I Fornit (The Ballad of the Flexible Bullet, 1984) di Stephen King
Un racconto nel racconto nel racconto: quello scritto da un certo Reg Thorpe per una rivista di New York di cui l’ex editor narra durante una cena con amici, come a noi viene raccontato da Stephen King. Si tratta di La ballata della pallottola flessibile, piccolo capolavoro, in equilibrio fra la tragedia e l’ironia, che, a scapito delle abitudini della rivista, viene letto dall’editor, che decide seduta stante di pubblicarlo.
E da qui
cominciano i guai. Come Thorpe è convinto che nella sua macchina da scrivere viva un piccolo tesserino, un Fornit, che spande la sua polvere magica, il fornus, sui tasti in modo tale da nutrire la creatività dello scrittore, l’editor si convince rapidamente che le radiazioni elettriche che avvolgono la Terra siano la causa della progressiva incapacità sua e di tutti gli altri di pensare speditamente e lucidamente.
E mentre la casa
editrice per cui lavora si trova a dover decidere di ridurre fino
all’eliminazione la pubblicazione di racconti (e quindi di non dover
pubblicare il racconto di Thorpe), l’editor precipita sempre di più
nell’alcolismo e nella paranoia, guidato da un unico pensiero:
assecondare, d’accordo con la moglie dello scrittore, quest’ultimo, e
contemporaneamente elaborare un sistema per pagarlo lo stesso, con
denaro suo, per la paura che la delusione di non veder più pubblicato il
suo racconto dia l’ultimo colpo alla sua residua sanità mentale.
È la
materializzazione della pallottola flessibile, metafora concepita
inizialmente da Marianne Moore (così ci spiega King) per definire
l’automobile, ma che si adatta bene a quelle situazioni in cui ci si
muove sul filo di un rasoio, e dove la minima spinta da un lato o
dall’altro può essere fatale.
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