Continua la meritoria opera di divulgazione e approfondimento sulle avanguardie musicali del secondo dopoguerra portata avanti dalla Shake Edizioni nella collana Classici della Nuova Musica, curata dal compositore Massimiliano Viel. Dopo il volume di Karlheinz Stockhausen e di John Cage, questa volta è il turno dei diari di Pierre Schaeffer, Alla ricerca di una musica concreta, nell’ottima traduzione di Giancarlo Carlotti, che racconta le problematiche, i dubbi, i contrasti e le riflessioni del compositore francese sull’elaborazione di nuovi linguaggi musicali. Possiamo benissimo metterlo in parallelo con il libro di Stockhausen proprio per lo stesso indagare sia dal punto di vista filosofico che da quello più prettamente musicale, sulla ricerca e sulle difficoltà di intraprendere nuovi percorsi, sullo scontrarsi tra differenti visioni, ma soprattutto in ambedue i libri traspare con forza quell’afflato rivoluzionario che permeava l’ambito culturale del secondo dopoguerra.
La musica concreta
“Per il modo in cui è costruito, chiamo questo approccio alla composizione utilizzando materiali tratti da dati sonori sperimentali Musique Concrete, così da sottolineare la nostra dipendenza non più da astrazioni sonore preconcette bensì da frammenti sonori che esistono concretamente e sono considerati oggetti sonori definiti e completi, anche e soprattutto allorché sfuggono alle definizioni elementari del solfeggio”.
Pierre Schaeffer, nato a Nancy il 14 agosto del 1910 e morto ad Aix-en-Provence il 19 agosto del 1995, occupa una posizione centrale nella storia della musica del Novecento come fondatore della musica concreta, una pratica compositiva che ha radicalmente trasformato il rapporto tra suono, tecnologia e percezione. Ingegnere delle telecomunicazioni e tecnico della Radiodiffusion Française, fondatore del Groupe de Recherche de Musique Concrète (GRMC), compositore, musicologo, scrittore, Schaeffer è stato in grado di unire il rigore tecnico con una sensibilità artistica innovativa, dando vita a una nuova estetica sonora fondata sull’impiego di registrazioni fonografiche e, in seguito, di nastri magnetici. L’elemento rivoluzionario della musica concreta risiede nella sostituzione della scrittura tradizionale con la manipolazione diretta del suono registrato. La composizione non si fonda più su note e strumenti, ma su “oggetti sonori”, suoni registrati della realtà quotidiana come, per esempio, il rumore di un treno, il suono di una campana o una voce parlata opportunamente manipolati e modificati.
Pierre Schaeffer (Nancy, 14 agosto 1910 – Aix-en-Provence, 19 agosto 1995).
Le sue riflessioni, puntualmente riportate in questi diari, tra il 1948 e il 1952, si inseriscono pienamente nel dibattito sviluppatosi nel secondo dopoguerra (e non solo tra i musicisti), sul rinnovamento della pratica compositiva e sull’utilizzo di nuove sonorità. Ancora, sul proposito di cambiare le forme musicali, sfuggendo alla radicalità dodecafonica e seriale, che in un certo qual modo ingabbiava il compositore, iniziando a inserire gli elementi rumoristici alla stessa stregua degli elementi musicali. È certamente parte di quell’esigenza culturale di rompere con il passato e di produrre nuove forme d’arte, rivoluzionarie, che investì non solo la musica ma anche la pittura, la scultura e la letteratura. Questi diari del compositore francese sono una preziosa testimonianza di quel fervido dibattito che investì le avanguardie, europee e americane, perché alternano le descrizioni pratiche degli esperimenti, le incertezze e i fallimenti così come i successi, a considerazioni di carattere filosofico, intrecciate alle altre forme artistiche. Centrale appare la volontà di trattare gli oggetti sonori come fonte musicale vera e propria, reinventando il linguaggio musicale e ponendo l’attenzione alla percezione dell’ascoltatore nella costruzione di una nuova espressività fuori da rigidità, calcoli matematici e formule musicali sempre più costrittive. Annota Schaeffer:
“Nella misura in cui soltanto il partito preso della dodecafonia sembrava aprire a certi musicisti contemporanei una nuova via espressiva, abbiamo visto che, a loro insaputa, facevano sperimentazione e non opera di espressione. Senza dubbio c’è chi non sarà d’accordo, ma sono costretto a insistere su questa affermazione e, se non sono stato abbastanza chiaro, ripeterò che, se da parte del compositore e dell’ascoltatore, non c’è più una compatibilità di linguaggio o una pratica agevole che permettano al creatore ispirato di poter costruire un oggetto espressivo e al beneficiario di poter percepire l’espressione di quell’oggetto, allora non c’è più espressione. Il primo, applicando strutture a priori, limita a tal punto le sue scelte da non essere più di un artigiano al servizio di una sorta di automatismo estetico, l’altro, attribuendo le sue impressioni solo a falsi rapporti ricavati dal passato o a dalle relazioni che non sono percepibili direttamente dalla sensibilità musicale ma dall’intelligenza analitica, non è più un ascoltatore, ma il commentatore di un testo scritto o di un progetto di lavoro”.
Le critiche rivolte all’universo dodecafonico e seriale di Schaeffer lo pongono certamente in sintonia con John Cage (al quale fu presentato proprio da Pierre Boulez quando si recò per la prima volta a Parigi), e per lo sviluppo dell’uso dell’elettronica va certamente in compagnia di Stockhausen, con il quale ebbe fecondi rapporti. Ma, a differenza del campo degli sperimentatori elettronici, Schaeffer non vuole che la sua espressività sia fondata e costruita esclusivamente dalla macchina bensì dall’universo circostante, eliminando l’aspetto astratto e artificiale della composizione, utilizzando in un ordine consapevole i rumori del caos esterno. Così, nei suoi Cinq études de bruits, composti nel 1948 e prime opere in assoluto di musica concreta, Schaeffer utilizza oltre a suoni di pianoforte preparato e percussioni, il rumore di locomotive, di chiatte e di pentole, modificato e, potremmo dire, ordinato in una forma musicale. Ma è nel suo capolavoro Symphonie pour un homme seul, composto nel 1949-50 insieme al suo prezioso e storico collaboratore Pierre Henry, che la geniale fusione sperimentale della musica concreta di Schaeffer mostra al meglio le sue creazioni: una sinfonia di rumori e suoni che racconta la giornata di un uomo fatta di passi, sbadigli, respiri, grida, battito del cuore, risate.
La musica astratta
“Limitare la musica ai suoni che si possono trascrivere ed eseguire e che chiamiamo, sbagliando, naturali, poiché sono invece l’esito di una liuteria raffinata, ha, come conseguenza, che ogni opera musicale viene costruita a partire dalle strutture, o archetipi, che fino a oggi sono sembrati gli unici «musicabili». Proprio come se i matematici, non avendo ancora scoperto i numeri irrazionali, avessero utilizzato, nella incapacità di risolvere la quadratura del cerchio, solo numeri algebrici”.
Come per Stockhausen, la volontà di evadere dalla notazione e dalla costruzione classica delle forme porta Schaeffer a costruire una nuova estetica che sia realmente dirompente e tracci nuove linee espressive e formali, portando il compositore francese a “suonare” il mondo esterno, ordinandolo in elementi musicali, oggetti sonori. È una ricerca che corre in parallelo, intrecciata alle rivoluzioni in ambito pittorico, dal futurismo al dadaismo al cubismo, in quella rappresentazione della realtà e del mondo interiore non più legata al figurativo, ma genericamente astratta, libera da costrizioni formali. Per Schaeffer la musica concreta è una sorta di musica astratta, perché non più legata agli strumenti musicali o alle partiture, ma libera di elaborare musica da elementi nuovi e allo stesso tempo antichi, come il suono del mondo circostante. Concetti e teorie che il compositore francese sistematizzerà in modo ancor più compiuto nel suo trattato Traité des objets musicaux del 1966, ponendosi come uno dei protagonisti della musica sperimentale, in particolare di quella elettronica e del sound design, così come dello sviluppo delle colonne sonore e di un certo minimalismo. La particolarità di questi diari, e il grande pregio, nonché preziosa fonte per sperimentare anche al giorno d’oggi, è quella di farci vivere con grande passione la nascita e lo sviluppo di un linguaggio nuovo, di poterlo vivere nella temperie dell’epoca ma risultando per molti versi ancora attuale e, possiamo dirlo con senza remore, rivoluzionario. O, per lasciarlo dire a lui:
“Una rivoluzione, un rinnovamento avviene sempre contro qualcosa, o come minimo da e per il superamento di un certo stato delle cose. Ma ciò che accade è un’altra cosa: è il superamento del vecchio universo non per il coronamento armonioso dell’universo precedente ma, sia fortuna o sfortuna, per un nuovo contributo che non completa nulla, che si aggiunge o sostituisce, o impone puramente o semplicemente un altro genere di esistenza”.
- Pierre Schaeffer, Cinq études de bruits (1948) in L’Œuvre Musicale, INA-GRM, 2010.
- Pierre Schaeffer, Symphonie pour un homme seul (1950), in L’Œuvre Musicale, INA-GRM, 2010.
- Pierre Schaeffer, Orphée 53 (1953), in L’Œuvre Musicale, INA-GRM, 2010.

