Il meteorite in campagna
e il perturbante ovunque

L’illustrazione di Virgil Finlay del 1941 realizzata per la riedizione
del racconto di Howard Phillips Lovecraft Il colore venuto dallo spazio
(The Colour Out of Space, 1927)
nel volume Famous Fantastic Mysteries.

L’illustrazione di Virgil Finlay del 1941 realizzata per la riedizione
del racconto di Howard Phillips Lovecraft Il colore venuto dallo spazio
(The Colour Out of Space, 1927)
nel volume Famous Fantastic Mysteries.


“Il viaggiatore che nel Massachusetts centro-settentrionale imbocchi il bivio sbagliato al raccordo del Picco d’Aylesbury, appena oltre Dean’s Corners, si ritrova ben presto in una regione strana e solitaria […] Senza sapere perché, si esita a chiedere informazioni alle figure solitarie e deformi che s’intravvedono talora sugli usci cadenti o sui pendii disseminati di rocce. Quelle figure sono tanto silenziose e furtive che destano una sensazione di vicinanza a cose proibite, con cui sarebbe meglio non aver nulla a che fare”
(L’orrore di Dunwich, in Lovecraft, 2017).

Nella famosa favola di Orazio (Satira VI, Libro II), un topolino curioso, inebriato dal lusso e dal fascino della città, lascia la sua sicura dimora di campagna per trasferirsi entro le moenia urbis. Tornerà tuttavia presto sui suoi passi, resosi conto che i suoi tempi di vita e le sue regole sono creature con le quali difficilmente si può combattere (cfr. Orazio, 2013).

La Città: un Mostro con la maiuscola
Da sempre, in America, la provincia, soprattutto quella interna, vive e pensa diversamente rispetto alle grandi città, e considera il suo modello di vita religioso e conservatore migliore, perché più pulito, lontano dal crimine e dall’indifferenza.
L’idea di conoscersi tutti, di lasciare le chiavi sotto la terza rana in giardino senza paura che qualcuno rubi qualcosa, sono valori impossibili da trovare nel dedalo di strade e di etnie delle metropoli, in cui ciascuno, come ben illustrato da Robert E. Park ed Ernest Watson Burgess (1999) e da Clifford Shaw ed Henry McKay a Chicago (1942), vive in competizione con gli altri per affermare sé stesso. 
La Provincia è Sicura, Confortevole, Umana.
Anche qui, tutte aggettivazioni con la maiuscola. Tutto ciò è evidente nei musical americani, Grease su tutti, o nelle sitcom moderne alla Glee, dove il sogno della città non rende meno consapevoli delle solide basi di valori e significati acquisiti fra campi di grano e piccoli empori. O in situazioni più difficili, dove si affermano comunque positività umane difficilmente distinguibili nei templi del consumo e dell’edonismo moderno.
Ne L’albero degli zoccoli (1978), Ermanno Olmi racconta la vita contadina fatta di stenti, fatica, solidarietà. Un mondo duro e difficile in cui non prevalgono mai interessi personali ed egoismi sul rispetto, il senso del dovere, l’accettazione di un destino a volte avverso e opprimente.
Accanto a questa tradizione, a questa visione a tratti idilliaca del mondo rurale e delle sue regole di vita, ne esiste però un’altra, altrettanto radicata, seppur storicamente successiva, che cerca di vedere gli orrori, i demoni, il lato oscuro di queste comunità all’apparenza perfette, da cartolina.

Il colore venuto dallo spazio in versione manga, adatttatto e disegnato da Gou Tanabe.

Una visione o prospettiva che la scrittura, il cinema e l’arte hanno da tempo abbracciato, e con la quale si è costituito, in modo altrettanto forte, l’immaginario collettivo di molti individui. Come spesso accade nella cultura delle società occidentali, si affermano infatti due linee direttrici ben distinte, volte ad esaltare o denigrare il modello di vita prescelto, e il luogo migliore in cui interagire positivamente con gli altri individui. Così coesistono modelli antitetici di realtà, e le loro narrazioni si sovrappongono nella produzione culturale e nella costruzione della kultur di eliasiana memoria (cfr. Elias, 1982).
Nel 2004, in The Village, il regista indiano Night Shyamalan riscrive in chiave moderna, e con riferimenti non troppo velati ai gruppi amish e alla politica conservatrice, il mito della campagna e del villaggio come esempi di purezza, da mantenere ad ogni costo incontaminati, anche con le bugie, la violenza, la segregazione. Un anno prima, in Dogville di Lars Von Trier, ecco emergere tutta la crudeltà e violenza di una piccola comunità che si confronta con lo straniero, con l’altro, con i suoi limiti. Moderna Gemainschaft (Comunità) che deve difendersi dalle esuberanze della Gesellschaft (Società).


Uno dei film tratti dal racconto di Lovecrat, Il colore venuto dallo spazio: Die Grabe (2010) diretto da Huan Vu.

Howard Phillips Lovecraft è forse il primo autore a trasferire in modo stabile e sistematico l’orrore in provincia. Forse perché attratto dai suoi non detti, dalla quantità di sussurri, bisbigli, taciti accordi che si sviluppano all’interno delle piccole comunità; o, semplicemente, perché nato e cresciuto anche lui in una piccola realtà, a Providence, in Rhode Island.
Per lui il vero incubo non può convivere con la luce dei lampioni e con l’aria calda che esce dalle grate della metropolitana. Quella serve a Marylin Monroe nel wilderiano Quando la moglie è in vacanza (1955). 
Il male ha bisogno di silenzi, di cieli stellati, di terreni da invadere e infestare senza dare nell’occhio, senza attirare attenzione. In modo che solo dopo, quando è troppo tardi, qualcuno si accorga della sua presenza. E non un silenzio, una campagna, un bosco qualunque. Quello che ci è più vicino, che conosciamo meglio, che ci sembra più rassicurante, o banale. Lo sostiene con grande precisione l’autore stesso, all’inizio del suo racconto L’illustrazione nella casa, del 1920:

“Gli amanti dell’orrido frequentano luoghi strani e solitari: le catacombe di Tolemaide e i mausolei notturni dei paesi dell’incubo sono fatti per loro. Quando c’è la luna si arrampicano sulle torri in rovina dei castelli del Reno, o si avventurano per neri gradini coperti di ragnatele sotto i resti delle perdute città dell’Asia. Le foreste infestate dagli spiriti e le montagne più solitarie sono il loro sacrario, i sinistri monoliti di isole disabitate la loro attrattiva. Ma il vero epicureo dell’orrore, l’individuo per il quale un brivido di terror macabro rappresenta il fine principale e la giustificazione dell’esistenza, agogna le antiche fattorie nei boschi del New England, perché in esse i tenebrosi elementi che gli stanno a cuore – potere, solitudine, senso del grottesco e superstizione – si uniscono a formare la perfezione dell’orrore”
(Lovecraft, 2017).

Il terrore è accanto a noi, un male che si potrebbe definire, con un’accezione profondamente diversa da quella data da Hannah Arendt, “banale”, in quanto non legato a situazioni o luoghi eccezionali. Arkham, che nei suoi racconti spesso sostituisce Providence, la piccola città del Rhode Island in cui è nato, diviene così in La casa delle streghe (1932) il punto di incontro di forze antiche e moderne che ne corrodono le fondamenta, rendendola un luogo ameno solo in superficie, mentre nelle sue profondità cova il male e l’oscurità:

“Sullo sfondo, come una ferita che non si rimargina, era acquattato l’orrore dell’antica città di cui sembrava impregnata in special modo l’ammuffita, sacrilega soffitta in cui Gilman studiava, prendeva appunti e si dibatteva tra formule e diagrammi finché la stanchezza non lo obbligava a sdraiarsi sul lettuccio di ferro […] Di notte la sottile inquietudine del dedalo di buie stradine all’esterno della soffitta, il sinistro zampettìo dei topi nelle intercapedini dei muri, lo scricchiolìo di una delle innumerevoli travi tarlate dell’edificio plurisecolare, gli facevano l’effetto di una stridula, infernale cacofonia […] Si trovava nell’immutabile città di Arkham, percorsa da infinite leggende, i cui tetti a mansarda si stringono l’un l’altro e s’incurvano sulle soffitte in cui si rifugiavano le streghe, braccate dagli uomini del Re, ai tempi remoti e oscuri della Provincia”
(ibidem).

Un destino simile a quello della Jerusalem’s Lot di Stephen King, dove il vampirismo, prima in modo saltuario e poi via via sempre più intenso, estirpa vita e quotidianità del piccolo centro.

“Sostò un momento, guardandosi intorno. Gli edifici commerciali e i negozi, con le loro pompose facciate finte, erano deserti. La pioggia, che aveva iniziato a cadere verso mezzogiorno, batteva sulle case, sommessa e regolare, come in lutto. Il piccolo parco pubblico dove aveva conosciuto Susan Norton era vuoto e abbandonato. Il municipio era coperto di ombre indistinte. TORNO SUBITO diceva il cartello appeso alla porta dell’agenzia di Larry Crockett. L’unico rumore che si sentiva era il crepitare sommesso della pioggia. Risalì pian piano, a piedi, la Railroad Street; i suoi passi echeggiavano sul selciato. Giunto da Eva, sostò presso la sua macchina per un momento, guardandosi intorno per l’ultima volta. Nulla si muoveva”
(King, 2013).

O a quello di Twin Peaks, dove per David Lynch l’odore del caffè appena fatto e della torta di ciliegie si confonde con quello di motore che serve ad aprire le porte della Loggia Nera, la dimora di coloro che tornano in terra per rubare le anime dei vivi.
Anche se molti conoscono Lovecraft soprattutto per i cosiddetti Miti di Cthulhu (cfr. Derleth, 1975), in cui l’autore costruisce una propria mitologia fatta di divinità negative e mostruose in lotta per la riconquista della Terra contro l’umanità, incapace di opporre alcuna resistenza a queste forze spaventose e incomprensibili alla sua ragione, è proprio all’esterno di essi che si ritrovano alcuni dei caratteri più interessanti della sua produzione letteraria. Riferimenti al romanzo gotico e a Edgar Allan Poe, che però egli riesce ad attualizzare e a modernizzare, riproponendo in chiave personale alcuni caratteri del brivido già precedentemente affrontati.

La copertina dell’album The Colour Out of Space con letture di Matt Abbott e ambient mucis di Wesley Slover.

Uno dei racconti più riusciti, capace, ancora oggi, se letto di notte in una casa di campagna piuttosto isolata, di provocare più di un brivido all’incauto lettore, è Il colore venuto dallo spazio, un racconto del 1927.
A occidente rispetto alla misteriosa Arkham esistono valli dagli alberi contorti e dai ruscelli che non vedono mai la luce del sole. Un luogo ricco di grotte, pietre che si elevano verso il cielo, misteri della natura che inquietano l’uomo.
Uomo che ha provato a vivere e dominare quelle valli, ponendoci le proprie case e le proprie fattorie, ma che nel tempo ha abbandonato il suo progetto, tornando verso la città, la luce, la sicurezza. Solo pochi matti resistono a contatto con qualcosa che ha reso la loro mente sempre più fragile, convivendo con la sensazione di un orrore che non devono o possono razionalizzare. Lovecraft inizia così il suo racconto, e subito si capisce che non vi è nulla di rassicurante o confortevole in questi territori. Anzi, tutto è così angosciante che la stessa natura cerca di racchiuderlo e circoscriverlo, con un fitto bosco a cingere le valli.

“Una volta c’era una strada che attraversava le valli e le colline in linea retta, puntando dove ora si trova la landa folgorata, ma la gente ha smesso di usarla; perciò è stata preparata una nuova arteria, che gira intorno alla landa e piega molto a sud. Le tracce della via vecchia si notano ancora tra la vegetazione selvatica che riprende il sopravvento, e qualcuna resterà anche dopo che metà delle valli saranno inondate dalle acque del nuovo bacino. Allora i boschi oscuri verranno abbattuti, e la landa folgorata dormirà sotto acque azzurre la cui superficie specchierà il cielo increspandosi alla luce del sole. E i segreti di quei terribili giorni saranno tutt’uno con i segreti dell’abisso, tutt’uno con la sapienza occulta del vecchio oceano e i misteri della terra primitiva”
(Lovecraft, 2017).

Il narratore della storia è un esterno, un cittadino, venuto ad Arkham per portare il progresso. Non crede alle leggende, ai malefici, al male. Razionalizza tutto, è curioso, sembra guidato da un assoluto spirito positivista nelle cose. Ride della “landa folgorata”, di questo nome che i “buoni selvaggi” della provincia hanno dato al posto, e non pensa che al suo lavoro, e al modo migliore per concluderlo. Poi la vede. Vede le valli, il terreno, i suoi inusuali caratteri. Vede una terra sulla quale nulla cresce, o si rifugia. Vive quel senso di profonda inquietudine e angoscia, non si sente tranquillo, la ragione vacilla. Ha bisogno di parlare, di capire, di chiedere spiegazioni. Ma nessuno vuole esporsi. Solo mezze frasi, mezze ammissioni, l’idea che molto venga celato o nascosto è un tarlo che logora la mente di un cittadino abituato a cose esibite e manifeste.
L’unico disposto a parlare è un vecchio matto che vive nella valle, che ha visto e sentito ciò che accade in quei “giorni strani” e che, proprio perché solo, lasciato ai suoi ricordi e alle sue memorie, non ha nulla da perdere nell’esporsi in prima persona. 
Tutto ha inizio una sera, con l’arrivo di uno strano meteorite nella fattoria di Nahum Gardner. Il meteorite rimpicciolisce, per poi sparire, in pochi giorni. Ma man mano che diventa più piccolo rende il terreno intorno a lui diverso, come coperto da un alone più scuro che non si percepisce con precisione ma del quale si avverte subito la presenza. Le conseguenze diventano evidenti nei mesi a seguire. La frutta degli alberi, cresciuta bella e copiosa come non mai, risulta immangiabile per via di un retrogusto amaro e tossico che la pervade. Sempre più animali del terreno mostrano singolari alterazioni, divenendo più grandi, più forti, più aggressivi. La cosa non può passare inosservata.

“La gente assicurava che intorno a casa di Nahum la neve si sciogliesse più in fretta che altrove, e ai primi di marzo ci fu un’animata discussione nel magazzino di Potter a Clark’s Corners. Quella mattina Stephen Rice era passato accanto alla casa dei Gardner e aveva notato che al di là della strada, dalla terra fangosa che lambiva il bosco, cominciavano a far capolino i cavolfiori. Non si erano mai viste cose simili, e brillavano di colori ch’era impossibile descrivere […] Quel pomeriggio diverse persone andarono nella zona in calesse per vedere i cavoli abnormi. Tutti acconsentirono che vegetali del genere non avrebbero dovuto nascere in un mondo sano”
(ibidem).

Gli scienziati, la civiltà mandata a capire e spiegare la cosa, rimangono senza alcuna idea su cosa succeda o quali possano essere le conseguenze di questa situazione. Più volte, in questo racconto, l’ingenua scienza dell’uomo non sarà in grado di comprendere o difendersi dall’incognito che la sovrasta.
Presto gli alberi iniziano a germogliare prima, con colori e tinte mai viste, inusuali. E a brillare di notte, rischiarando i terreni intorno alla casa di Nahum Gardner. Gli insetti diventano più numerosi, più grandi, più invadenti e pericolosi. I grandi aceri iniziano a muoversi verso il cielo anche senza vento, alla ricerca di non si sa bene cosa. Gli animali si ammalano. La signora Gardner diviene pazza. La fattoria rimane isolata e la famiglia ostracizzata dalla comunità locale.

“Non molto tempo dopo il cambiamento dell’erba e delle foglie fu visibile all’occhio. La verzura prese un colore grigiastro e manifestò una straordinaria fragilità. Ammi era ormai l’unica persona che visitasse la fattoria, ma anche quelle visite erano sempre più rare. Quando le scuole chiusero i Gardner si trovarono virtualmente isolati dal mondo”
(ibidem).

Tutto diviene malato, insalubre, guasto. Ciò che prima era innaturalmente rigoglioso, ora è morente, marcio, in decomposizione. Il vicino, dopo diverse settimane di silenzio, si reca a vedere cosa è rimasto della allegra famiglia che conosceva, di quel terreno una volta normalmente armonioso e ora corroso dall’interno da una forza oscura e implacabile. Vi trova solo morte, pazzia, rassegnazione. 
Nulla può fare più, se non cercare di evitare che quel luogo maledetto, quel “colore” che avvelena tutto e che succhia la vita, non possa espandersi oltre.

“La casa splendeva di un orrendo miscuglio di colori sconosciuti e così gli alberi, gli edifici e perfino l’erba e la vegetazione che non si era del tutto trasformata in friabile grigiore. I rami puntavano tutti al cielo, sormontati da terribili lingue di fiamma, mentre i bracci secondari di quell’incendio mostruoso si insinuavano fra le travi della casa, della stalla e dei capanni […] su tutto regnava il tripudio di quella luce senza forma, arcobaleno estraneo e senza dimensioni di veleno misterioso che s’alzava dal pozzo. Si alzava e fremeva, lambiva, tastava, sondava, scintillava, ribolliva malefico nel suo cromatismo cosmico e irriconoscibile.”
(ibidem).

Ecco così che contatta le autorità, gli scienziati, la magistratura. Tutto viene visto, analizzato, spiegato in modo scientifico o ignorato, laddove la scienza non può dimostrare la sua correttezza sul campo. Nessuna soluzione viene trovata. Una famiglia è stata distrutta e un luogo rimane ancora pericoloso, con la sua luminescenza notturna, i suoi alberi sempre più secchi e morenti, il suo strano colore pronto a muoversi ancora, alla ricerca di un nuovo mondo da infestare.
Così dice il vecchio, trattenendo a stento la commozione e il terrore. Il racconto gela il sangue del narratore e di tutti quei lettori che, nella loro vita, hanno attraversato un luogo sentendolo ostile, nemico, pieno di oscuri e malvagi segreti. Essi hanno quindi un’unica possibilità di salvezza: archiviare come credenze questa storia, dar torto al povero pazzo incapace di vedere la realtà delle cose. Razionalizzare. Per non essere travolti da quel senso di disagio, ora più consapevole dopo questa narrazione, che alle volte si manifesta nel vedere o passare per un luogo in cui non tutto, non sempre, è spiegato alla mente come al cuore o all’istinto.

Letture
  • August Derleth (a cura di), I miti di Cthulhu, edizione italiana a cura di Sebastiano Fusco, Gianfranco de Turris, Fanucci, Roma, 1975.
  • Norbert Elias, La civiltà delle buone maniere, Il Mulino, Bologna, 1982.
  • Anthony Giddens, Il mondo che cambia, Il Mulino, Bologna, 2002.
  • Stephen King, Le notti di Salem, Sperling & Kupfer, Milano, 2013.
  • Howard Phillips Lovecraft, Tutti i racconti, Mondadori, Milano, 2017.
  • Orazio, Satire in Opere, Utet, Novera, 2013.
  • Robert Ezra Park, Ernest Watson Burgess, La Città, Edizioni di Comunità, Torino, 1999.
  • Clifford Shaw, Henry McKay, Juvenile Delinquency and Urban Areas, The University of Chicago Press, Chicago, 1942.
Visioni
  • David Lynch, Twin Peaks: The Entire Mystery (stagioni 1 e 2), Paramount, 2014 (home video).
  • Ermanno Olmi, L’albero degli zoccoli, CG Entertainment, 2013 (home video).
  • Night Shyamalan, The Village, The Walt Disney Company, 2005 (home video).
  • Lars Von Trier, Dogville, Warner Bros Entertainment, 2013 (home video).