Cose oscure e inquietanti
rimbombanti senza sosta


Allen Ravenstine
Waiting for the Bomb
Rer Megacorp, 2018


Allen Ravenstine
Waiting for the Bomb
Rer Megacorp, 2018


Quando On the Beach arrivò nelle sale cinematografiche, Alley Ravenstine aveva circa nove anni. Era il 1959. Il film di Stanley Kramer, che in Italia si intitolò L’ultima spiaggia, sfoggiava un cast di gran classe. Includeva Gregory Peck, Anthony Perkins, Fred Astaire e Ava Gardner, ma è un altro il motivo per cui Ravenstine se ne ricorda, citandolo nel suo ultimo disco, il concept album Waiting for the Bomb: la paura della bomba (“When I was a kid, we all lived in fear of the bomb”, così si aprono le note dell’album).
La pellicola di Kramer metteva in scena gli ultimi mesi dell’umanità prima dell’apocalisse nucleare e l’infanzia di Ravenstine e di milioni di suoi coetanei fu tutta all’ombra di quella minaccia spaventosa che si manifestava nel quotidiano con prove pratiche di evacuazione e fuga nei rifugi anti atomici: un incubo.
A distanza di sessant’anni quell’incubo resiste e si aggira nelle menti di diverse generazioni di cittadini statunitensi (e non solo). Da un alto i test atomici voluti da Kim Jong-un e il grugno minaccioso di Donald Trump ne hanno rinverdito i fasti, dall’altro, eterno come tutti i fantasmi, il Fungo appare con implacabile costanza nell’universo della fiction. Deve’essere che siamo ancora in attesa della bomba, come annota Ravenstine.

In particolare, lo scorso anno il Fungo è emerso in tutta la sua agghiacciante manifestazione di potenza in quella gigantesca trappola ermeneutica creata da David Lynch nell’ultra discusso Gotta Light, ottavo episodio della terza stagione di Twin Peaks: sei minuti di ripresa del primo test atomico a White Sands nel Nuovo Messico il 16 luglio 1945. L’origine del Male.
E così c’è stato chi è ripartito dalla propria infanzia facendosi dare una mano da una madeleine per sorbire del tè e chi invece trova soccorso in una bomba, anzi la Bomba. E se dietro quella piccola pasticceria proustiana scalpitava la Grande Guerra, all’ombra della Bomba c’era l’Apocalisse in persona, che fece il suo esordio in quella mattina del 6 agosto 1945 a Hiroshima in Giappone.
La storia è nota: i cittadini degli Stati Uniti d’America hanno per anni e anni vissuto nell’incubo dell’attacco militare definitivo portato da Est con Bombe prima chiamate atomiche e in seguito all’idrogeno. La guerra fredda è stata sempre a un passo dal diventare bollente oltre l’immaginabile e la maggior parte di quegli adulti di quel tempo oggi riposano in pace e in massima parte non hanno lasciato questo mondo in modo cruento.
Il testimone di quell’incubo quotidiano è stato passato agli ex ragazzini di un tempo, per i quali l’atomic age è qualcosa che si confonde con altri incubi e fobie che puntualmente fanno compagnia ai più giovani. I ricordi di Ravenstine vanno a sovrapporsi alle narrazioni fantascientifiche che mettevano in scena le infinite varianti dell’Apocalisse. Non c’è solo On the Beach. Ravenstine con la memoria va a un episodio di Ai confini della realtà intitolato Il rifugio (The Shelter, sempre 1959, terza stagione della serie), dove invasione, ufo e fuga in un bunker anti bomba danno vita a un cinico cocktail.

La fantascienza d’altronde si è sbizzarrita non poco sul tema, nessun autore escluso vi si è dedicato, non solo negli anni d’oro della minaccia rossa (anche in Italia), ma anche in seguito e la saga Terminator lo prova.
Materia prediletta ma non appannaggio unico delle narrazioni sci-fi; basti pensare al poema The Bomb scritto da uno dei maggiori protagonisti della Beat Generation, Gregory Corso. Inserito nella raccolta Happy Birthday of the Death del 1960 aveva un andamento dei versi che graficamente ricreava la forma di un fungo. Tornando a Ravenstine, dopo la scuola che lo forgiò anche grazie all’incubo tra gli incubi, si dedicò alla musica e in compagnia di altri duri risanatori del rock, all’epoca mezzo affogato tra barocchismi progressive e kitscherie del glam, diede vita alla miglior band del punk made in Usa: i Pere Ubu da quel di Cleveland, Ohio.
Raffinati ricercatori di nuovi suoni e al tempo stesso maceratori di ogni inutile orpello, nacquero dalle ceneri di diverse formazioni proto punk a iniziare da quella capitanata dal corpulento David Thomas, cantante, leader e icona del gruppo: i Rocket From The Tombs (quando si dice le affinità elettive). I Pere Ubu nascono a metà dei Settanta e dalla band precedente Thomas si porta dietro il chitarrista Peter Laughner.
Allestiscono una propria etichetta, la Hearthan, con la quale pubblicano tre singoli: 30 Seconds Over Tokyo, Final Solution (entrambi dal repertorio dei Rocket From The Tomb) e Street Waves. Brani al vetriolo che “[…] rappresentano uno dei lasciti più stupefacenti del primo punk americano, indecisi tra la tradizione rock’n’roll (seppure per nulla convenzionale nelle soluzioni sonore) e una spinta avanguardistica che caratterizzerà buona parte della lunga carriera. La voce particolare di Thomas e la sua incredibile presenza scenica rendono i Pere Ubu una band indefinibile, certamente contaminata col punk, ma così imprendibile e particolare da rifiutare a priori qualunque etichetta.
Dopo il piccolo successo di Final Solution, sarà l’esordio a 33 giri su Blank Records, The Modern Dance (1978), a consacrarli definitivamente, nonostante l’abbandono di Peter Laughner, il quale morirà di lì a poco per complicazioni dovute all’abuso di alcool e droghe. I Pere Ubu legheranno nel corso degli anni il loro nome a una formula più indefinibile e circoscrivibile al post-punk anche grazie a dischi come Dub Housing, The Art Of Walking e New Picnic Time, finendo per diventare band di culto capace di spaziare tra musica colta e pop fino ai giorni nostri” (Gilardino, 2017).
Tutti album che vedono all’opera Ravenstine. La sua opera preziosa di sperimentatore di suoni su tastiere di ogni tipo si prolungherà fino al 1989, quando, dopo l’uscita dell’album Cloudlands, chiuderà l’esperienza con i Pere Ubu e le esperienze collaterali con i Red Krayola, altra band fuori dagli schemi e dall’estemporanea formazione dei Wooden Birds allestita da Thomas; una costola dei Pere Ubu che vedeva coinvolto anche l’ex Henry Cow Chris Cutler alla batteria.
Tutto fa pensare all’avvio di una carriera solistica e invece Ravenstine si prende la licenza per fare l’istruttore di volo per piloti di charter e avvia un percorso lavorativo di tutt’altro genere. Cala il sipario.
Bisogna attendere la primavera del 2012 per rivederlo all’opera, quando incontra in uno studio dell’Ontario un altro ex Pere Ubu, Robert Wheeler, anch’egli avvezzo a scavare nel mezzo elettronico alla ricerca di nuove formule sonore. In programma c’era un’intervista per il documentario del film-maker canadese Robert Fantinatto, I Dream of Wires, dedicato al ruolo dei sintetizzatori modulari nella musica elettronica.

Dovevano essere venti minuti d’intervista e basta, invece ne vengono fuori due giorni di sedute documentate sui compact disc City Desk e Farm Report. I due non avevano mai suonato prima insieme, eppure il risultato è sorprendente. Sul sito ufficiale dei Pere Ubu, Wheeler lo ha commentato così: “Meditazioni elettroniche, musica per ambienti, paesaggi immaginari; il risultato finale di questo notevole incontro si può descrivere in dozzine di modi. Fatto sta che non avete mai sentito niente di simile a ciò”.
Nel 2015 arriva il primo album a suo nome The Pharaoh’s Bee, che esplora ulteriormente le potenzialità del mezzo offrendo passaggi suggestivi, ma non oltrepassando i confini della ricerca timbrica e dinamica. A produrlo è la ReR Megacorp di Cutler, amico ritrovato dopo il fugace passaggio nei Wooden Birds.
Ravenstine ci ha preso gusto ed ecco che all’inizio del 2018 sbucano diverse registrazioni giovanili inedite, pre Pere Ubu e coeve. Il primo è intestato a un altro collettivo sperimentale di Cleveland, i ruvidi Hy Maya, e il materiale recuperato va a comporre il doppio The Mysticism of Sound & Cosmic Language. Il secondo è una sonata elettroacustica composta e registrata da Ravenstine nel 1975 in compagnia di Albert Dennis al basso: Terminal Drive.
Archivi del passato, sperimentazioni anch’esse dal sapore vintage, nulla che facesse però presagire questo piccolo capolavoro che mette in musica il ricordo spettrale di un autentico spettro: Waiting for the Bomb, prodotto sempre dalla ReR Megacorp, uscito appena un anno dopo 20 Years In A Montana Missile Silo dei suoi ex compagni d’avventura, i Pere Ubu, che hanno realizzato un album all’ombra della medesima suggestione, la bomba e la vita in un rifugio anti atomico.

Per fabbricare questa messa in musica di un fantasma mai domo, Ravenstine ha fatto in pratica tutto da solo nel suo appartamento di New York utilizzando apparecchiature analogiche e digitali più svariati hardware e software per innalzare il suo poema alla bomba, quasi un controcanto al citato poema di Corso: “Io ti canto Bomba / Prodigalità della Morte / Giubileo della Morte / Gemma dell’azzurro supremo della Morte” (in Pivano, 1980).
Ne è saltata fuori una colonna sonora per un’apocalisse immaginaria, sempre possibile, ben immaginata da Ravenstine che avvolge tutto in un’atmosfera assai notturna, inventa brevi riff che segnano il tempo, depista con passaggi di apparente serenità (si ascolti il primo brano: Sentimental Duet, easy jazz da fine serata), allarma quanto basta (l’esemplare brano eponimo), lascia serpeggiare ovunque l’inquietudine, l’attesa dell’irreparabile (la melodia sognante e inquietante di The 537 to White Plains, per esempio). Nessun effetto terrorizzante, nessun espressionismo sonoro.

Non un brano fuori registro, ed è inutile indicarne uno o l’altro, perché è il flusso del ricordo oscuro ad avvincere in una sequenza che non inciampa mai, che non registra cadute di tono, frutto di una felicità compositiva che forse si spiega solo nel bisogno mai risolto sinora di esorcizzare il più grande sonno della ragione mai concepito, “l’orrore… l’orrore” per dirla con il colonnello Kurtz.
Quanto a Ravenstine, viene spontaneo chiedersi: ma a che cosa pensava quando faceva addestramento sui charter?

Ascolti
  • Pere Ubu, Elitism for the People 1975-1978 (include: The Modern Dance, Dub Housing, The Hearpen Singles, Manhattan: Live At Max’s Kansas City), Fire Records, 2015.
  • Pere Ubu, Architecture of Language 1979-1982 (include New Picnic Time, The Art of Walking, Song of the Bailing Man, Architectural Salvage), Fire Records, 2016.
  • Pere Ubu, Les Haricots Sont Pas Salés 1987-1991 (include: The Tenement Year, Cloudland, Worlds in Collison, Songs from the Lost Album), Fire Records, 2018.
  • Hy Maya, The Mysticism of Sound & Cosmic Language, Smog Veil Records, 2017.
  • Allen Ravenstine, The Pharaoh’s Bee, Rer Megacorp, 2015.
  • Allen Ravenstine, Albert Dennis, Terminal Drive, Smog Veil Records, 2017.
  • Allen Ravenstine, Robert Wheeler, City Desk, Blue Jet Corporation, 2013.
  • Robert Wheeler, Allen Ravenstine, Farm Report, Blue Jet Corporation, 2013.
Letture
  • Gregory Corso, Bomba, in Fernanda Pivano, Poesia degli ultimi americani, Feltrinelli, Milano, 1980.
  • Stefano Gilardino, La storia del punk, Ulrico Hoepli Editore, Milano, 2017.
Visioni
  • David Lynch, Gotta Light, Twin Peaks Stagione Tre, Universal, 2018 (home video).
  • Stanley Kramer, L’ultima spiaggia, A&R Productions, 2011 (home video).