A precipizio nel gorgo
terribile della psiche

Julien Green
Vertigine
A cura di Giuseppe Girimonti Greco ed Ezio Sinigaglia

Traduzione di Lorenza Di Lella, Giuseppe Girimonti Greco, Francesca Scala, Ezio Sinigaglia e Filippo Tuena
Nutrimenti, Roma, 2017
pp. 228, € 17,00

Julien Green
Vertigine
A cura di Giuseppe Girimonti Greco ed Ezio Sinigaglia

Traduzione di Lorenza Di Lella, Giuseppe Girimonti Greco, Francesca Scala, Ezio Sinigaglia e Filippo Tuena
Nutrimenti, Roma, 2017
pp. 228, € 17,00


Nel 2015 Nutrimenti edizioni, dopo aver affidato a due traduttori e ad altrettanti scrittori il compito di portare in italiano cinque racconti dell’autore statunitense ma francese d’adozione Julien Green, dà alle stampe la raccolta intitolata Viaggiatore in terra, una sorta di gustoso esperimento editoriale grazie al quale il lettore italiano ha potuto ascoltare, tramite una pluralità di voci traduttive capaci tuttavia di essere coerenti tra loro, la mutevole vena narrativa di Green.
A due anni di distanza, viene pubblicata nel catalogo dello stesso editore una seconda raccolta di Green, Vertigine, anche in questo caso affidata a più traduttori (tre di professione e due prestati dalla narrativa), per la curatela di Giuseppe Girimonti Greco (già curatore di Viaggiatore in terra) ed Ezio Sinigaglia (fresco di pubblicazione, ancora per Nutrimenti, con il romanzo del 2016 Eclissi).
Al cospetto dei venti deliziosi racconti che fanno parte di Vertigine (tutti inediti finora in Italia, scritti dall’autore tra il 1920 e il 1956 e poi fatti convogliare in un unico volume nel 1984), il lettore non potrà far altro che adeguarsi a quanto dichiarato già nel titolo stesso, temendo di precipitare racconto per racconto in un formidabile gorgo di tenebra, ma non per questo carente del fertile dispositivo dell’ironia, tipico di una certa narrativa occidentale della prima metà del Novecento.
Il medesimo lettore, infatti, se colpevolmente all’asciutto di Green ma già avvezzo alla più feconda narrativa “perturbante” del secolo passato, scorrendo le pagine farà da sé le dovute corrispondenze, evocando senza troppe difficoltà alcuni nomi indispensabili come per esempio quelli di Tommaso Landolfi e di Horacio Quiroga: maestri novecenteschi in grado di destreggiarsi, favorevolmente ma ognuno a suo modo, nell’arte di imprimere la vertigine su carta partendo anche dai territori più oscuri della psiche, tramite una strategia narrativa di evidente impostazione fantastica che tende a imprimere allo spaesamento una connotazione piuttosto marcata, grazie all’ancoraggio della dimensione ominosa alle vicende soggettive che caratterizzano la quotidianità dei personaggi.
Perché è proprio questo che fa Green nei racconti che compongono Vertigine: esplora gli altri meandri della psicologia umana quando questi hanno a che fare con condizioni totalizzanti e irreversibili, per quanto estremamente fertili per chi di mestiere scrive libri, come la paura e la follia. Condizioni che, facendosi nucleo concettuale dell’impianto narrativo, nelle loro differenti coniugazioni sembrano servire da impalcatura ai racconti di Vertigine, portandosi dietro (a loro giusto completamento) altri spettri numerosi: la solitudine, l’inadeguatezza, il voyeurismo, la crudeltà, la scopofilia, il sadismo.

In Vertigine, infatti, incontriamo personaggi spesso intrappolati nell’angoscia e nell’isolamento, nel gusto del male, personaggi calati in una realtà non sempre ben contestualizzata e definita, e dunque sempre valida nel tempo e nello spazio.
Si prendano a questo titolo le vicende di giovani che terrorizzano bambine, servette, o comunque soggetti deboli posti in un ruolo sociale subalterno rispetto al proprio, al solo scopo di provare piacere (La lezione, Il dormiente, La bambina, La paura, L’inferno); si prendano le gesta di alcune donne, più o meno giovani, più o meno di provincia, alle prese con la loro incapacità di trovare il proprio posto nella severa o insulsa (a seconda del punto di vista) società (Ritratto di donna, Una vita qualunque, La ribelle, ancora una volta La bambina, La bella provinciale); e si prendano infine le storie di solitari personaggi scrutatori, esseri umani ossessionati dalle vite degli altri di cui sono morbosi osservatori (Diario di un incompreso, Fabien, La grande opera di Michel Hogier). Ma bisogna anche dire, in conclusione, che tutti questi temi che tengono insieme i racconti citati (peraltro molto ben descritti e sottolineati dai curatori del volume nell’ampia ed esaustiva Nota ai testi) vengono utilizzati da Green con un’elasticità e un’eleganza tali da restare sottotraccia, da non soverchiare la narrazione.
Sembra che essi vivano invece come espedienti necessari a dare una struttura coerente all’insieme dei racconti che diventa però visibile solo a un’analisi successiva, una struttura nascosta nei drappeggi di una prosa assai immaginifica che va colta e apprezzata in pienezza, anche se nel frattempo stiamo precipitando nel terribile e sgomentevole gorgo della nostra psiche.

Letture
  • Julien Green , Viaggiatore in terra, Nutrimenti, Roma, 2015.