Suoni nello spazio al cinema
tra sci-fi, rumori e musica

Michel Chion
Des sons dans l’espace.
À l’écoute du space opera
Capricci, Bordeaux 2019

pp. 112, € 8,95

Michel Chion
Des sons dans l’espace.
À l’écoute du space opera
Capricci, Bordeaux 2019

pp. 112, € 8,95


Suoni nello spazio. Così si intitola l’ultimo libro di Michel Chion. Il sottotitolo ci dà un’informazione in più: “In ascolto della space opera”. Dove per space opera si intende il film che si svolge nello spazio, in quello stellare si intende, interplanetario, celeste, cosmico o comunque lo si voglia definire. Insomma, quale suono mettono in scena, nello spazio dell’immagine, i film “spaziali”?
Chion è uno dei massimi studiosi al mondo della relazione suono-immagine: in generale, e soprattutto nel cinema. Su questo ha scritto libri assai belli, tradotti in molte lingue. Una summa del suo pensiero, arricchita da una puntuale classificazione dei modi che hanno suono e immagine di raccordarsi e influenzarsi a vicenda, è nel suo L’audio-vision, uscito in Francia nel 1994 e in Italia nel 1997. Ma Chion è anche cineasta, videoartista e musicista (si è formato alla Scuola della Musica Concreta di Pierre Schaeffer, a Parigi, negli anni Sessanta). Autore colto, anche in ambito letterario, disdegna le mode e ama il cinema nella sua interezza, sostenendo fra l’altro che una vera sperimentazione si può rintracciare più e meglio in certi film popolari e di successo (o in aspetti specifici di questi) che in molte opere che si dichiarano indipendenti e innovative. Insomma, non è fra quelli che disdegnano i prodotti dell’industria hollywoodiana, spesso all’avanguardia per la ricerca sonora.
L’espressione space opera, coniata dallo scrittore Wilson Tucker nel 1941, indica una sorta di “sottogenere” della fantascienza, quella che si svolge fuori dall’attrazione terrestre; e in cui si confrontano due tendenze, scrive Chion: quella incurante della verosimiglianza sonora e quella che, ovviamente nel contesto storico e geopolitico in cui il film è realizzato, si preoccupa della credibilità. Spesso le tendenze si mescolano, ma in genere la linea che separa le due tendenze si basa sul rispetto o meno della clausola per cui nello spazio non c’è suono. Polemicamente Chion commenta: “È vero, ma perché esigere dal suono quel che non ci si aspetta dall’immagine? Nella realtà non c’è ellissi temporale, né taglio di montaggio brusco che ci catapulta dall’interno all’esterno di un luogo”.

Il libro cerca di problematizzare la questione alla luce dell’ascolto (o per meglio dire, dell’audio-visione) di tutta una serie di film di fantascienza che vanno da Frau im Mond (La donna sulla luna) di Fritz Lang (1929), a First Man (Il primo uomo) di Damien Chazelle (2018), concentrandosi in particolare su esempi analizzati più nel dettaglio, come 2001: A Space Odyssey (2001: Odissea nello spazio) di Stanley Kubrick (1968), opera a cui anni fa Chion ha dedicato un libro, e Star Wars (Guerre Stellari) di George Lucas (1997). Ma si citano anche Terrore nello spazio di Mario Bava (1965), Interstellar di Christopher Nolan (2014), Blade Runner di Ridley Scott (1982) e molti altri film più o meno noti. Chion mescola spesso alla trattazione notazioni personali: ricordi d’infanzia, memorie della prima visione di un film, richiami a letture letterarie.

Non solo musica elettronica
Le descrizioni della componente sonora dei film che Chion esamina sono sorrette anche e soprattutto dalle sue competenze di musicista e musicologo: è così che analizza la nozione di gravità nello spazio ma anche nelle note; e l’uso della musica di Richard Strauss e di György Ligeti nel film di Kubrick, di Vangelis in Blade Runner (1982), di Johann Sebastian Bach in Solaris di Andrej Tarkovskij, 1972 (ma anche la musica di Wolfgang Amadeus Mozart ricorre in molti film: “risuona da qualche parte fuori dalla Terra, in un luogo quasi sempre ostile, per far sentire un accento di umanità e mettere in evidenza il fatto che il cosmo ci ignora e che la musica più bella e rasserenante è solo una debole luce che dobbiamo portarci nello spazio”). Chion evoca anche il noto suono enigmatico del pacifista “Klaatu barada nikto” in The Day the Earth Stood Still (Ultimatum alla terra) di Robert Wise (1951); e le note degli Incontri ravvicinati del terzo tipo di Spielberg.
A questo registro di analisi specificamente musicale si intrecciano notazioni relative alle tecnologie del suono nel cinema che si sono succedute nel corso del tempo, influenzando la resa sonora in sala ma anche le modalità di composizione e registrazione; e riflessioni relative al contesto culturale, quello dell’immaginario veicolato dai media. Dal bip-bip dello Sputnik al ronzìo dei primi elaboratori elettronici alla simulazione di ultrasuoni per il rumore dei dischi volanti, il suono dei film spaziali ha attraversato le epoche, carico degli echi del progresso reale o immaginato.
E poi i silenzi (cui Chion dedica una classificazione dettagliata), i respiri degli astronauti fuori dalla navicella, la musica che gli esploratori dello spazio ascoltano, come viatico e nostalgia terrestre. Un piccolo glossario e una cronologia chiudono il volume, che ci auguriamo possa vedere presto un’edizione italiana.

Letture
  • Michel Chion, L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema, Lindau, Torino 1997.