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[ conversazioni ]
Zygmunt Bauman:  
questa società liquida… l’uomo
Il confine tra il corpo e il resto del mondo è destinato a diventare il luogo di un’intensa ambivalenza e di una acuta ansia. Il “mondo là fuori” è la fonte di tutte le sostanze necessarie per la sopravvivenza del corpo, nonché dei piaceri che motivano la cura del corpo. Questo mondo contiene però anche dei pericoli, pericoli per la sopravvivenza e per la capacità del corpo di creare-piacere e consumare-piacere. Pericoli spaventosi – la maggior parte di essi sono conosciuti ed orribili, perché onnipresenti e definiti, e pertanto difficili da localizzare ed evitare, i restanti spaventano ancora di pi ù proprio perché sono ancora sconosciuti. La soluzione radicale (razionale?) al dilemma – chiudere i confini e vietare del tutto i traffici di frontiera – non è, tuttavia, un’opzione. La protezione dalle tossine potrebbe essere aumentata di più soltanto col cedere ai piaceri, e ciò potrebbe essere fatto solo utilizzando l’infallibile metodo “stile Ade”: ossia col porre fine a tutti i piaceri e le gioie. L’intera interfaccia tra il corpo e il mondo esterno deve essere, pertanto, controllata attentamente; le aperture del corpo necessitano di essere sorvegliate a tempo pieno da guardie armate – e vigilantes e funzionari dell’immigrazione. L’anoressia è un’equivalente del tipo di risposta nord coreano o birmano all’ambivalenza del mondo: la chiusura completa dei confini, che vieta le importazioni da tutti coloro che si trovano al di l à di questi confini, al prezzo del mantenimento di informazioni privilegiate in un perpetuo stato di miseria e bisogno. Quelli che si trovano all ’interno possono anche essere abituati alla loro vita di miseria e cominciare a temere per un cambiamento; affamati, potrebbero risentirsi della sensazione di “stomaco pieno” – come l’eroe di Franz Kafka nel racconto Un digiunatore, indignato e speranzoso di portare il proprio digiuno al limite di 40 anni: “Perché interrompere il digiuno in questo preciso istante, dopo 40 giorni? Egli aveva tenuto duro per un lungo periodo, un illimitato lungo periodo; perch é fermarsi ora, quando il suo digiuno era nella sua migliore forma,
o piuttosto, il digiuno non aveva ancora raggiunto la sua forma migliore? Perché rinunciare alla fama che avrebbe avuto per un digiuno più lungo… dal momento
che egli ha ritenuto che non vi sono limiti alla sua capacità
di digiunare? (4)”
La bulimia, d’altra parte, significa affrontare la sfida di punto in bianco e la volontà di combattere a modo proprio… può essere vista come una variazione della “catena schismogenetica simmetrica” di Gregory Bateson – in cui, in un conflitto, entrambe le parti (le tentazioni indotte dal mercato e i consumatori identificati) competono nello stesso gioco, il trionfo di uno rafforza la determinazione e lo spirito di lotta dell ’altro. Più è sfacciata, impudente e vistosa la sfida, più provocatoria è la risposta. All’opulenza si risponde con maggior opulenza…
Chiariamoci, entrambe le risposte sono culturalmente indotte; diffondendosi come modelli di comportamento “fotocopiati”, essi sono suscettibili di finire fuori moda allo stesso modo. Dopotutto, queste sono risposte fantasiose ad un problema reale; irrazionali, dal momento che non risolvono il problema n é lo spingono via. Prima o poi, la loro inefficacia probabilmente corroderà la loro popolarità e saranno cercate e trovate nuove risposte, non necessariamente più efficaci, ma finora non ancora tentate e comunque non ancora screditate. Tagliare le radici dalle quali esse crescono sarebbe tuttavia pi ù che necessario. Queste radici, dopotutto, sono profonde e proliferano nel terreno fertile dell ’opulenza della società consumistica liquido-moderna.    

Sempre in Homo consumens** lei condanna senza mezzi termini (giustamente, a nostro avviso) la società dei consumatori. Che giudizio esprime sullo studio sistematico degli atteggiamenti di consumo, sullo scrutare i desideri dei consumatori, reali o presunti tali, che le grandi imprese operano sia con le classiche ricerche di mercato sia con l ’uso di tecnologie ad hoc, come osservare con telecamere nei supermercati i comportamenti della clientela?
Il desiderio di controllo (su tutte le cose, animate e inanimate, umane o naturali) è sempre stato il primo spiritus movens della cognizione – sia essa magica o scientifica. Con la moderna commercializzazione di ogni inclinazione umana, molto pi ù antica del mercato di consumo globale, non
stupisce il fatto che esperti nella ricerca scientifica vengano chiamati a utilizzare le preferenze umane, gli impulsi istintivi e i sogni per trarre da essi un profitto commerciale. La maggior parte dei progetti di ricerca scientifica attualmente in corso è finanziata (ed anche incoraggiata) da interessi commerciali che rivaleggiano per averne il primato esclusivamente con i programmi militari.
Ma cosa sono tenute a scoprire le telecamere installate per “scopi scientifici”? Sono “desideri”, come Lei suggerisce? Questo è ciò che potrebbero dire i portavoce ufficiali delle aziende commerciali, insistendo sul fatto che l ’intenzione dei loro dirigenti è quella di “servire” i consumatori, e di servirli sempre meglio, e di soddisfare pertanto i loro desideri, quelli dei consumatori. Questa può essere la verità, ma di certo non tutta la verità. La maggior parte delle ricerche scientifiche riguardanti il cosiddetto “comportamento d’acquisto” si riferisce in effetti allo “sdoppiamento”, dissociante, le “libere scelte” degli acquirenti, libere dai loro desideri consci ed inconsci. In società consumistiche come la nostra, anche i “desideri”, come in precedenza i “bisogni”, sono visti come un qualcosa che limita in modo indebito la capacità di acquisto dei consumatori. Dal punto di vista del marketing, essi sono molto pi ù attivi che passivi – un ostacolo che deve essere superato per far crescere in maniera infinita la merce in circolazione, il volume di spesa dei consumatori e i profitti commerciali. Per il raggiungimento di tali scopi, le soluzioni sono studiate per stimolare l ’acquisto richiesto dal “bisogno” piuttosto che dal “desiderio”; bisogni che nascono improvvisamente, sul posto, dal nulla; bisogno di cose che gli acquirenti non hanno mai desiderato, ma alle cui tentazioni non sono in grado di resistere una volta che queste cose sono state presentate loro in un certo modo.

Infine, come giudica l’utilizzo strumentale, di marketing, dei temi della solidarietà, della responsabilità sociale e in genere dell’etica da parte delle imprese?
Come ho detto prima, il mercato invade, conquista ed assimila (o quanto meno ci prova ardentemente) tutti i residui di “terra di nessuno”, ossia tutti quei settori delle necessità umane che non sono stati ancora “mediati” dai mercati stessi. Gli osservatori della vita moderna hanno notato, per esempio, che è in corso il processo di “commercializzazione dell’amore”: tenere in piedi i rapporti con l’aiuto di regali costosi invece di stare assieme per complicità ed “essere sempre presenti per aiutare e consolare”, il che è sempre più raro o quantomeno poco frequente. Questo vale per le relazioni d’amore tra partner, relazioni tra genitori e figli, relazioni di comune vicinato… e, come Lei ha giustamente osservato, nelle relazioni di solidarietà. La vita frettolosa, la “tirannia del momento”, aumenta le esigenze delle coppie di lunga data costituite da persone che lavorano con, e rinforzate da, una stringente competizione per il lavoro, la promozione, lo status che si frappone in luogo della “solidarietà” tipica delle coppie tra i partner, i figli, i colleghi, una competizione manifestata e che si manifester à, e che, a sua volta, genera una coscienza colpevole, una condizione assolutamente spiacevole per la quale il mercato si affretta ad offrire un rimedio sottoforma di “sostituto dell’amore” acquistabile nei negozi…
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Traduzione dall’inglese di Antonella Capasso
Ringraziamo Riccardo Mazzeo e Sara Modena delle Edizioni Erickson
per la collaborazione e la disponibilità profuse nella realizzazione
di quest’intervista.
1. Si veda J. Derrida,
Ogni volta unica, la fine del mondo,
testi presentati da Pascale-Anne Brault
e Michael Naas, Jaca Book, Milano, 2005.

2. Si veda V. Jankélévitch,
Pensare la morte?,
Raffaello Cortina Editore, Milano, 1995.

3. S. Freud, “Considerazioni
attuali sulla guerra e la morte”,
in  Il disagio della civiltà,
Boringhieri, Torino, 1977, pag. 51.

4. F. Kafka, “Un digiunatore”
in Racconti, Mondadori, Milano, 1983.



* Bauman qui si riferisce
presumibilmente a Louis Chevalier,
Classi lavoratrici e classi pericolose,
Laterza, Roma-Bari, 1976.

** Cfr. http://
[1] [2] [3] [4] (5)