Quando il mito si fa carne
nell’apocalisse primordiale

Brian Catling
I Divisi
Traduzione di Massimo Gardella

Illustrazioni di Gianluigi Toccafondo
Safarà, Pordenone, 2025
pp. 436, € 28,00

Brian Catling
I Divisi
Traduzione di Massimo Gardella

Illustrazioni di Gianluigi Toccafondo
Safarà, Pordenone, 2025
pp. 436, € 28,00


Con I Divisi (The Cloven), Brian Catling porta a compimento la sua monumentale trilogia del Vorrh, scrivendo così la parola fine a un percorso narrativo che ha attraversato l’Eden perduto e gli angeli caduti per approdare infine a una visione apocalittica, dove tutte le contraddizioni dell’esistenza umana incontrano un destino catastrofico. Se il primo volume (Vorrh. La foresta senza fine) ci aveva introdotto alla foresta primordiale come luogo dell’origine e della perdita della coscienza, e il secondo (Gli Ancestrali) aveva risvegliato gli Ancestrali dal loro sonno millenario, questo terzo atto si configura come una vera e propria cosmogonia al contrario, dove la fine diventa principio e la distruzione si rivela creazione. Il titolo stesso evoca immediatamente il concetto di scissione, di lacerazione: tutto è metamorfosi, cambiamento:

“Meta iniziò a trasformarsi: raggomitolata a terra, passò da opaca a traslucida per diventare poi trasparente, e la sua dolcezza si evolse in una chiarezza che non aveva nulla a che vedere con le emozioni e le visioni che avevano governato la sua vita precedente. Questi dolorosi attributi si erano solidificati in qualcosa di più grande: una forza senza nome che le era stata donata in parti uguali da tutti coloro che l’avevano amata e abusata. Uno scontro tra angeli e demoni di cui lei era la matrice della collisione, il punto in cui si forgia in silenzio la sublime conoscenza”.

Non si tratta più solamente della divisione antropologica tra natura e cultura, o di quella psicoanalitica tra conscio e inconscio, che avevano caratterizzato i volumi precedenti, ma di una frattura ontologica più profonda, che attraversa l’essere stesso e lo scinde nella sua radice più intima. L’idea della divisione assume qui una valenza cosmologica: non è più la semplice separazione tra opposti, ma la rivelazione che l’unità originaria era illusoria, e che la molteplicità frantumata rappresenta la vera natura delle cose. In questo senso, Catling sembra suggerire che la modernità non ha creato la frammentazione, ma ha semplicemente rivelato quella che era sempre stata la condizione autentica dell’essere. Catling, che aveva già dimostrato nei libri precedenti una straordinaria capacità di manipolazione linguistica e immaginifica, raggiunge qui l’apice della sua potenza visionaria, creando un finale che è allo stesso tempo dissoluzione e rigenerazione.
La gran parte della narrazione si svolge durante la Prima Guerra Mondiale, che non è quindi semplice contesto storico, ma diventa metafora dell’intera condizione umana. Catling intuisce che quel conflitto aveva rappresentato il momento in cui l’Occidente ha mostrato per la prima volta il volto della propria autodistruzione sistematica, e lo usa come contrappunto perfetto alla violenza primordiale del Vorrh. Il parallelo tra i campi di battaglia europei e la foresta africana non è meramente geografico, ma rivela una verità più profonda: la guerra industriale rappresenta il momento in cui l’umanità ha superato la natura stessa nella capacità di generare orrore.

Qui e nel resto dell’articolo alcune Illustrazioni di Gianluigi Toccafondo che impreziosiscono l’edizione italiana.

Le trincee, con i loro labirinti di fango e morte, diventano una versione degradata e meccanica dei sentieri del Vorrh, dove però la perdita di umanità non porta alla trasformazione mistica, ma alla semplice annichilazione. La guerra tra gli uomini, con i suoi gas, le sue trincee, i suoi milioni di morti, appare paradossalmente più innaturale della stessa ferocia elementare della foresta. L’umanità, arrivata al suo momento di massimo progresso tecnologico, ha contestualmente raggiunto un livello di barbarie superiore a quello delle creature più mostruose. Questo parallelismo non è casuale. Se nei primi due volumi la foresta si configurava come l’altro della civiltà, qui tale opposizione collassa. La guerra moderna rivela come la civilizzazione porti in sé i germi della propria distruzione, e che il vero mostro non è il ciclope Ishmael o gli Ancestrali, ma l’uomo stesso quando si organizza per l’annientamento reciproco. In questo senso, I Divisi rappresenta una riflessione profonda sulla modernità e sui suoi disastri, utilizzando il linguaggio del fantastico per parlare della realtà più cruda.

Una nuova e inquietante figura
Tra i personaggi che popolano questo terzo volume, il Fusidrus (trasformazione di Sidrus) emerge come figura centrale e inquietante. Questa creatura, che subisce la più brutale delle divisioni, incarna perfettamente l’ambiguità che attraversa tutto il romanzo. Come descrive Catling con cruda potenza:

“[…] si accorse che non aveva i genitali, e abbassò gli occhi con ottimismo sul proprio corpo, visto che per la prima volta era in grado di guardare in quel punto. Anche lui non aveva niente. Le due parti di ciò che un tempo era stato un uomo erano asessuate. Avrebbe voluto chiedersi perché, ma la parte riservata alle domande viveva nell’altra metà, sotto lo straccio giallo e il diadema di conchiglie. Così ricordò la brutale strega nera che lo aveva macellato e gli aveva strizzato il cervello con tanta ferocia per estorcere un piano di vendetta dalle sue strette pareti, e desiderò immaginare di strozzare quella sua gola paffuta con le proprie mani. Ma non le aveva più, e lo sforzo di fantasia ebbe l’unico risultato di farlo sentire peggio”.

Non è più l’innocenza perduta di Adamo, né la saggezza antica degli Ancestrali, ma qualcosa di nuovo e terrificante: un essere nato dalla modernità stessa, figlio della scissione che il titolo evoca. Il Fusidrus rappresenta perciò il superamento di tutte le categorie tradizionali. Non è né buono né cattivo, né naturale né artificiale, né umano né divino. È la personificazione di quella condizione di ambivalenza che caratterizza l’epoca contemporanea, dove le vecchie certezze sono crollate ma non sono ancora emerse nuove forme di sapere. In lui si riflette l’umanità che ha perso il contatto con le proprie radici arcaiche senza riuscire a costruire un futuro sostenibile. La genesi di Sidrus/Fusidrus rappresenta uno dei momenti più originali del romanzo. Non è una creatura nata dal caos primordiale come gli altri abitanti del Vorrh, ma piuttosto il prodotto dell’incontro-scontro tra l’antico e il moderno. La sua mostruosità non è arcaica, ma contemporanea: incarna le paure e le contraddizioni del XX secolo, periodo in cui l’uomo ha scoperto di poter competere con le forze naturali nella capacità di generare terrore e distruzione. Analogamente, riferendosi agli Ancestrali, Catling osserva:

“Li ha resi folli, e oramai sguazzano nella loro pazzia […] Divisi dal potere che li ha comandati dopo il loro fallimento. Non osano neppure guardare quel fallimento negli occhi dei loro simili. Se ne stanno da soli, in cerca della morte, del sonno perpetuo o di dissolversi nel Vorrh… o sotto di esso. In tutto quel tempo in cui tu credi che siano diventati più saggi, si sono nascosti”.

La presenza di Sidrus nel romanzo non è quella del tradizionale antagonista, ma piuttosto quella di una forza naturale, un terremoto ontologico che costringe tutti gli altri personaggi a confrontarsi con la propria natura più profonda. Come i grandi mostri della letteratura fantastica, da Moby Dick al Kurtz di Joseph Conrad, il Fusidrus è innanzitutto uno specchio che riflette le contraddizioni di chi lo osserva. Anche il personaggio del ciclope Ishmael raggiunge in questo terzo volume la sua piena maturazione narrativa, ma insieme alla sua più terrificante degradazione. Il suo percorso culmina in una trasformazione che Catling descrive con la consueta prosa di cruda potenza:

“Dopo, quando il sole sparì, impalato sul lato opposto della foresta, Ishmael si sedette davanti a un fuoco intenso e scoppiettante, con lo stomaco dilatato e la mente libera, con ossa e grasso disseminati intorno a sé mentre un dolce gusto nel palato corroborava la sua determinazione e gli scaldava il sangue”.

Questa scena rappresenta il momento in cui l’umanità di Ishmael si dissolve completamente, trasformandolo in qualcosa di irriconoscibile. La cecità che lo aveva caratterizzato fin dal primo libro qui si rivela non più come una menomazione, ma come simbolo di una più profonda perdita di umanità. Privato non solo della vista ma di ogni vincolo morale, Ishmael ha sviluppato una sensibilità che gli permette di attraversare ogni tabù, di varcare ogni confine che separa l’umano dal mostruoso. Il processo di trasformazione di Ishmael in questo volume finale assume caratteristiche quasi alchemiche. La sua cecità fisica si trasforma in una forma di visione interiore che gli permette di percepire le connessioni nascoste tra gli eventi, di leggere nel tessuto stesso della realtà. Questa evoluzione non è casuale, ma rappresenta il compimento di un percorso iniziatico che era iniziato con la sua prima apparizione nella trilogia. Questa trasformazione della cecità in saggezza richiama inevitabilmente i grandi ciechi della letteratura classica, da Omero a Tiresia, ma Catling riesce a dare al tema una declinazione originale.

La cecità di Ishmael non è solo fisica, ma rappresenta una rinuncia volontaria al mondo delle apparenze per accedere a una dimensione più autentica dell’esperienza. È significativo che questa evoluzione avvenga proprio nel volume conclusivo, quando tutti i personaggi sono chiamati a fare i conti con le conseguenze ultime delle loro scelte. Il legame tra Ishmael e Cyrena Lohr, in particolare, che si approfondisce in questo volume, non è semplicemente una storia d’amore, ma rappresenta l’unione tra due modalità complementari di rapportarsi al mondo: la sua cecità illuminata e la capacità di lei di fungere da ponte tra dimensioni diverse della realtà. Insieme, formano una coppia archetipica che richiama le grandi coppie iniziatiche della tradizione esoterica occidentale. Un altro elemento particolarmente interessante e da sottolineare è il modo in cui Catling sviluppa il personaggio di Williams, il guardaboschi che aveva perso la memoria nel primo volume. La sua amnesia, che inizialmente appariva come una perdita, si rivela in questo terzo libro come una forma di liberazione dalle categorie mentali che impediscono la vera comprensione della foresta. Williams diventa così un ponte tra il mondo umano e quello del Vorrh, una figura che incarna la possibilità di una riconciliazione tra natura e cultura.

La lingua come materia prima dell’apocalisse
Dal punto di vista stilistico, I Divisi rappresenta il culmine dell’evoluzione linguistica di Catling. Se nei primi due volumi l’autore aveva già dimostrato una straordinaria capacità di plasmare la lingua per adattarla alle diverse esigenze narrative, qui raggiunge una densità espressiva che sfiora la poesia pura. Ogni paragrafo è costruito come una sinfonia di immagini, suoni e significati che si intrecciano in una trama sonora di rara intensità. Ne è un esempio la visione apocalittica di Marais, che rappresenta uno dei momenti più potenti dell’intera trilogia. Catling descrive questa rivelazione con immagini di devastante chiarezza:

“I suoi occhi tremarono mentre gli ingranaggi ronzavano; vacillò e cadde in ginocchio. Davanti a lui si dispiegarono visioni su visioni, come vaste esplosioni e ondate di fumo o polvere che puzzavano di ossa incenerite. Vide pestilenza e odio sposati a genio e ricchezza. Vide cadere imperi e governi. Era stato scatenato uno stupido conflitto che non sembrava avere alcun limite. Guardò e vide anni di panico e arroganza costruire malattie e macchine. Vide ogni tribù e regno dell’umanità arrendersi e finire sterminati. Vide l’uomo tentare di bruciare vivo tutto il mondo, e fallire. Quando fumo e chiasso si dissiparono, quando lunghe piogge ebbero sciacquato via le ceneri, vide animali e piante sgusciare timidamente per poi intrecciarsi a palazzi e biblioteche, divorare tutte le prove dell’arroganza della fede umana, di cui ora pagavano il prezzo”.

Ma il meccanismo della distruzione è ancora più sottile:

“Gli alberi non avevano fatto morire di fame e soffocato l’uomo, ma anzi lo avevano potenziato. Avevano nutrito a forza il cervello umano fino alla saturazione, costringendo i due istinti più potenti al suo interno a distruggersi insieme a ogni speranza di redenzione. L’invenzione e la territorialità avevano strappato l’Homo sapiens dalla faccia della terra con gli strumenti da esso stesso creati”.

La prosa di Catling in questo volume si fa più frammentaria e visionaria, riflettendo la frantumazione della realtà che il titolo suggerisce. Le frasi si spezzano e si ricompongono secondo logiche che non sono più quelle della sintassi tradizionale, ma seguono i ritmi interiori della percezione e dell’emozione. È come se l’autore avesse trovato un linguaggio adeguato a descrivere l’indescrivibile, per dare forma verbale a esperienze che sfuggono alle categorie ordinarie del pensiero. L’evoluzione linguistica di Catling in questo volume finale presenta caratteristiche che richiamano le tecniche della poesia modernista. Come in T.S. Eliot o Ezra Pound, la sintassi tradizionale viene frantumata per creare nuove forme di significato. Ma mentre i modernisti cercavano di rappresentare la frammentazione della coscienza urbana, Catling utilizza tecniche simili per dare voce a una realtà che precede e trascende la coscienza stessa. Particolarmente efficace è l’uso che Catling fa delle metafore corporee. I corpi si deformano, si trasformano, si fondono con l’ambiente circostante in un processo di metamorfosi continua che ricorda le visioni più intense dell’arte visionaria. Ma non si tratta di semplici effetti di superficie: ogni trasformazione fisica corrisponde a una trasformazione interiore, ogni mutazione del corpo riflette un’evoluzione della coscienza.

Il Vorrh come personaggio finale
In questo terzo volume, la foresta del Vorrh raggiunge la sua piena personificazione. Non è più semplicemente il luogo dove si svolgono gli eventi, ma diventa il vero protagonista della storia, una presenza attiva che influenza e determina il destino di tutti gli altri personaggi. Catling la descrive con una prosa di potenza visionaria:

“Non esiste struttura mentale o fisica nel regno animale con cui confrontare l’unicità delle radici. […] La punta cieca, priva di qualsiasi organo o tecnica di percezione si spinge in avanti per divorare e conquistare con una volontà superiore ai miseri appetiti e istinti di qualsiasi creatura di sangue”.

Il Vorrh, ne I Divisi è una entità senziente che ha attraversato tutta la storia umana e ora si prepara a rivelare il proprio scopo ultimo. Questa personificazione della natura richiama temi profondamente contemporanei legati alla crisi ecologica e al rapporto tra umanità e ambiente. Ma Catling evita ogni tentazione didascalica o moralistica. Il Vorrh non è la natura buona corrotta dall’uomo cattivo, ma una forza primordiale che trascende le categorie morali umane. È allo stesso tempo creatore e distruttore, madre e matrigna, origine e fine. La foresta in questo volume si rivela essere non solo il luogo dell’Eden perduto, ma anche quello dell’Apocalisse futura. È il punto dove passato e futuro si toccano, dove la fine coincide con l’inizio. In questo senso, il Vorrh rappresenta una visione ciclica del tempo che si oppone alla concezione lineare e progressiva della modernità occidentale. La rivelazione della vera natura del Vorrh costituisce uno dei momenti più potenti del romanzo. Non si tratta semplicemente di una foresta magica o di un residuo dell’Eden, ma di qualcosa di più radicale: un organismo vivente che ha assistito alla nascita e alla crescita della coscienza umana, e che ora deve decidere se questa evoluzione rappresenti un progresso o una degenerazione. Il Vorrh diventa così il giudice ultimo dell’esperimento umano. Anche il destino degli Ancestrali, gli angeli caduti risvegliati nel secondo volume, trova qui la sua conclusione.

Queste creature, che erano rimaste dormienti per millenni dopo il loro fallimento nel proteggere l’Albero della Conoscenza, affrontano ora la prova finale. Il loro risveglio non era stato casuale, ma faceva parte di un disegno più vasto che solo ora si rivela in tutta la sua portata. Catling riesce a dare a questi esseri una dimensione tragica profondamente umana pur mantenendone l’alterità angelica. Sono creature che hanno conosciuto la gloria divina e la caduta, che hanno attraversato l’intera storia umana come testimoni silenziosi e ora devono affrontare la propria responsabilità nei confronti del creato. La loro presenza nel romanzo solleva questioni teologiche profonde sul rapporto tra divino e umano, tra grazia e libero arbitrio, tra redenzione e dannazione. Ma gli Ancestrali non sono semplicemente figure allegoriche. Sono personaggi complessi, dotati di una loro psicologia, di desideri e paure che li rendono sorprendentemente vicini ai lettori umani. In loro si riflette la condizione di tutti coloro che hanno conosciuto un’epoca di pienezza e si trovano ora a dover affrontare un mondo degradato e ostile. Il confronto finale tra gli Ancestrali e Sidrus rappresenta più che una battaglia tra forze opposte: è il momento in cui l’antico e il moderno si misurano per l’ultima volta. Gli Ancestrali, con la loro saggezza millenaria e la loro colpa primordiale, affrontano Sidrus, che incarna invece la mostruosità specifica del XX secolo. In questo scontro si gioca il destino non solo dei personaggi, ma della stessa possibilità di redenzione per l’umanità.

La risoluzione dell’irrisolvibile
Il finale di I Divisi non offre risoluzioni semplici o consolatorie. Catling evita accuratamente sia l’happy ending sia la catastrofe totale, scegliendo invece una via più complessa e ambigua. Il modo in cui Catling orchestra il finale rivela la sua piena maturità narrativa. Non si tratta di legare tutti i fili della trama in un nodo perfetto, risultato di per sé già eccezionale, ma di creare una risonanza che continua oltre l’ultima pagina. Il lettore che chiude il libro ha la sensazione di aver assistito non alla fine di una storia, ma alla trasformazione di un mondo. È un finale che non conclude, ma apre verso nuove possibilità di significato. Come suggerisce Nicholas nel suo dialogo con Hector,

“È quando dormiremo di nuovo insieme, come un’unica cosa. La grande unione di angelo e uomo”.

La conclusione della trilogia è allo stesso tempo un compimento e un nuovo inizio, una fine che è anche una genesi. Tutti i fili narrativi trovano qui una loro composizione, ma non secondo le logiche tradizionali della narrativa d’intrattenimento. Piuttosto, Catling costruisce un finale che funziona secondo le regole della poesia e del mito, dove il significato emerge non dalla risoluzione dei conflitti ma dalla loro trasformazione in una dimensione superiore di comprensione. I personaggi che abbiamo seguito per tre volumi raggiungono tutti una forma di completamento, ma si tratta di un completamento che passa attraverso la frantumazione e la ricomposizione. Come il titolo suggerisce, devono essere scissi per poter rinascere in una forma nuova. È un processo doloroso e liberatorio allo stesso tempo, che richiama i grandi temi della morte e rinascita iniziatica. Con la conclusione de I Divisi, Brian Catling consegna alla letteratura contemporanea un’opera di straordinaria originalità e potenza visionaria.
La trilogia del Vorrh si colloca in una tradizione che include nomi come William Blake, Mervyn Peake, e più recentemente China Miéville e Jeff VanderMeer, ma riesce a mantenere una voce assolutamente personale.

L’opera di Catling dimostra che è ancora possibile, nel panorama letterario contemporaneo, tentare la grande narrazione, l’affresco cosmico che abbraccia mito, storia e profezia. Ma lo fa senza cadere nelle tentazioni dell’epico tradizionale, mantenendo sempre una tensione sperimentale che impedisce al lettore di adagiarsi in categorie rassicuranti. L’eredità più importante di questa trilogia risiede forse nella dimostrazione che la letteratura può ancora affrontare le grandi questioni dell’esistenza senza cadere né nel didascalismo né nel puro estetismo. Catling riesce a creare un’opera che è allo stesso tempo intrattenimento e meditazione, avventura e filosofia, orrore e bellezza. È un esempio di come la narrativa fantastica possa diventare uno strumento di conoscenza, un modo per esplorare dimensioni della realtà che sfuggono all’analisi razionale. La Trilogia del Vorrh richiede un lettore disposto a mettere in discussione le proprie certezze, che accetti di essere trasformato dall’esperienza di lettura. È un’opera che parla al nostro tempo di crisi e trasformazione, offrendo non risposte ma strumenti per pensare diversamente la nostra condizione, rivelandosi, alla fine, come una riflessione profonda sui destini dell’umanità contemporanea, condotta attraverso gli strumenti del mito e della visione poetica. È un’opera che merita di essere letta, riletta e meditata, perché contiene quella ricchezza di significati che caratterizza i grandi testi della letteratura.

Letture
  • Brian Catling,Vorrh. La foresta senza fine, Safarà, Pordenone, 2021.
  • Brian Catling, Gli Ancestrali, Safarà, Pordenone, 2021.