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    MAV, l’illusione dell’essenza tra mosaici e algoritmi di Linda De Feo

    Un ambiente fantasmatico, completamente artificiale, declinando il passato al futuro, o meglio, il futuro al passato, lascia ammirare gli antichi fasti, attraverso la riproduzione dei cunicoli sotterranei realizzati a partire dal 1709, data della prima fortuita scoperta di Ercolano, quando, in occasione dello scavo di un pozzo, ordinato dal principe d’Elbeuf, ci si imbatté nel muro della scena del teatro. “La meraviglia è il principio della conoscenza” dice il messaggio, scritto su un nastro di luce, che accoglie all’ingresso i visitatori, accompagnati, durante il percorso, come accade ai bambini nella lettura delle favole, da illuminanti tracce, resti disseminati, vibranti suoni, rimbalzi tattili, affioranti dal pulviscolo fantasmagorico. I volti luminescenti degli antichi abitanti di Ercolano, ricavati da statue, affreschi, incisioni, e trattati con la computer graphic, raccontano ognuno la propria storia. Vetri offuscati, che se sfiorati diventano trasparenti, lasciano apparire oggetti al contempo veri e falsi, in cui poter riconoscere la memoria del passato, ma anche il sentimento del futuro, mentre l’assenza libera risorse per la rappresentazione di ciò che è esistito e che non è più, e le impiega in fluttuanti e policrome messe in scena. Si assiste alla magica ricomposizione del peristilio della Casa del Fauno di Pompei e alla sommersione del Ninfeo di Baia, al racconto della sua decadenza, grazie all’applicazione del virtuale all’archeologia subacquea. Si possono ascoltare i filosofi epicurei nel giardino della Villa dei Papiri, il brulichio che anima l’antico Foro e gli orci parlanti che recitano Plauto, ammirando i geometrici mosaici riemersi dalla polvere e gli scintillanti e preziosi monili ricreati in forma di ologrammi. Mentre, terminata la visita, le luci virtuali del Museo si spengono e riappare la quotidianità più consueta, travolti dalla vertigine del possibile, ancora inebriati dal profumo degli unguenti, dei balsami e degli oli termali, dopo aver attraversato bluastre pareti liquide nebulizzate e cascate di lava incandescente ed esser stati sfiorati da brezze avvolgenti e onde spumeggianti, si è indotti a riflettere su come le visioni più intense si collochino, a volte, oltre i confini del visibile, per accendere una sensorialità sempre più raffinata, stimolata in maniera sempre più completa.
    La modalità immersiva sortisce una continua ridefinizione del processo comunicativo, rispecchiato dalla dialettica tra il sollecitato coinvolgimento dei sensi dei visitatori e la loro partecipazione attiva, tra il fabbricare universi e l’abitarli, mentre la tecnologia smarrisce la sua funzione primigenia di strumento per farsi mondo riscrivendo il reale e l’immaginario, e riorganizzando l’ordinarietà delle facoltà percettive e cognitive in un contesto ineludibilmente ludico. Nell’interazione che caratterizza i “non-luoghi” (Augé, 1993, passim) della digitalità, zone liminali tra sensorialità e intelletto, inestricabili intrecci di riproduzioni artistiche e previsioni scientifiche, il gioco, che è un dispositivo escogitato per permettere la partecipazione simultanea di più soggetti a schemi significanti delle loro vite collettive, assume infatti un particolare rilievo (cfr. McLuhan, p. 268).

     
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