Il mondo che Licklider creò:
di Internet, IA e utopie

J.C.R. Licklider
Ho sognato una rete intergalattica.
Scritti su Internet prima di Internet
Traduzione di Emanuele Edilio Pelilli

Luiss University Press, Roma, 2025
pp. 109, € 12,00

J.C.R. Licklider
Ho sognato una rete intergalattica.
Scritti su Internet prima di Internet
Traduzione di Emanuele Edilio Pelilli

Luiss University Press, Roma, 2025
pp. 109, € 12,00


Tutti gli appassionati di storia del digitale conoscono il testo seminale di Vannevar Bush intitolato As We May Think, che nel 1945 preconizzò il nuovo modo di pensare che sarebbe scaturito dall’organizzazione dell’informazione attraverso quelli che oggi conosciamo come collegamenti ipertestuali, link in grado di trasformare testi in ipertesti. Pochi conoscono invece un articolo di quindici anni successivi, intitolato Man-Computer Symbiosis, che apparve nel 1960 su una rivista che si occupava della nascente branca dell’intelligenza artificiale (per capirci, un anno dopo su quella rivista Marvin Minsky avrebbe pubblicato la prima rassegna bibliografica sull’IA, appena cinque anni dopo la celebre conferenza di Dartmouth alla quale aveva partecipato lo stesso Minsky). L’autore era, sorprendentemente, uno psicologo che lavorava nell’ambito della psicoacustica, Joseph Carl Robnett Licklider, per gli amici “Lick”. Oggi tre dei suoi scritti dimenticati, tra cui La simbiosi uomo-computer, sono stati meritoriamente riproposti dalla Luiss University Press un libricino dal titolo evocativo: Ho sognato una rete intergalattica. Perché quelli di Licklider furono in effetti sogni che hanno “gettato le basi per la realizzazione di questo mondo, il nostro presente”, come scrive nella prefazione Luigi Laura, “insieme a cose che aspettano ancora di essere realizzate”.

“Uno sviluppo necessario nell’interazione cooperativa tra esseri umani e calcolatori elettronici”
Era, come fu descritto in seguito da chi lo conobbe in giovane età, il tipico All-American Boy: biondo, alto, affascinante, straordinariamente dotato nella manualità tecnica (da ragazzino costruiva modellini di aereo) e con un elevato quoziente intellettivo (cfr. Waldrop, 2001). Nato in Missouri nel 1915, figlio di un ministro battista, si convinse precocemente della vacuità delle religioni e si convertì al credo dominante della nascente iperpotenza tecnologica: il metodo scientifico. Convinto dalle letture darwiniste di quei primi decenni del Novecento della possibilità di spiegare in termini evoluzionistici la psiche umana, riducibile a processi elettrochimici all’interno del cervello, dopo avere studiato fisica e matematica prese una laurea in psicologia, entrando poi all’Università di Rochester a New York per un dottorato nel primo centro di ricerca dedicato ai processi uditivi del cervello umano.
L’idea che il cervello biologico fosse descrivibile in termini di processi elettrici non era nuova e risaliva almeno a Luigi Galvani. Ma quando Licklider iniziò i suoi studi dottorali, iniziava a sorgere un nuovo parallelismo destinato a portarci lontano: quello tra cervello umano e calcolatore elettronico. Alcuni anni dopo, Norbert Wiener coniò il concetto di “cibernetica” e fornì a questa idea una solida base metodologica. Licklider aveva conosciuto Wiener ai convegni organizzati subito dopo la guerra al Beekman Hotel di Park Avenue a New York, dove intorno al programma di fornire solide basi scientifiche alle scienze sociali presero a riunirsi nomi come Margaret Mead, Gregory Bateson, John von Neumann e lo stesso Wiener, che diede a quel ciclo di incontri il nome di Convegni sulla cibernetica. In uno di quegli incontri, nel marzo 1950, partecipò anche Licklider, all’epoca ad Harvard ma in procinto di passare al MIT. Aveva messo su un marchingegno fatto in casa, in grado di convertire le onde acustiche derivanti dal discorso parlato in bit. Claude Shannon, il pioniere della teoria dell’informazione, lo ascoltava rapito: Licklider riuscì infatti a stimare che in tal modo, sfruttando una linea di trasmissione di una radio commerciale dell’epoca, fosse possibile trasmettere 100.000 bit di informazione al secondo, immensamente superiore alla velocità del parlato umano, che stimava essere di 60 bit al secondo (cfr. Gleick, 2011).

Dieci anni dopo, nel suo articolo Man-Computer Symbiosis, traeva da questi calcoli alcune fondamentali conclusioni, che hanno il tono della profezia. Con l’avanzare della rivoluzione informatica e lo sviluppo di computer sempre più efficienti, il problema sarebbe diventato quello del confronto tra due forme di comunicazione prima che di intelligenza, un confronto che avrebbe richiesto nuove modalità di relazione per risultare funzionale e vantaggioso per gli esseri umani. Considerata come “uno sviluppo necessario nell’interazione cooperativa tra esseri umani e calcolatori elettronici”, la simbiosi uomo-computer avrebbe dovuto portare a una netta divisione dei compiti: le attività procedurali o meccaniche (“cercare, calcolare, tracciare grafici, trasformare, determinare le conseguenze logiche o dinamiche di un insieme di assunzioni o ipotesi, preparare il terreno per una decisione o un’intuizione”) affidate ai computer, che possono svolgerle in modo più efficace degli esseri umani, i quali avrebbero così visto liberata un’enorme quantità di tempo per le attività più legate ai propri schemi di pensiero. Anche le macchine avrebbero potuto, in prospettiva, occuparsi “per quanto possibile, di diagnosi, riconoscimento di modelli ricorrenti [pattner-matching] e di modelli di rilevanza [relevance-recognising”, ma in questi compiti avrebbero conservato “un ruolo chiaramente secondario”. Affinché una tale simbiosi fosse possibile, occorreva affrontare il problema delle diverse velocità e forme di linguaggio tra umani e computer. Per risolvere entrambe le questioni, Licklider fu tra i primi a sostenere la necessità di superare gli approcci fino ad allora utilizzati per la trasmissione di comandi ai computer – comandi in linee di codice estremamente formalizzati – a favore di un’interazione naturale, basata sul modo di comunicare degli esseri umani: entrambi avrebbero dovuto essere in grado di disegnare grafici e immagini, scrivere note ed equazioni sullo stesso foglio:

“Il computer dovrebbe essere in grado di leggere la scrittura umana, magari a condizione che questa sia in chiare lettere maiuscole stampatello, e dovrebbe immediatamente riportare, nel punto di ogni simbolo tracciato a mano, il carattere corrispondente così come lo interpreta e lo restituisce con un carattere tipografico preciso”.

Questa idea si è concretizzata solo negli ultimi mesi su larga scala, al termine della grande rivoluzione del machine learning, che per anni ha addestrato gli algoritmi al riconoscimento della scrittura umana, creando finalmente le condizioni per una simbiosi completa in termini di linguaggio: oggi le IA sono in grado di ricostruire una tabella o un grafico da un disegno fatto a mano e interpretare note scritte in corsivo senza (quasi) alcuna difficoltà, esattamente come solo negli ultimi tre anni è diventato finalmente possibile un’iterazione fluida tra umani e computer attraverso il linguaggio naturale, come abbiamo sognato per decenni guardando gli episodi di Star Trek.

“E crediamo che stiamo entrando in un’epoca tecnologica in cui potremo interagire con la ricchezza dell’informazione vivente”
Affinché tutto ciò fosse possibile, occorreva anzitutto creare le condizioni per una comunicazione universale tra computer. Licklider intuì che solo realizzando reti di computer al fine di condividere enormi capacità di calcolo e memoria sarebbe stato possibile far avanzare le prestazioni delle macchine fino a raggiungere quelle degli esseri umani. Era un principio che traeva dalla cibernetica: il linguaggio è un mezzo di comunicazione e la comunicazione avviene tra più persone, ossia all’interno di un sistema sociale; se quindi si voleva sviluppare un autentico linguaggio elettronico con cui realizzare l’ambizione dell’interazione simbiotica con gli esseri umani, occorreva creare un sistema sociale di computer, una rete attraverso cui comunicare. Occorreva, detto in altri termini, rendere le macchine degli organismi sociali, alla stregua degli esseri umani. A questo scopo Licklider impiegò le ampie risorse a cui ebbe accesso nel suo ruolo di direttore dell’ufficio per le tecniche di processamento dell’informazione (IPTO) dell’ARPA, l’agenzia del Pentagono per i progetti di ricerca avanzati, a cui fu chiamato nel 1962 da funzionari della Difesa che erano rimasti colpiti dal suo articolo. L’amministrazione Kennedy intendeva avvalersi dei computer per rivoluzionare i propri sistemi di comando e controllo, nella convinzione che in questo modo fosse possibile restare al passo con l’avanzamento tecnologico sovietico (si era nel periodo in cui l’ossessione per il gap con i sovietici, all’indomani dello smacco dello Sputnik, giunse al culmine). Licklider non era tuttavia particolarmente interessato all’uso dei computer per le esigenze della Guerra fredda. Il suo sogno in quegli anni era di creare le basi per una biblioteca del futuro attraverso una rete di computer in grado di condividere la loro memoria. Nel 1963 mandò ai suoi colleghi dell’IPTO un memo in vista di un seminario interno: lo intitolò Memorandum per membri e affiliati dell’Intergalactic Computer Network. Vi riassunse i principali ostacoli alla costituzione di una “capacità di funzionamento in rete integrata” tra computer, e le possibili soluzioni:

“Se una rete come quella che vagamente immagino potesse essere messa in funzione, disporremmo di almeno quattro grandi computer, forse sei o otto piccoli computer, e di un vasto assortimento di dischi fissi e unità a nastro magnetico – per non parlare delle consolle remote e delle stazioni teletype – tutte operanti simultaneamente”.

Sapeva che non era quello che i militari andavano cercando, ma nel memorandum espresse la speranza che quell’idea trovasse un’utilità anche negli ambienti della Difesa. Che tuttavia stesse pensando a ben altro lo dimostrò il suo unico libro, pubblicato nel 1965 al termine dell’esperienza all’IPTO, intitolato Libraries of the Future, dove perfezionò le sue idee per creare un “centro di pensiero” integrato che fungesse da infrastruttura delle biblioteche del futuro. In queste biblioteche del futuro, i computer avrebbero svolto gran parte del lavoro fino ad allora riservato ai bibliotecari, creando tuttavia le condizioni per una nuova era della conoscenza. Così si espresse nel saggio Il computer come dispositivo di comunicazione (1968), incluso nel volume della Luiss:

“E crediamo che stiamo entrando in un’epoca tecnologica in cui potremo interagire con la ricchezza dell’informazione vivente – non semplicemente nel modo passivo a cui ci siamo abituati con libri e biblioteche, ma come partecipanti attivi di un processo in corso, apportando qualcosa attraverso la nostra interazione con esso, e non solo ricevendo qualcosa da esso tramite la nostra connessione”.

L’obiettivo è sviluppare una “comunicazione creativa e interattiva” per il futuro che Licklider vedeva arrivare, in cui gli esseri umani avrebbero finito per “comunicare tra loro più efficacemente attraverso una macchina che faccia a faccia”: un’idea rappresentata da un’immagine di un uomo e una donna ciascuno davanti al proprio terminale, l’uomo che disegna un grossolano cuore con le iniziali dei due, la donna che vede sul proprio schermo prendere forma un cuore decisamente più artistico, ottimizzato dal computer, e sorride contenta: forma ingenua, ma nemmeno poi tanto, delle interazioni computer-mediate con cui oggi la quasi totalità degli esseri umani intraprende le proprie relazioni sentimentali.

“L’intero mondo dell’informazione, con tutti i suoi campi e discipline, gli sarà accessibile”
Non solo la rete che oggi chiamiamo Internet avrebbe permesso questo tipo di interazione, ma anche molte altre del tipo utopico che Licklider descriveva nel suo articolo: comunità pionieristiche composte da scienziati e ingegneri, persone creative di tutte le discipline e grandi computer multiaccesso, da cui sarebbe emersa una “super-comunità”:

“Non si invierà più una lettera o un telegramma; ci si limiterà a identificare le persone i cui file devono essere collegati ai propri, e le parti specifiche da collegare – e forse si indicherà anche un coefficiente di urgenza. Raramente si farà una telefonata, piuttosto si chiederà alla rete di collegare insieme le nostre consolle. Sempre meno si farà un viaggio esclusivamente per motivi di lavoro, perché collegare le consolle sarà molto più efficiente […] si trascorrerà molto più tempo in teleconferenze facilitate dal computer e molto meno tempo in viaggio diretti alle riunioni”.

E questo è niente. Gli Oliver, acronimo di “On-Line Interactive Vicarious Expediter and Responder”, “un facilitatore e risponditore vicario interattivo online”, anticipano in modo straordinario i moderni agenti IA autonomi:

“Su tuo comando, il tuo proprio Oliver prenderà nota (o eviterà di prenderla) di ciò che fai, di ciò che leggi, di cosa compri e dove lo compri. Conoscerà chi sono i tuoi amici, chi sono i tuoi semplici conoscenti. Conoscerà la tua struttura di valori, chi gode di prestigio ai tuoi occhi, per chi sei disposto a fare cosa e con quale priorità, e chi può accedere a quali dei tuoi file personali. Conoscerà le regole della tua organizzazione in materia di informazioni riservate e le norme governative relative alla classificazione di sicurezza”.

Un’altra vignetta rappresenta perfettamente il concetto: Oliver, un computer-segretario, dichiara a un rappresentante delle assicurazioni che il suo capo è fuori ufficio, mentre lo vediamo invece fare capolino tutto felice dietro la scrivania. “Il tuo computer saprà chi gode di prestigio ai tuoi occhi e ti farà da filtro rispetto a un mondo pieno di richieste”. Un sogno che oggi sta diventando realtà, anche se ci appare meno affascinante di quanto potesse apparire all’epoca. Riproporre oggi questi scritti aiuta anche a capire il perché. Licklider descriveva un futuro che non è il nostro, o meglio un futuro che è stato il nostro fino a un certo punto: fin tanto che Internet ha rispettato quel sogno di una rete di comunicazione tra comunità mosse da analoghi interessi, avverando il sogno di Vannevar Bush di un nuovo modo di pensare e creare conoscenza attraverso la comunicazione, il sogno di Licklider è coinciso con il nostro futuro. Ma lui ci aveva messo in guardia: il rapporto con il computer deve essere di tipo simbiotico, non sostitutivo. La critica al concetto di intelligenza artificiale appare evidente tanto nell’articolo pionieristico sulla simbiosi uomo-computer quanto nei suoi scritti successivi (cfr. Ishikawa Kita, 2003): non automazione, ma simbiosi. Solo così sarebbe possibile consentire agli esseri umani di liberare il proprio tempo per “scoprire la propria vocazione”, sfruttando le potenzialità di Internet “poiché l’intero mondo dell’informazione, con tutti i suoi campi e discipline, gli sarà accessibile”, arrivando fino a immaginare la scomparsa della disoccupazione dalla faccia della terra. Viceversa, se i computer saranno usati per soppiantare completamente il pensiero umano, anziché affiancarlo, si realizzerà la profezia di Norbert Wiener, a cui Licklider fu sempre legato. Così scriveva Wiener in The Human Use of Human Beings, “L’uso umano degli esseri umani” (in italiano tradotto come Introduzione alla cibernetica):

“Allorché le persone umane sono organizzate nel sistema che li impiega non secondo le loro piene facoltà di esseri umani responsabili, ma come altrettanti ingranaggi, leve e connessioni, non ha molta importanza il fatto che la loro materia prima sia costituita da carne e da sangue. Ciò che è usato come un elemento in una macchina, è un elemento nella macchina. Sia che noi affidiamo le nostre decisioni a macchine di metallo o a quelle macchine viventi che sono gli uffici, i grandi laboratori, gli eserciti e le società industriali, non avremo mai la risposta giusta alle nostre domande a meno di non porre le domande giuste”
(Wiener, 1966).

Evidentemente dobbiamo ancora impararle a porre.

Letture
  • James Gleick, L’informazione. Una storia, una teoria, un diluvio, Feltrinelli, Milano, 2011.
  • Chigusa Ishikawa Kita, J.C.R. Licklider’s Vision for the IPTO, “IEEE Annals of the History of Computing”, luglio-settembre 2003.
  • Mitchell Waldrop, The Dream Machine: J.C.R. Licklider and the Revolution That Made Computing Personal, Viking, New York, 2001.
  • Norbert Wiener, Introduzione alla cibernetica. L’uso umano degli esseri umani, Bollati Boringhieri, Torino, 1966.