo tiratogli in Venere
sulla conchiglia firmato da un personaggio inventato da
Vonnegut, Kilgore Trout, protagonista de La colazione dei
campioni e di Cronosisma, apparso per la
prima volta in Perle ai porci e poi ricomparso in
altri romanzi di Vonnegut quale personaggio marginale. Lo stile
nell’occasione era a là Trout, la stampa ci
cascò, attribuendo la storia a Vonnegut, Farmer se la rise,
ma Kurt se la prese parecchio e richiese di rimuovere dalla copertina
la firma abusiva, ma tant’è, il romanzo
è un pastiche funambolico da non perdere. Gli uomini,
però, sono imperfetti, non sono mai definitivamente eroi,
quindi meglio filarsela, prima di riaprire una vecchia (?) piaga, lui
Vonnegut Jr. probabilmente ancora non l’ha digerita. Via
dunque, meglio girare alla larga, chissà, può
capitarci di tutto (solo morire qui non ci spaventa) conviene tenersi a
distanza anche da altri scrittori, dichiaratamente coinvolti da Farmer,
come Herman Melville, poiché l’Ishmael di Pianeta
d’aria arriva da Moby Dick, o
Dostoevski tirato in ballo direttamente ne L’inferno
a rovescio, altra storia di resurrezione, oppure artisti
indirettamente trascinati nelle sue saghe, come William Blake; i nomi
dei Signori degli universi arrivano dalla mitologia del visionario
poeta inglese, oppure l’altro Burroughs, William, nel cui
stile crudo, secco, fulminante, adrenalinico si racconta (ancora una
volta) di Tarzan, ne Il dannato figlio della giungla
impasticcato. Conviene guardarsi anche dal papà di
Dracula, Bram Stoker, visto che razza di vampiri
circolano nei porno-horror fantascientifici L'immagine della
bestia e Nelle rovine della mente. In
questa giungla di firme letterarie ci si perde, poiché i
rimandi ramificano a vista d’occhio e crescono rigogliosi.
Oppure, al contrario, seguendo piste già battute ci si
imbatte nei soliti nomi, si riparla delle eredità ormai
certificate, delle suggestioni dichiarate dallo stesso Farmer, o
riportate alla luce da quanti si sono cimentati in una lettura critica.
Meglio allontanarsi, facendosi guidare solo dalle suggestioni che
attraversano le pagine farmeriane, il solo criterio, per altro, che
consente di definire grande uno scrittore. Ebbene, alcuni indizi ci
riportano alle origini della carriera di Farmer, ai primi anni
Cinquanta, quando negli Usa, parallelamente al benessere economico, si
affermano i primi sogni di massa consentiti dal tempo libero e armate
di turisti vengono colonizzate da immagini di terre esotiche, prima di
colonizzare a loro volta quei territori. Dall’Africa alle
isole del Pacifico, si moltiplicano le visioni di terre aliene,
misteriose, forse anche pericolose. C’è una grande
colonna sonora che accompagna queste immagini. La si
chiamerà Exotica, con una serie di
successive o parallele declinazioni, lounge music, cocktail music,
elevator music, bachelor pad music. Un metagenere pop, il primo che
giocherà con i suoni operando con la medesima logica
permutativa che Farmer dispiegherà nelle sue opere. Musica
che farà perno sull’attrazione, sul timore e
dunque ancora sull’attrazione che il diverso agita, e
differente dai generi codificati era certamente l’exotica,
con quel continuo miscelare canti di uccelli, cascate di sezioni
d’archi, coloriture timbriche, ritmi latino-americani, come
il cha cha cha o il mambo, insieme a polke, ballate pop, canzoni
d’amore del Pacifico, temi da musical, jazz,
sonorità quasi rock (&roll) e folk. Una vicenda che
prende le mosse grazie soprattutto ad un’eroina e due eroi:
Yma Sumac, Les Baxter e Martin Denny al quale si deve il conio del
termine Exotica. Sono gli anni in cui Farmer scrive e pubblica Gli
amanti di Siddo (1952) storia scandalosa all’epoca
per il mondo della fantascienza, storia di sesso tra un uomo e
un’aliena, insomma la rottura di un tabù: quello
sessuale. Uno strano incontro era avvenuto proprio due anni prima tra
la Sumac e Les Baxter. Lei, all’anagrafe Zoila Augusta
Emperatriz Chavarri Del Castello, era dotata di
un’incredibile estensione vocale ben oltre le quattro ottave
e la leggenda la vuole discendente di Atahualpa, ultimo re degli Incas.
Sulle Ande la sua voce inizia scalate impossibili fuori dai teatri
d’opera. Lui, texano, sassofonista e arrangiatore si fa le
ossa in band locali fino ad arrivare a suonare con Mel
Tormé. Nel 1950 i due si incontrano sotto l’egida
della Capitol. Nasce l’album The Voice of Xtabay,
titolo di cui potrebbe benissimo fregiarsi un romanzo del sottogenere
fantascientifico space opera, e la suite omonima è un vero
canto alieno che agita nello shaker ritmi sudamericani e impressionismo
orchestrale e su tutto si leva la voce/strumento della regina andina.
Il terzo eroe di questa saga, Denny, aveva come teatro per le sue
operazioni le Hawaii, dove intratteneva turisti. Sua la versione di
quello che divenne l’inno di tutta la scena, Quiet
Village, che però era un brano di Les Baxter. La
versione di Denny nacque – narrano sempre le leggende
più o meno veritiere – perché, durante
un’esecuzione nel locale dove si esibiva con il suo combo, il
pubblico apprezzò molto l’effetto speciale,
involontario, procurato dal gracidio delle rane proveniente da un
vicino stagno. Il giorno dopo i musicisti si presentarono con
fischietti, richiami per gli uccelli e strumenti esotici, certi di
poter contare anche sul gracchiare delle rane. Fu un successo e da
lì nacque l’idea di insaporire con suoni alieni di
questo tipo brani come Quiet Village, hit poi
contenuto nel primo album di Denny datato del 1957, Exotica.
La copertina dell’album poi è il segno di
un’epoca, con una misteriosa e seducente fanciulla e per
cornice una tendina di bambù. In realtà, la
ragazza era più che occidentale, una modella, Sandy Warner,
con anche una modesta carriera di attrice. La si ricorda in un paio di
episodi di Ai confini della realtà e in
uno di Perry Mason. Realizzò una dozzina
di copertine per Martin Denny e finì per essere ribattezzata
Miss Exotica. Per tutti gli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta
queste strane musiche che sembravano provenire da mondi lontani,
perduti e comunque misteriosi, impazzarono ovunque, avvolgendo
l’intero pianeta, diffondendosi via via che si sviluppavano
anche strumenti di riproduzione sonora più sofisticati,
culminanti con l’avvento dello stereo, o strumenti proto
elettronici come l’ondioline. Di entrambi se ne fece alfiere
un altro fabbricante di questi universi musicali, il pianista e
direttore d’orchestra Juan Garcia Esquivel, che
già nel 1956 pubblicava un eloquente Other Worlds,
Other Sounds. Sono gli stessi anni che vedono nascere il
progetto dell’Arkestra di Sun Ra che, arrivato da Saturno,
inizia a tracciare da Chicago rotte che collegano l’Africa e
le stelle. Farmer non era all’oscuro di tutto questo, essendo
come tutti fruitore di quelle che allora erano nuove musiche:
ascoltatore attento, ne raccoglieva le atmosfere e le ricambiava nelle
sue storie, che spostavano i confini del genere. Il genere non
sparì all’improvviso come i dinosauri, ma si
estinse ugualmente in tempi brevissimi. Il meteorite in questione che
si schiantò sul pianeta si chiamava The Beatles, ebbe un
impatto catastrofico: segnava il cambio della guardia tra una
generazione e un’altra. Diversi indizi, però,
inducono a sospettare che il tutto sia una vicenda, un capitolo del Wold
Newton. Riprendiamo il Diario segreto di Phileas
Fogg e annotiamo che, nel capitolo XIV del Tour,
Passepartout, il fido compagno di Fogg si reca in un negozio
dall’insegna sospetta: Farmer & Co. Che cosa accade
all’interno del negozio? Mistero. Altro
dettaglio da considerare: il Reform Club (dove si scommise
sull’impresa del giro del mondo) si trova in Savile Row.
Curioso, cinque anni prima dell’uscita del Diario segreto, in
quella strada, aprono gli uffici della società Apple. I
titolari sono quattro e vengono da Liverpool: John Lennon, Paul
McCartney, George Harrison e Ringo Starr. La storia inizia
all’alba del 1968. I quattro lasciano la Parlophone (Emi),
fondano una propria casa discografica, la Apple appunto, e lanciano
altre attività collaterali, la Apple Elettronics, la Apple
Tailoring e uno store Apple, aperto a Londra nel West End, a Baker
Street. Un negozio di abbigliamento in perfetto stile psichedelico. Una
scommessa che sembrava vinta in partenza e invece la Apple fece fiasco,
solo l’etichetta discografica accompagnò The
Beatles fino allo scioglimento. Il resto chiuse dopo neanche otto mesi.
In una mattina di fine luglio del 1968, i quattro passarono per Baker
Street, presero qualcosa dallo store e poi decisero di regalare tutto.
Una giornata di ordinaria follia a Londra, con una ressa gigantesca per
arraffare tutto l’arraffabile. La fine è nota, i
Fab Four si separano e vanno a suonare sul tetto
dell’edificio di Savile Row che ospita gli uffici della
Apple. È il 30 gennaio 1969. Eseguono Get Back,
“Torna indietro”. A chi si rivolgono? Mistero, ma
quattro anni dopo esce il Diario segreto di Phileas Fogg,
forse scritto da Farmer, o magari dallo stesso Verne, oppure da Phileas
Fogg, anche se l’ipotesi è smentita da Farmer
proprio in chiusura della storia, rendendosi conto del sospetto che
possono agitare le iniziali P ed F, comuni all’autore e al
personaggio di Verne. Scaviamo più a fondo. Joseph Conrad
affermava che un autore scrive solo metà di un libro, in
quanto dell’altra metà se ne deve occupare il
lettore. Forse l’autore è il Farmer del negozio
visitato da Passepartout, o qualcuno che si trovava in
quell’emporio, magari un fabbricante d’universi,
proprio come quelli inventati da Farmer. Forse il segreto si cela in
Savile Row dove apparve Fogg e sparirono The Beatles, una porta di
comunicazione tra universi più o meno assurdi. Congetture,
bisogna ammetterlo, ma fondate su testimonianze attendibili, dirette,
fornite dagli stessi protagonisti. Sospetti, per accertarli si deve
continuare a cercare nel favoloso Mondo del fiume,
scovando qui e là i vari Les Baxter, John Lennon, Jules
Verne e tutti gli altri, interpellandoli. Non bisogna però
aspettarsi risposte definitive, ma ulteriori indizi, inviti al
proseguimento della ricerca. Si deve continuare a cercare.
Dove? “Non
potevamo dirgli tutta la verità, ed è
più facile inventare una completa bugia che una mezza
verità. E poi, io sono Kickaha, il
‘kickaha’, l’ingannatore, il creatore di
fantasie e di realtà, io sono l’uomo che i confini
non possono trattenere... Me ne vado, e dove appaio e quale
sarà il mio nome lo sanno in pochi!”. Dove? Nella
propria testa, naturalmente.
:: letture ::
Ad esclusione dei titoli contrassegnati con asterisco, tutti i
libri di P.J. Farmer sono attualmente fuori catalogo
— Farmer
P:J., Fabbricanti di universi, Nord, Milano 1974.
Comprende i primi quattro romanzi della serie Fabbricanti di universi:
Il fabbricante di universi (The Maker of Universes, 1965), I cancelli
dell’universo (The Gates of Creation, 1966), Un universo
tutto per noi (A Private Cosmo, 1968), Le muraglie della Terra (Behind
the Walls of Terra, 1970).
— Farmer
P:J., Il mondo di Lavalite (The Lavalite World, 1977), Nord,
Milano 1979. Quinto romanzo della serie.*
— Farmer
P:J., La macchina della creazione, (More Than Fire, 1993), Nord,
Milano 1994. Sesto romanzo della serie.
— Farmer
P.J., La rabbia di Orc il Rosso (Red Orc's Rage, 1991), Fanucci, Roma,
1995. Libro collegato alla serie Fabbricanti di
universi.
— Farmer P.J., Riverworld.
Il Mondo del Fiume:
— Il fiume della vita (To Your
Scattered Bodies Go, 1971), Arnoldo Mondadori Editore,
Milano, 1994.
— Alle sorgenti del fiume (The
Fabulous Riverboat, 1971), Arnoldo Mondadori Editore, Milano,
1994.
— Il grande disegno (The Dark Design,
1977), Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1994.
— Il labirinto magico (The Magic
Labyrinth, 1980), Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1995.
— Gli dei del fiume (The Gods of
Riverworld, 1983), Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1996.
— Il mondo di Philip José Farmer (Riverworld
and Other Stories, 1979), Editrice Nord, Milano 1981.
Raccolta di racconti ambientati nel ciclo del mondo del fiume.
— Gli avventurieri di Riverworld, Editrice
Nord, Milano, 1994. Contiene: Parte prima (Crossing
the Dark River in Tales of Riverworld,
1992); Parte seconda (Up the Bright River
in Quest to Riverworld, 1993); Coda
(Coda in Quest to Riverworld,
1993). Tales of Riverworld e Quest to
Riverworld sono due antologie che raccolgono racconti
ambientati nel ciclo del mondo del fiume scritti da autori diversi da
Farmer (eccetto che per i tre racconti raccolti in questa antologia). I
rimanenti racconti sono inediti in italiano.
— Farmer P.J., L'immagine
della bestia (The Image of the Beast,
1968), Fanucci, Roma, 1994.*
— Farmer P.J., Nelle
rovine della mente (Blown, 1969) Fanucci,
Roma, 1995.*
— Farmer P.J., Primo
contatto (Traitor to the Living, 1973),
Editrice Nord, Milano, 1993.
— Farmer P.J., Cristo
marziano (Jesus on Mars, 1978) Editrice
Nord, Milano, 1992.
— Farmer P.J., Tarzan
Alive: A Definitive Biography of Lord Greystoke, Doubleday,
1972 (non tradotto in italiano).
— Farmer P.J., Doc
Savage: una biografia apocalittica (Doc Savage: His
Apocalyptic Life, 1972) in I Massimi della Fantascienza,
Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1992.
— Farmer P.J., Notte di
luce, Editrice Nord , Milano,1976. Raccolta dei racconti di
padre John Carmody composta da: Notte di luce
(prima parte di The Night of Light, 1957); Un
viaggio di poche miglia (A Few Miles,
1960); Prometeo (Prometheus,1961);
Il giusto atteggiamento (Attitudes,
1953); Il padre del pianeta (seconda parte di The
Night of Light).
— Farmer P.J., L'inferno
a rovescio (Inside-Outside, 1964), in I
Massimi della Fantascienza, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1992.
— Farmer P.J., Lord Tyger
(Lord Tyger, 1970), in I Massimi della Fantascienza,
Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1992.
— Farmer P.J., Pianeta
d'aria (The Wind Whales of Ishmael ,
1971), Fanucci Editore, Roma, 1988.
— Farmer P.J., L'ultimo
dono del tempo (Time's Last Gift, 1972),
Libra Editrice, Bologna, 1974.
— Farmer P.J., Il diario
segreto di Phileas Fogg (The Other Log of Phileas
Fogg, 1973), Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1999.
— Farmer P.J., Venere
sulla conchiglia (Venus on the Half-Shell,
1974 - inizialmente pubblicato sotto lo pseudonimo Kilgore Trout),
Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2004.
— Farmer P.J., Relazioni
aliene (Strange Relations, 1960), Fanucci
Editore, Roma, 1973.
— Farmer P.J., Il dannato
figlio della giungla impasticcato (The Jungle Rot
Kid on the Nod, 1968), in Cristalli di futuro,
(a cura di) Norman Spinrad, La Tribuna, Piacenza, 1976.
:: ascolti ::
— AA.VV., Music for a Bachelor's Den, Vol. 2: Exotica,
Dcc, 1995.
— AA.VV. Ultra-Lounge, Vol. 1: Mondo Exotica,
Capitol, 1996.
— AA:VV, Ultra-Lounge, Vol. 3: Space Capades,
Capitol 1996
— Les Baxter, Ritual of the Savage/The Passions
(With Bas Sheva, Rev-Ola, 2006.
— Les Baxter, The Exotic Moods of Les Baxter,
Capitol, 1996 (antologia).
— Martin Denny, The Exciting Sounds of Martin Denny:
Exotica/Exotica, Vol. I & II, Scamp 1996.
— Martin Denny, Quiet Village/Enchanted Sea, Scamp, 1997.
— Martin Denny The Exotic Sounds of Martin Denny,
Capitol, 1996 (antologia).
— Robert Drasnin, Voodoo!, Bacchus Archives,
1996.
— Juan Garcia Esquivel, Other Worlds, Other Sounds, Bar/None
Records 1997.
— Juan Garcia Esquivel, Space-Age Bachelor Pad Music,
Bar/None Records, 1994 (antologia).
— Juan Garcia Esquivel, Music from a Sparkling Planet,
Bar/None Records, 1995 (antologia).
— Arthur Lyman , Taboo: The Exotic Sounds of Arthur
Lyman, Rykodisc, 1996.
— Korla Pandit, Odissey, Fantasy, 1996.
— Korla Pandit, Buried Treasure/Juan Rolando Cocktail
Hour, Dejavu Record Company, 2007.
— Yma Sumac, Voice of the Xtabay, The Right
Stuff, 1996.
— Yma Sumac, Mambo, The Right Stuff, 1996.
— Yma Sumac, The Ultimate Yma Sumac Collection,
The Right Stuff, 1996 (antologia).
— Sun Ra, The Singles, Evidence, 1996.
— Sun Ra and his Arkestra, The Futuristic Sounds of
Sun Ra, Savoy 1993.
— Sun Ra and his Solar Arkestra, Visits Planet Earth, Evidence,
1992.
— Sun Ra and his Myth Science Arkestra, We Travel the
Spaceway, Evidence, 1992.
— Sun Ra and his Myth Science Arkestra, The Nubians of
Plutonia, Evidence, 1993.
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