Riunione di famiglia (The intensive care unit, 1977) di J. G. Ballard
The intensive care unit affronta il tema dell’alienazione dei rapporti umani mediati sempre più dal filtro dei dispositivi schermici. Il concetto della famiglia è qui centrale e viene presentato come la dimensione più alta degli affetti e al contempo come il nucleo di sopite aggressività e violenze latenti. La storia è semplice: una famiglia (composta da padre, madre, figlioletto e figlioletta) condivide per la prima volta tutti insieme lo stesso spazio fisico, condividendo altresì la gioia ed il dolore della mai esperita vicinanza prossemica.
L’incipit
parte proprio da questo momento, da questo bizzarro incontro che vede
probabilmente la fine dei personaggi, agonizzanti ma uniti dall’amore
reciproco.
Del resto anche in
Fantasie incestuose, il meccanismo narrativo ricongiunge l’incipit
alla fine della storia, quasi a mostrare la particolare cifra stilistica
dell’autore che parte del presente per rievocare gli avvenimenti del
passato che hanno condotto a quella particolare situazione.
Il maestro della
fantascienza inglese ambienta le vicende in un futuro forse prossimo
dove il contato fisico è bandito ed i rapporti umani vengono gestiti
mediante lo schermo televisivo. Il protagonista decide di violare tale
regola stabilendo un incontro vis à vis con i membri della sua
famiglia.
In questo
microcosmo ballardiano la tv è pertanto l’unico mezzo a disposizione per
entrare in contatto con gli altri, i quali appaiono, a detta del
protagonista, immortalati in un eterna giovinezza, anche grazie ad una
particolare cosmesi che li rende piacevoli ed attraenti.
Ballard profila un
universo splendente ove tutti maneggiano gli strumenti audiovisivi
grazie ai quali è possibile comunicare e vivere felicemente. Al calare
della protezione schermica, all’avvicinarsi dell’altro, sembra invece
scatenarsi l’io più primitivo e brutale, incapace di contenere
l’aggressività prima celata. “…Sullo schermo non si sentivano gli odori del corpo o il respiro affannoso, non si vedevano le contrazioni delle pupille e i riflessi facciali, non c’era il mutuo gioco delle emozioni, della sfiducia e dell’insicurezza. L’affetto, la compassione richiedevano distanza. Solo a distanza si poteva trovare quell’autentica vicinanza con un altro essere umano, che con grazia, poteva trasformarsi in amore…”.
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