Il cinema, si sa, è comunemente definito come l’arte delle immagini in movimento: vive di immagini, ma chiunque abbia fatto esperienza di una sala nuda sa che questa definizione è incompleta. Il potere delle immagini da solo non basta. Senza suono, e in particolare senza musica, il film rischia di risultare incompleto, fragile, privo di quella dimensione emotiva che lo rende indimenticabile. Spesso sono le note a imprimersi nella memoria dello spettatore con una forza quasi più duratura. La colonna sonora non è un ornamento, bensì una struttura portante. E ciò che accompagna lo spettatore, lo guida, lo avvolge, e a volte diventa persino più memorabile delle scene che illustra. Ecco perché negli ultimi decenni il rapporto tra musica e cinema è stato oggetto di numerose riflessioni: secondo ciò che Giorgia Bruni scrive nel suo articolo La teoria di Pasolini sulla musica nel cinema, Pasolini concepisce la musica non come mero “contorno” o abbellimento dell’immagine cinematografica, ma come elemento paritario e indispensabile: per lui ogni film è costituito da immagine, parola e musica, dove quest’ultima può operare sia in un’applicazione orizzontale, che scorre lungo la superficie della scena e ne accentua il ritmo visivo, sia in un’applicazione verticale, che emerge da una dimensione profonda e poetica, capace di concettualizzare i sentimenti (cfr. Bruni, 2016). Alcuni film possono sopravvivere a una colonna sonora dimenticabile, ma altri devono la loro stessa identità al tessuto musicale che li sorregge. Tra gli esempi più lampanti degli ultimi anni, il remake live action di How to Train Your Dragon (2025) conferma quanto una colonna sonora possa essere non semplice accompagnamento, ma vera e propria struttura portante di un racconto.
Le origini: il 2010 e la forza di una partitura
Quando nel 2010 la DreamWorks Animation portò sul grande schermo How to Train Your Dragon, il pubblico non sapeva ancora di trovarsi davanti a un’opera che avrebbe segnato un’epoca. Il film raccontava la storia di Hiccup, un giovane vichingo che scopriva l’amicizia inaspettata con un drago, ribaltando secoli di conflitti e diffidenze. La trama, per quanto semplice nella sua struttura, acquista profondità grazie alla regia, l’animazione e soprattutto la colonna sonora firmata da John Powell. Il compositore britannico già attivo ad Hollywood aveva un approccio orchestrale monumentale e al tempo stesso melodico, di conciliare imponenza e delicatezza. Brani come Test Drive o Romantic Flight divennero subito iconici: il primo con le sue accelerazioni e l’entusiasmo travolgente, accompagnava il primo volo di Hiccup e Sdentato, trasformando la sequenza in una vera esperienza sensoriale; il secondo, più intimo e lirico, raccontava in musica alla nascita dell’amore tra i protagonisti. Queste melodie non erano semplici accompagnamenti: erano il cuore pulsante della narrazione. Molti spettatori, anche a distanza di anni, ricordano le note ancor più delle immagini. È un fenomeno comune quando la musica riesce a incarnare l’essenza stessa del racconto.
Il problema del remake: ripetere o reinventare?
Con il passare del tempo, la saga animata è diventata un punto di riferimento non solo per la narrazione, ma soprattutto per l’impatto musicale. Così, quando nel 2025 è stato annunciato remake live action, la questione principale non era soltanto visiva: “Come ricreare i draghi in CGI realistica?”, “Come rendere credibili vichinghi?”, ma soprattutto musicale: si poteva davvero pensare a un film senza quelle musiche? Il rischio era alto. Eliminare o sostituire la colonna sonora avrebbe significato tagliare il legame più profondo con l’originale, privando la nuova versione di quella riconoscibilità che ne costituisce il vero marchio di fabbrica. Eppure, limitarsi a riproporre i brani del 2010 avrebbe ridotto il remake a un’operazione nostalgica priva di autonomia. La sfida di John Powell è stata quindi duplice: essere fedele e al tempo stesso rinnovare.
Il ritorno di Powell: fedeltà e innovazione
La scelta di confermare Powell alla guida della partitura è stata decisiva. Pochi altri avrebbero potuto maneggiare con delicatezza un’eredità così ingombrante. Il compositore ha infatti optato per un lavoro di recupero dei temi originali, arricchendoli e ampliandoli per adattarli al registro realistico del live action. Le orchestrazioni del 2025 risultano più dense, con un maggiore utilizzo di archi e ottoni che conferiscono respiro sinfonico da grande kolossal. Alcuni motivi sono stati resi più maturi, con variazioni armoniche e cromatismi che riflettono un tono narrativo meno fiabesco e più drammatico. Altri, invece, sono stati lasciati quasi intatti, perché insostituibili. Risentire l’apertura di Test Drive nel nuovo contesto significa vivere l’emozione originaria, ma con una nuova consapevolezza. È come se la musica avesse compiuto un viaggio insieme al pubblico: è cresciuta, si è arricchita di nuove sfumature, ma non ha perso la sua anima. Ascoltare le prime battute dei motivi principali è, per molti spettatori, come rientrare in una casa familiare: il riconoscimento sonoro avviene prima ancora che la mente elabori le differenze visive. È questo legame affettivo a rendere la colonna sonora del 2025 un ponte essenziale tra la memoria collettiva del film animato e la nuova esperienza cinematografica.
La colonna sonora come ponte emotivo
L’aspetto più affascinante di quest’operazione è la funzione della colonna sonora come punto emotivo. Lo spettatore, che ha visto e amato l’originale, riconosce nelle prime note un mondo familiare, come un richiamo che lo riporta a un ricordo condiviso. In un’epoca in cui il cinema lavora molto sulla nostalgia, la musica diventa un veicolo immediato di riconoscimento, capace di annullare la distanza tra passato e presente. Da un punto di vista psicologico, la musica ha la capacità unica di imprimersi nella memoria a lungo termine. A differenza delle immagini, che possono confondersi, un motivo musicale resta riconoscibile anche dopo decenni. È per questo che la colonna sonora diventa una sorta di garanzia di continuità narrativa: unisce generazioni, accompagna i fan storici e accoglie nuovi spettatori. Nel 2025 i giovani che scoprono il film per la prima volta vivono l’esperienza di ascoltare melodie potenti e trascinanti; al tempo stesso, gli spettatori del 2010 ritrovano emozioni familiari, legate magari ai ricordi personali. La colonna sonora agisce come un filo che tiene insieme i due pubblici diversi due epoche differenti.
Un caso di studio per la teoria del cinema
L’operazione del live action ha dimostrato una verità spesso sottovalutata: alcune storie non possono vivere senza le loro musiche. In teoria, un remake dovrebbe avere la libertà di reinventarsi; in pratica, ci sono opere per cui la colonna sonora è talmente centrale ed essere intoccabile. Powell non ha semplicemente scritto una musica funzionale: ha creato un’identità sonora che parte incredibile della storia. Questo ci porta alla riflessione più ampia: in che misura la musica diventa parte della sceneggiatura? In molti casi, si potrebbe sostituire un tema con un altro senza compromettere troppo l’efficacia del film. Ma in altri come questo, la partitura è così integrata nella narrazione da costruire una vera e propria scrittura parallela. È come se esistessero due film sovrapposti: quello delle immagini e quello della musica, entrambi indispensabili. How to Train Your Dragon non è dunque soltanto un remake tecnico ma un laboratorio sul ruolo delle colonie sonore. Dimostra come la musica non accompagni soltanto le immagini, ma possa diventare velo filo conduttore di una opera. Senza la partitura di Powell, il film non sarebbe stato lo stesso: avrebbe perso riconoscibilità, profondità emotiva e continuità con il suo passato. La lezione che ne derivava è chiara: nel cinema, la musica invisibile ma onnipresente, silenziosa ma determinante. La voce segreta che racconta ciò che le immagini da sole e non riuscirebbero a dire. E quando un film riconosce questa verità, come accade con How to Train You Dragon, allora la magia prende vita.
La visione di due maestri: Hans Zimmer e Ennio Morricone
“L’arte di essere compositore cinematografico non è cambiata. L’idea di base resta la stessa: porre una domanda: «Perché c’è musica qui?»”
(Zimmer in Price, 2018).
Nasce prima il film o la musica? Non c’è una risposta definitiva, ma con quest’affermazione il compositore cinematografico Hans Zimmer, sostiene che la musica non si applica meccanicamente, né deve essere interpretata come un mero elemento di riempimento. Al contrario, la musica si scolpisce attorno alle immagini. Per Zimmer, ogni nota deve nascere da una necessità narrativa, non da un’abitudine. Zimmer ha costruito, insieme a Christopher Nolan, un linguaggio sonoro del tutto nuovo e sperimentale, che non si limita a fare da sfondo alla storia, ma anzi ne riflette l’anima. In Inception (2010), la colonna sonora si basa sull’espansione temporale del brano Time, che con i suoi quattro accordi ripetuti, rappresenta perfettamente il senso di limbo dell’intero film. Qui la musica lega i piani di realtà, sollecitando la sensazione di essere ancora dentro il sogno, proprio come ci suggerisce il finale aperto. Cobb riabbraccia i suoi figli. Il totem continua a girare. E lo spettatore decide se quello che sta guardando è il sogno oppure la realtà. Un ulteriore maestro della colonna sonora, che ha lasciato un’impronta indelebile, è Ennio Morricone, che riguardo alla sua musica, sostiene:
“La musica esige che prima si guardi dentro se stessi, poi che si esprima quanto elaborato nella partitura e nell’esecuzione”
(Morricone in Gaetani, 2013).
Non a caso, le use composizioni sono caratterizzate da una forte intimità e impatto emotivo. Un esempio chiave è La leggenda del pianista sull’oceano (1998) di Tornatore, in cui il pianoforte di Novecento diventa l’estensione del personaggio stesso. Con Playing Love, vuole racchiudere il sogno di un amore mai vissuto dal protagonista, che lo sente vivo dentro sé, come una carezza dolce, che in realtà lo scuote nel profondo. Nella scena in cui tutti dormono e Novecento suona, emerge The Crisis, un tema in cui Morricone inserisce volutamente una nota sbagliata, che si ripete ma che non stona con le altre, rappresentando a pieno la solitudine di Novecento, consapevole di non poter vivere una vita come le altre.
Colonne sonore: la parola in musica
Dalle visioni orchestrali di John Powell alla ricerca sonora di Hans Zimmer, fino alla poesia intima di Ennio Morricone, emerge una verità universale: la colonna sonora è la parola che il cinema pronuncia senza voce. È linguaggio emotivo, ponte tra immagini e spettatori, memoria che si imprime e che resiste al tempo. In un’epoca di remake e reinvenzioni, il caso di How to Train Your Dragon (2025) mostra con chiarezza che non esistono film pienamente vivi senza la loro musica: le immagini possono mutare, gli attori cambiare, ma i temi musicali restano come radici profonde. È lì che risiede l’anima del cinema, in quella voce invisibile che sa raccontare più delle parole e che, in ogni epoca, continua a trasformare le storie in esperienze indimenticabili.
- Ennio Morricone, La leggenda del pianista sull’oceano (Colonna sonora originale), 1998.
- John Powell, How to Train Your Dragon (Original Motion Picture Soundtrack), 2010.
- John Powell, How to Train Your Dragon (Original Motion Picture Soundtrack), 2025.
- Hans Zimmer, Inception (Original Motion Picture Soundtrack), 2010.
- Giorgia Bruni, La teoria di Pasolini sulla musica nel cinema, Centro Studi Pier Paolo Pasolini – Casarsa, 30 ottobre 2016.
- Alessandra Gaetani, L’intervista. Ennio Morricone. «La musica è come un sogno», Messaggero di Sant’Antonio, 13 aprile 2013.
- Andy Price, Hans Zimmer Interview – The Art of Film Scoring, musichtech.com, 24 luglio 2018.
- Chris Sanders, Dean DeBlois, How to Train Your Dragon, DreamWorks Animation, Universal Pictures Home Entertainment, 2019.
- Dean DeBlois, How to Train Your Dragon – Universal Pictures, 2025 (live action).

