Cominciamo dalla fine. Dopo quasi due ore di meravigliosa narrazione, fatta di dissoluzione degli spazi e di andamenti temporali non lineari (fitta di flashback e flashforward da ricostruire continuamente), Fuori di Mario Martone stacca su un ulteriore fuori campo: il qui e ora degli spettatori. Sui titoli di coda ecco apparire infatti la vera Goliarda Sapienza, in uno studio televisivo, intervistata da Enzo Biagi pochi anni dopo i fatti del film. Sono un paio di minuti illuminanti, tra spettatori come noi che scriviamo sempre desiderosi di qualche contenuto extra, e tanti invece sulla via di un altro fuori, quello dell’uscita dalla sala. Illuminanti perché ci mostrano senza filtri perché l’Italia dei salotti benpensanti, della televisione e non solo, non poteva capire uno sguardo extra, del tutto fuori squadra e fuori formato, come quello di Sapienza, intellettuale libera, antifascista e anticonformista. Il paternalismo di Enzo Biagi, custode della triste morale comune di quegli anni, è insopportabile: il giornalista la interrompe e non le consente di raccontare quello che Sapienza desidera raccontare, come scrittrice e donna, libera di farsi ispirare dall’esperienza del carcere che ha vissuto a modo suo. Il film di Martone è innanzitutto un discorso audiovisivo, fatto di sbarre, cancelli, recinsioni, confinamenti, ovverossia un discorso sul dentro e sul fuori, su cosa rende dentro e su cosa sia fuori. Dentro e fuori sono interconnessi e intercambiabili, dentro è fuori e viceversa, sembrano dirci Martone e la sceneggiatrice Ippolita Di Majo, sulla scorta dei due romanzi di Sapienza da cui il film trae liberamente ispirazione (e informazioni): L’università di Rebibbia e Le certezze del dubbio. In questi due romanzi la cosa più interessante fatta da Sapienza è raccontare le detenute come persone, e questo è il primo dato importante da cui partire per inquadrare il film. Qual è il vero carcere che soffoca e imprigiona le persone nella vita reale e i personaggi dei romanzi di Sapienza? Il dentro della prigione o il fuori di una calda estate romana del 1980?
La tesi del film fa saltare in aria le differenze e confonde non solo gli ambienti ma anche, come detto, il flusso temporale. Il fuori, dice nel film Goliarda a proposito degli ambienti salottieri della Roma bene, è una “piccola galera giudicante” che emette sentenze inappellabili: è in altre parole la società che stigmatizza severa chi finisce in carcere, e lo fa in maniera inappellabile. A snobbare Sapienza non erano solo gli ambienti giornalistici e salottieri che ricordavamo in apertura ma anche e soprattutto l’editoria a tutto tondo. Tre anni prima che l’edizione Einaudi del 2008 trasformasse L’arte della gioia, il capolavoro di Sapienza a cui la scrittrice ha lavorato per una vita intera, come mostra in più punti Fuori (“Quel libro sono io” dice Goliarda), in un long-seller, è stata la casa editrice francese Hamy a (ri)scoprirlo e pubblicarlo con sorprendente successo di pubblico e di critica (e prim’ancora da segnalare una meno fortunata edizione in tedesco). Mentre era in vita, però, del suo romanzo Sapienza vide pubblicate soltanto le prime pagine da Stampa Alternativa, solo grazie agli sforzi del marito Angelo Pellegrino (ottimamente interpretato in Fuori da Corrado Fortuna).
Oggi Sapienza sta vivendo un momento magico. Martone aveva già trasformato in spettacolo teatrale qualche anno fa un altro suo libro autobiografico, Il filo di mezzogiorno, sempre con Di Majo ai testi, dove apprendevamo che Sapienza aveva tentato il suicidio due volte, e aveva fatto esperienza di un’altra istituzione totalitaria, l’ospedale psichiatrico, con tanto di elettroshock (siamo all’altezza degli anni Sessanta), per poi intraprendere anche un’analisi freudiana. E da poco Valeria Golino, che in Fuori interpreta magistralmente, tutta in sottrazione, Goliarda, è la co-regista della splendida serie tv L’arte della gioia, uscita su Sky Atlantic nel 2025 per il centenario della nascita della scrittrice.
Valeria Golino è una convincente Goliarda Speranza.
Torniamo a Fuori. Goliarda, in una calda estate romana illuminata magnificamente da Paolo Carnera, finisce in carcere per aver derubato un’amica, di quei salotti borghesi e intellettuali che mal la digerivano, di alcuni gioielli. Il tempo trascorso da Goliarda in carcere, un mese e mezzo, assolta infatti dal dolo del furto, che ha cambiato il modo di Sapienza di percepire la realtà, sia interna che esterna, s’interpola con il presente narrativo e riemerge dal suo fuoricampo fatto di ricordi in un gioco di andirivieni temporali di non sempre immediata ricostruzione: il prima e il dopo si stratificano su un dentro e fuori, di spazi fisici e mentali, che progettualmente formano un continuum che è di fatto la vita di Goliarda. Fantasia e realtà si confondono continuamente, progettualmente. In carcere Goliarda stabilisce con altre donne, in particolare Roberta (interpretata da Matilda De Angelis nella migliore performance della sua giovane ma già ricca carriera), eroinomane e con un processo per banda armata, come confessa a Goliarda, e Barbara (una brava Elodie), incarcerata per aver aiutato un fidanzato malavitoso, ma anche almeno da altre comprimarie come “James Dean” (Daphne Scoccia) e Suzie Wong (Sonia Zhou) un rapporto di sorellanza, amicizia, solidarietà. A proposito di questo legame, chiosa la stessa Goliarda al marito: “Io quando sono con loro mi sento ancora dentro”. Cioè, libera. “Con quelle donne a Rebibbia mi sembrava una libertà pazzesca, impensata. Loro stanno dentro anche quando stanno fuori”.
Da sinistra: Barbara (Elodie), Goliarda (Valeria Golino) e Roberta (Matilda De Angelis).
Il film ci obbliga a questi continui rovesciamenti di senso e a queste messe in discussione di ogni certezza acquisita. Roberta e Goliarda in particolare si raccontano, scontrano, confidano, flirtano, riproducono una relazione madre-figlia impossibile. La sessualità femminile di Goliarda, Roberta e Barbara sfida una società chiusa e perbenista non molto distante dalla nostra. La questione femminile, così come quella del carcere, sono irrisolte nel nostro paese, e non solo, che Sapienza mette al centro della sua opera, e che Martone pone qui in tutta la loro potenza e attualità.
Attenzione poi alla colonna sonora del film. Accanto alle bellissime musiche originali di Valerio Vigliar, Fuori si avvale di un repertorio da brividi firmato tra gli altri da Robert Wyatt, dapprima batterista, nonché uno dei fondatori dei Soft Machine, e in seguito al terribile incidente che lo paralizzò per sempre dalla vita in giù, reinventatosi cantante inimitabile e soprattutto finissimo compositore: da Memories (che riprese dal repertorio della band pre Soft Machine, i Wilde Flowers), a Blues in Bob Minor (tratto da Shleep del 1997), da Little Red Riding Hood Hit the Road dal quel capolavoro assoluto che è Rock Bottom a Round Midnight (standard jazz di Thelonious Monk ripresa da Wyatt nel 1984) e The British Road (da Old Rottenhat, 1985). Martone articola a partire da questi brani scene e sequenze di film assolutamente importanti. All’inizio del film, per esempio, quando Goliarda esce dal carcere, e sulle note di Round Midnight la vediamo condurre la sua vita quotidiana tra le difficoltà di trovare un lavoro, anche se precario, a cinquant’anni e passa e con il desiderio incessante, notturno, di scrivere.
O ancora, leggiamo il testo di Memories:
*“I know I cannot leave this place / Full of memories / Things like the way they knew us / All over town / We used to walk the streets together / We could be seen / Past shops where people knew us / Yeah, people knew / I’ve got to choose between tomorrow / And yesterday / I can’t stop to think about / My life, here today”.
Qui, in questo presente, in questo qui-e-ora, risiede il fulcro del film. Il resto, anche se è di capitale importanza, come vediamo di sfuggita in un paio di occasioni, e alludiamo alla data del 2 agosto 1980, resta fuori, fuori campo e fuori tempo. Come nella scena della consegna di un articolo di giornale, vediamo la data del 2 agosto sullo sfondo, ma non sentiamo né vediamo nessun riferimento più articolato alla strage di Bologna. Quando Goliarda lascia la redazione del giornale, dopo aver dichiarato polemicamente al caporedattore con cui si incontra che “Non ho più neanche voglia di scrivere”, parte Memories, mentre la macchina da presa segue Goliarda percorrere strade di campagna fuori dal centro di Roma fino a finire in un boschetto dove si stende su un tronco d’albero con la camera che ora la riprende in primo piano dall’alto, lei pensierosa, con le lacrime agli occhi. La canzone di Wyatt rende potentissima la scena. Un altro momento di grande forza è inoltre la canzone cantata da Elodie e “James Dean” che coinvolge molte carcerate, Sinnò me moro di Carlo Rustichelli e Pietro Germi (da Un maledetto imbroglio). Come in un fuori campo e in un fuori tempo senza ritorno il film finisce sulla scomparsa, annunciata, di una delle sue protagoniste, Roberta, che come accennato incarna due tra le anime del decennio dei Settanta appena conclusosi: il terrorismo che ha nella strage fascista di Bologna il suo punto massimo di orrore, e l’eroina che ha decimato una generazione.
Roberta consegna nella stazione di Termini a Goliarda le lettere di detenuti politici ma che anche di persone comuni (“che sono le più belle, le più politiche”). Lo spazio della stazione duplica nel finale l’inizio del film, quando Goliarda fa il suo ingresso in carcere in una sorta di sottopasso di stazione. È questo il lavoro nascosto che sta facendo Roberta: difendere i carcerati raccogliendo testimonianze e offrendo supporto. La consegna di questa valigetta stracolma di lettere avviene perché Roberta ha bisogno di dare senso a questo lavoro di testimonianza e per dargli senso è necessario dargli forma, se si vuole letteraria. Roberta ha visto e toccato con mano il baule pieno di carte di Goliarda, in primis le centinaia di pagine de L’arte della gioia e ora sa che l’amica è la persona giusta a cui affidare il suo segreto. Il film finisce ancora una volta sulle note di Memories, mentre Goliarda cerca di rincorrere una ormai svanita per sempre Roberta.
Da sinistra: Matilda De Angelis, Daphne Scoccia, Elodie, Sonia Zhou, Valeria Golino.
Il film, come detto, ha un epilogo con la vera Sapienza intervistata alla TV, unica donna tra uomini giudicanti. E chiude un cerchio perché si era aperto con un altro reperto dal reale della scrittrice, una foto dove vediamo Goliarda al mare, spensierata. “Perché scrivi”, le aveva chiesto Roberta; “Per stronarmi”, dice Goliarda, “come fai te con l’eroina”. In questo neologismo, “stronarmi”, che Sapienza lega alla dipendenza da eroina dell’amica Roberta, sta uno dei sensi profondi del film. “Se un giorno io non ne potessi più di questo mondo e ne volessi uscire tu mi aiuteresti, mi inietteresti un’overdose per aiutarmi?”, aveva chiesto Goliarda a Roberta. E Roberta ovviamente aveva rassicurato l’amica. Tutte le donne, in Fuori, ma in particolare Goliarda e Roberta mostrano un’infaticabile ricerca della vita, dell’umano, di un contatto materico ancora credibile, in una società fatiscente e che puzza di morte. Martone, sempre più all’insegna di Giacomo Leopardi, miscela in questo film malinconia e consapevolezza della condizione umana. In fin dei conti, Fuori parla di libertà soprattutto femminile e di come sia possibile costruirsela attraverso uno sforzo politico, amicale, collettivo, anti-individuale, relazionale, a partire da amicizie femminili, eros, maternità, condizione di essere figlie. A partire, e questo è forse il dato più universale del film, dalla storia di una persona, Goliarda, che per un periodo si era persa, che sapeva di valere ma non vedeva riconosciuto il suo valore, e che attraverso un’affinità elettiva, Roberta, si ritrova. Da non perdere, assolutamente.
*Non posso andarmene da qui, lo so / Trabocca di ricordi / Tipo che ci conoscevano in tutta la città / Ci vedevano camminare assieme per la strada / Passare davanti ai soliti negozi / Quelli in cui andavamo, sì / Mi tocca scegliere tra il futuro / E il passato / E non riesco a smettere di pensare / Alla mia vita com’è qui adesso.
- Valerio Vigliar, Fuori!, Colonna sonora originale, FM Records Music, 2025.
- Robert Wyatt, Memories, in Eps, Domino, 2008.
- Robert Wyatt, Round Midnight, in Eps, Domino, 2008.
- Robert Wyatt, Little Red Riding Hood Hit the Road in Rock Bottom, Domino, 2008.
- Robert Wyatt, The British Road, in Old Rottenhat, Domino, 2011.
- Robert Wyatt, Blues in Bob Minor in Shleep, Domino, 2015.
- Goliarda Sapienza, L’arte della gioia, Einaudi, Torino, 2014.
- Goliarda Sapienza, L’università di Rebibbia, Einaudi, Torino, 2016.
- Goliarda Sapienza, Le certezze del dubbio, Einaudi, Torino, 2022.
- Anna Amendola, Virgina Onorato, Intervista a Goliarda Sapienza (1994).
- Valeria Golino, Nicolangelo Gelormini, L’arte della gioia, miniserie, Sky Atlantic, 2025.

