Il remake di un film induce naturalmente a confrontarlo con l’originale per stimare il valore o l’inutilità dell’impresa. A maggior ragione ciò è inevitabile se il rifacimento in questione riguarda un film che a sua volta era stato tratto da un romanzo o un racconto rispetto al quale si era già decretata la riuscita o meno della trasposizione. Se poi di quella prima versione cinematografica lo sceneggiatore è anche lo scrittore della storia, la comparazione diventa pressocché obbligatoria e operare raffronti si fa infine ineludibile se lo scrittore/sceneggiatore risponde al nome di Richard Matheson e il romanzo si intitola Tre millimetri al giorno (The Incredible Shrinking Man in originale) e di quella storia celeberrima si realizza una nuova versione, L’Homme qui rétrécit con il vincitore di un premio Oscar, Jean Dujardin, nei panni del protagonista. A cimentarsi nell’impresa è stato il regista franco-olandese Jan Kounen e il suo lungometraggio ha inaugurato il Trieste Science+Fiction Festival 2025. Puntuale, appunto, scatta l’ineluttabile paragone con i suoi precedenti, quello letterario e quello cinematografico.

Il romanzo uscì nel 1956 e l’anno successivo fu portato sul grande schermo da Jack Arnold (il regista di Il mostro della laguna nera, Tarantola, Destinazione… Terra! per intenderci) con il medesimo titolo originale, ma uscito in Italia come Radiazioni BX: distruzione uomo. Fu un lavoro ai tempi sorprendente per gli effetti speciali e per la resa complessiva, tant’è che venne premiato con l’Hugo per la migliore rappresentazione drammatica nel 1958, l’anno in cui si iniziò ad assegnare il premio aggiungendosi a quelli letterari. La storia d’altronde vantava su carta e su celluloide un’efficace mescola di generi: fantastico, fantascientifico, horror, survival, azione. Era anche una vicenda densa d’attualità, a partire dal timore e dalla denuncia del pericolo nucleare (si stava entrando nella Guerra Fredda), mentre lo scempio del pianeta, con la messa sotto accusa dell’uso indiscriminato di pesticidi e insetticidi, è un allarme, ante litteram ai tempi del romanzo, oggi sotto gli occhi di tutti. Altro tema anch’esso non proprio invecchiato può dirsi quello della mascolinità dell’ideale d’uomo yankee, che nella storia si incrina decisamente via via che sua moglie prima e in seguito anche la figlioletta lo sovrastano nelle dimensioni.
Il seguito della vicenda…
È insomma una di quelle idee che hanno lasciato il segno, tant’è che ne seguì anni dopo anche una variante al femminile, in tono di commedia vagamente parodica, The Incredible Shrinking Woman diretta da Joel Schumacher nel 1981. Successivamente ne contrasse un chiaro debito l’esordio alla regia di Joe Johnston con Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi (Honey, I Shrunk the Kids) nel 1989. A dire il vero lo stesso Matheson scrisse la sceneggiatura per un seguito, The Fantastic Shrinking Girl, che vedeva la moglie del protagonista, Louise, seguire il marito nel suo microscopico mondo. Il film non si realizzò, ma la sceneggiatura fu pubblicata nel 2005 dalla Gauntlet Press in un volume, Unrealized Dreams, che includeva altre due sceneggiature mai portate sullo schermo. Rientrò dalla finestra però il personaggio della moglie del protagonista perché proprio la Gauntlet Press nel 2009 affidò a Christopher Conlon di approntare un omaggio a Matheson curando un’antologia di racconti scritti appositamente, tutti rigorosamente “ambientati nel suo scenario narrativo, ovvero di elaborare sequel, prequel e variazioni o, più genericamente, di usare i suoi classici temi” (Conlon, 2011). Conlon coinvolse alcuni pesi massimi come Stephen King e Joe Lansdale, ma anche autori meno noti in Italia come Thomas Monteleone, che si prese la briga di scrivere Il diario di Louise Carey, ovvero una variazione su Tre millimetri al giorno che dava voce alla consorte del lillipuziano, fornendo una versione dei fatti fino a quel punto ignorata. Infine, ne hanno tratto invece una versione a fumetti Ted Adams e Mark Torres uscita in quattro puntate e poi raccolta in volume unico da IDW Publishing nel 2016.

Alla prova dei fatti, la visione di L’homme qui rétrécit inesorabilmente aziona il meccanismo dei paragoni: questo è stato aggiunto e questo manca, qui si è modificata la scena, lì si è cambiato l’ordine degli eventi, e così via. In questo caso però il gioco si fa vertiginoso perché si rimbalza dal romanzo al nuovo film e da questo al precedente di Arnold e così via. Riassumendo, si può dire che Kounen ha lavorato partendo dalla sceneggiatura di Matheson per Arnold, inserendo ed eliminando elementi di cui sarà inevitabile prendere nota, ma va subito messa in chiaro una cosa: il nuovo film dell’incredibile uomo che rimpicciolisce è perfettamente all’altezza (anche se qui andrebbe detto il contrario…) della situazione. Il regista per inciso non è alle prime armi. Aveva esordito nel 1989 con il corto Gisele Kerosene e in seguito realizzato Doberman (1997) con Vincent Cassel e Monica Bellucci, il western Blueberry (2004) tratto dal fumetto di Moebius, passando poi al genere commedia con 99 Franc (2007) proprio con Dujardin e alzando il tiro nel successivo Coco Chanel & Igor Stravinsky (2009), a cui vanno aggiunti alcuni documentari.
Ebbene, Kounen ha tagliato “incredibile” dal titolo originale, come già capitato al romanzo nella traduzione francese, ha ribattezzato il protagonista, Scott Carey, in un più essenziale Paul, cambiandogli il domicilio spostandolo in una dimora sull’oceano e trasformandolo in un dirigente di un’azienda di costruzioni navali, ma in compenso rispetto al film gli restituisce la figlioletta che Matheson aveva inserito nel romanzo cancellata nel film di Arnold e qui in un ruolo essenziale ancor più che nel romanzo. Assente del tutto, invece, la nana Clarice con la quale nel romanzo il protagonista tornava ad avere un rapporto sessuale (un’ultima volta), mentre nel film di Arnold è soltanto un’amica sodale per condizione, alla quale dava da leggere il dattiloscritto del suo libro/memoir.

La variante più significativa è però quella dell’incidente che porterà Paul a diventare infinitamente piccolo. Nella versione di Kounen difatti Paul è solito a farsi una nuotata per tenersi in forma. Routine che si trasforma in evento straordinario quando una mattina, nuotando, uno strano fenomeno meteorologico apparso dal nulla, un misterioso cerchio di nubi concentriche lo investe. Tutt’altra storia (da guerra fredda, appunto) quella originale e del film di Arnold. Lì lo sventurato protagonista durante una gita in barca viene investito da una sorta di onda spumosa decisamente anomala, radioattiva, che lo contamina. L’episodio va a sommarsi a un incidente nel quale è incappato nei giorni precedenti, quando viene investito da una dose di insetticida per strada nel corso di una disinfestazione. La particolare combinazione tra i due eventi sarà in seguito individuata come la causa dell’irreversibile rimpicciolimento. Qui nella sua imperscrutabilità è dunque la Natura stessa ha operare, sottolineando la nuova era di cui il nuovo film è figlio. Ciò detto, il nocciolo della storia, i mostri cattivi, lo slittamento progressivo della prospettiva del protagonista, la sua Weltanschauung inesorabilmente rovesciata via via che rimpicciolisce, ovvero gli elementi chiave della storia si conservano, però, in tutta la loro integrità. Soprattutto si mantiene integra la drammaticità insita nella lotta elementare, essenziale per sopravvivere, un refrain ricorrente d’altronde nelle storie di Matheson, basti pensare a Io sono leggenda (I Am Legend, 1954), il suo romanzo più famoso (Tre millimetri al giorno è l’indiscusso secondo), oppure al racconto da cui Spielberg trasse l’omonimo Duel nel 1971.

Fatto sta che da quando inizia inesorabilmente a ridursi di tre “millimetri al giorno”, appunto, sebbene il film non parli esplicitamente di questa progressione, ne seguiamo i suoi ultimi giorni segnati da una lotta disperata per sopravvivere in un mondo ostile nel quale il pericolo è ovunque. Tentativi per mantenersi in vita che sono anche un conto alla rovescia in attesa di raggiungere il grado zero dell’esistenza, perlomeno nei termini in cui da umano riesce a concepirla. Mentre (ri)assistiamo a combattimenti epici, dapprima con il micio domestico trasformatosi in un gigantesco felino la cui indole da carnivoro emerge in tutta la sua grandezza, e in special modo quella battaglia contro il cattivo, l’alieno, il nemico, con il ragno nero, gigantesco al suo confronto, che lo impegnerà fino allo spasimo in un crescendo di terrore e orrore. D’altronde quello con cui combatte era e continua a essere nel film di Kounen qualcosa di più di un gigantesco aracnide. Come scrisse Matheson nel romanzo:
“Era più di un ragno. Era tutti i terrori misteriosi del mondo confluiti in quell’orrore ballonzolante gonfio di veleno. Era tutte le ansie, le incertezze, le paure della sua vita, racchiuse in quella forma orrenda nera come la notte”
(Matheson, 2022).
Non contento dei guai previsti da Matheson, Kounen aggiunge altre creature (formiche, farfalla, per esempio) e un’altra situazione critica con Paul scivolato per evitare un attacco del ragno nella vasca del pesciolino rosso con il padrone di casa ormai di dimensioni maggiori delle sue. Ripesca, invece, è il caso di dirlo, le riflessioni del protagonista che ascoltiamo dalla sua voce fuori campo, una soluzione non sempre felice al cinema, anche se in questo caso si tratta di una scelta filologica, per così dire. Una soluzione adottata a riprese oramai concluse, tant’è che l’edizione per l’home video conterrà entrambe le versioni. La ricerca di cibo da parte di Paul, le sue fughe, i suoi ripari improvvisati, i piccoli strumenti riadattati a strumenti di difesa, le proporzioni alterate di ogni cosa che rendono il suo spazio esterno deforme, abominevole, direbbe H.P. Lovecraft, e in special modo la presenza del mostruoso ragno, la realtà in buona sostanza che oltrepassa i confini della realtà sono resi magnificamente da Kounen e Dujardin è più che credibile e impeccabile nell’esprimere, angoscia, disperazione, paura, coraggio, incredulità, rabbia, l’intera panoplia di sentimenti, emozioni e reazioni che il suo personaggio in quella condizione prova e manifesta, così come sarebbe inevitabile per chiunque di noi in situazione analoga. A margine va annotato che Dujardin aveva quasi preso le misure al personaggio, avendo interpretato il ruolo di un uomo alto (diciamo così) soltanto 1 metro e 36 centimetri in Un amore all’altezza (Un homme à la hauteur, 2016) di Laurent Tirard, curiosamente anche questo un remake.

In ogni caso, se fosse una mera lotta per la sopravvivenza però, la vicenda non andrebbe oltre i limiti già segnati da Robinson Crosue, quelli che al cinema hanno ritrovato vita nuova nel bel Cast Away (2000) di Robert Zemeckis. No, quel che conta qui è l’intreccio con il radicale cambio di prospettiva che si opera, l’epifania di una nuova realtà che ha le dimensioni dell’incubo e al tempo stesso dell’interrogazione via via crescente riguardo al posto dell’essere umano nell’universo, alla sua metamorfosi che si svela come la logica stessa della natura e le relative considerazioni sugli stati stessi dell’esistenza (vita/morte). Nel suo procedere inesorabilmente verso il nulla, Paul perde via via i pezzi, smettendo di essere un uomo, un marito, un padre, un lavoratore, un bocconcino prelibato e forse neanche un ricordo. In fondo, l’epilogo sancisce che siamo di fronte a una storia concernente la fine dell’umano come soggetto dell’umanesimo e oggetto dell’antropologia, come Michel Foucault avrebbe scritto una decina d’anni dopo Matheson nell’ultima pagina di Le parole e le cose, poi in qualche modo ripreso dalla migliore sci-fi odierna:
“se, a seguito di qualche evento di cui possiamo tutt’al più presentire la possibilità ma di cui non conosciamo per ora né la forma né la promessa, precipitassero, […] possiamo senz’altro scommettere che l’uomo sarebbe cancellato, come sull’orlo del mare un volto di sabbia”
(Foucault, 2016).
D’altra parte, le grandi storie continuano a essere raccontate e questa è una grande storia ricca di implicazioni metafisiche, di considerazioni sull’esistenza e sulla fragilità dei rapporti che intratteniamo con chi ci circonda e sull’importanza di trovare sempre la bellezza nel momento presente.
In definitiva: si poteva aggiungere di più? No, più piccolo di così…
- Christopher Conlon (a cura di), Lui è leggenda! Omaggio a Richard Matheson, Millemondi Urania, Mondadori, Milano, 2011.
- Michel Foucault, Le parole e le cose, BUR, Rizzoli, Milano, 2016.
- Richard Matheson, Tre millimetri al giorno, Urania Collezione, Mondadori, Milano, 2020.
- Richard Matheson, Unrealized Dreams, Gauntlet Press, 2005.
- Jack Arnold, Radiazioni BX: distruzione uomo, A & R, 2023 (home video).
- Joe Johnston, Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi, Buena Vista Home Entertainment, 2016 (home video).
- Richard Matheson, Ted Adams, Mark Torres, The Shrinking Man, IDW Publishing, 2016
- Joel Schumacher, The Incredible Shrinking Woman, Shout Factory, 2017 (home video).
- Robert Zemeckis, Cast Away, Universal Pictures, 2012 (home video).


