I Fornit (The Ballad of the Flexible Bullet, 1984) di Stephen King

 

Pubblicato in “Urania” 1003, 1985, poi in Scheletri, col titolo La pallottola flessibile, 1989

Un racconto nel racconto nel racconto: quello scritto da un certo Reg Thorpe per una rivista di New York di cui l’ex editor narra durante una cena con amici, come a noi viene raccontato da Stephen King. Si tratta di La ballata della pallottola flessibile, piccolo capolavoro, in equilibrio fra la tragedia e l’ironia, che, a scapito delle abitudini della rivista, viene letto dall’editor, che decide seduta stante di pubblicarlo.

E da qui cominciano i guai.
Comunicando per lettera con l’autore, lo scafato newyorkese: prima, si rende conto che Reg è completamente fuori di testa; poi, precipita progressivamente anche lui nella follia – aiutato in questo dal suo bourbon preferito.

Come Thorpe è convinto che nella sua macchina da scrivere viva un piccolo tesserino, un Fornit, che spande la sua polvere magica, il fornus, sui tasti in modo tale da nutrire la creatività dello scrittore, l’editor si convince rapidamente che le radiazioni elettriche che avvolgono la Terra siano la causa della progressiva incapacità sua e di tutti gli altri di pensare speditamente e lucidamente.

E mentre la casa editrice per cui lavora si trova a dover decidere di ridurre fino all’eliminazione la pubblicazione di racconti (e quindi di non dover pubblicare il racconto di Thorpe), l’editor precipita sempre di più nell’alcolismo e nella paranoia, guidato da un unico pensiero: assecondare, d’accordo con la moglie dello scrittore, quest’ultimo, e contemporaneamente elaborare un sistema per pagarlo lo stesso, con denaro suo, per la paura che la delusione di non veder più pubblicato il suo racconto dia l’ultimo colpo alla sua residua sanità mentale.
Fino, naturalmente alla catastrofe finale: mentre il newyorkese, ormai ridotto al lumicino, scopre che, forse, i fornit esistono davvero, Thorpe si uccide quando scopre che un ragazzino ha scoperto e ucciso con una pistola spaziale giocattolo il suo fornit.

È la materializzazione della pallottola flessibile, metafora concepita inizialmente da Marianne Moore (così ci spiega King) per definire l’automobile, ma che si adatta bene a quelle situazioni in cui ci si muove sul filo di un rasoio, e dove la minima spinta da un lato o dall’altro può essere fatale.
Un piccolo capolavoro, questo di King, che sfrutta una delle regole d’oro del vecchio racconto fantastico – la narrazione indimostrabile di un testimone – al servizio della scrittura fantascientifica.
Il Fornit di Thorpe non è infatti un essere magico, è fatto di materia, e del sangue che schizzerà quando il ragazzino gli sparerà con la pistola giocattolo a pile. Verrà ucciso dalle radiazioni elettriche, che nella sua follia l’editor evidentemente a ragione temeva, mentre sullo sfondo dell’azione che King ci narra attraverso le parole del newyorkese vediamo le prime partenze dei razzi della NASA verso
la Luna.