Mr. Bauman venga a prendere un tè da noi… nel deserto di Luca Bifulco

 



Queste rappresentazioni dell’individuo contemporaneo metaforizzano la condizione di un uomo considerato da una certa letteratura sociale come votato all’effimero, specie in relazione alla pervasività di un consumo esasperato. L’esistenza appare in tali analisi come un’entità regolata da una vorticosa pulsione a consumare, mentre gli oggetti, schiavi di una veloce obsolescenza, paiono alimentare identità sempre caduche ed in continua trasformazione. Bauman stesso rimarca la metamorfosi dell’uomo contemporaneo: da approvvigionatore di beni durevoli, di requisiti per una personalità stabile e coerente, in collezionista di piaceri, o cercatore di sensazioni.[4] Si cerca con assiduità ed agitazione compulsiva il piacere, ma ogni soddisfazione ha breve durata, ed è subito sostituita da un nuovo vortice di bisogni, lungo una spirale infinita.

È qui il senso dell’idea di modularità,[5] secondo cui ogni individuo prova di continuo a forgiarsi autonomamente, assumendo senza sosta un aspetto differente, trasformandosi ininterrottamente, per aprirsi alla novità costante, per indossare maschere, per assumere ruoli variegati, temporanei, perfino in disaccordo tra loro. In un mondo in cui anche le idee, le istituzioni, i saperi sembrano a molti avere vita breve e contraddittoria.[6]

 

Pur non essendo consumatori incalliti, Kit e Port in quanto viaggiatori, visti come metafore dell’uomo contemporaneo, sembrano personaggi del tutto baumaniani. Nel loro magari involontario ossequio alla caducità, all’esperienza effimera, all’assenza di legami durevoli, ecco che ripercorrono itinerari simili a parte dell’immaginario sociologico attuale: sono allora anche flâneur, in un mondo di estranei che rappresentano volta per volta attori inconsapevoli delle loro rappresentazioni fittizie, nel loro distacco artificioso dal mondo opprimente ed esigente; sono vagabondi incapaci di adattarsi, smaniosi di muoversi e fuggire; sono, loro malgrado, turisti – almeno nel senso precedentemente descritto – sempre alla ricerca di nuove ed energiche sensazioni, ormai inespressivi ed impassibili, difficilmente colpiti emotivamente. Una casa in effetti ce l’hanno, almeno così parrebbe, e ciò gli dà sicurezza, ma tornare o meno ha pochissima importanza, praticamente nulla; sono in ultimo giocatori, preda della casualità più confusa.

I due coniugi vivono, per esplicita ammissione, senza programmi. La loro vita, è lampante, si concentra esclusivamente sul presente. Semplicemente un insieme di episodi sconnessi, forse in cerca dei sempre innovativi piaceri dell’istante, sebbene con un’apatica incapacità di goderne appieno la sostanza. In quanto espressione traslata dell’individuo tardomoderno – almeno della sua rappresentazione – essi sono fautori di un’identità che si rinnova di continuo, all’insegna dell’abbandono del consolidato, che però non riesce a stabilizzarsi ed a contrastare la precarietà dilagante. Un’identità che naviga a vista in un mondo considerato spesso come liquido, ossia senza una forma stabile e duratura.[7] L’immagine di se stessi può così dare corpo ad un’auto-percezione frammentaria e sinistra, perché non può giovarsi della continuità sensata degli eventi nella costruzione di personalità coerenti, seppur modificabili, lungo l’arco di un’intera e salubre biografia. E Kit e Port vivono nello stato di inquieto abbandono tipico di questa rappresentazione. Sembrano innanzitutto privi di legami con una memoria dispensatrice di senso. Il passato in quanto tale sembra inutile, perfino quello strettamente personale, in quanto non incide minimamente sull’essere presente. Anche il futuro non conferisce quei modelli di riferimento prospettici cui tentare di adeguare il proprio agire, appunto perché non ci si aspetta niente dalla vita. Solo, in ambigua contraddizione, attesa del nulla e fuga dal nulla stesso. Una condizione narrata in molti contributi sociologici sull’epoca contemporanea.

Ma, ci si può chiedere, la nostra è davvero un’età senza alcuna rotta come un sentire diffuso lascia presagire? Questa weltanshauung non può forse marginalizzare il suo tetro nichilismo e aiutare nuove progettualità e nuove immagini della storia?

 

 


 

[4] Ibidem, p. 111.

[5] Z. Bauman, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2000, pp. 159 e segg.

[6] Per un’analisi d’ampio raggio del pensiero relativo alla post-modernità, si rimanda a K. Kumar, Le nuove teorie del mondo contemporaneo. Dalla società post-industriale alla società post-moderna, Einaudi, Torino 2000.

[7] Cfr. Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari 2002; Id, Vita liquida, Laterza, Roma-Bari 2006.

 

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