Un popolo di santi e navigatori virtuali di Luca Bifulco

 



Le società arcaiche, completamente rivolte al sacro, vivevano in ciò che Mircea Eliade avrebbe definito paradiso degli archetipi.[4] Per loro ha statuto di realtà solo quanto riattualizza ed emula un archetipo originale vissuto in un tempo primordiale, e l’identità umana è possibile solo nella cornice vivificatrice della trascendenza. È allora il rito che inserisce  la vita quotidiana nel modello eterno del cosmo, dandole un senso. La realtà è così frutto della ripetizione rituale degli archetipi e, soprattutto, della partecipazione collettiva. In una simile impostazione, le circostanze in cui si richiamano i modelli esemplari, in cui si abolisce il tempo profano, sono le sole ad avere valore, mentre il resto della vita quotidiana è privo di rilevanza. Il mondo umano è così garantito dal mondo sacro, il quale rappresenta un modello a cui si rapporta il profano. L’uomo esce dalla sua condizione attraverso la partecipazione comune al rituale e diviene parte di un mondo, per così dire, perfetto in cui può – in virtù dell’azione di pratiche differenti che, per ragioni di brevità, non possiamo approfondire dovutamente – abbandonare l’impurità.[5]

Se ci pensiamo bene, buona parte dell’immaginario con cui ci si rapporta al cyberspazio ha molti punti di convergenza. E parliamo sia delle rappresentazioni recondite comuni forse a tanti di noi, ma soprattutto degli slanci utopici di buona parte degli adoratori della rete. Come Erik Davis ha messo in evidenza, il cyberspazio è infatti spesso concepito come uno spazio dell’anima elettronico, un “posto dove sospendere le usuali regole scientifiche che limitano la realtà fisica nella quale vivono i nostri corpi”, un ambiente interattivo condiviso dove aderire collettivamente, quasi ritualisticamente, a significati, simboli, progetti.[6] In questo spazio, immateriale, trascendente, separato dal mondo profano come il sacro, si crede che possa circolare il pensiero collettivo e che possa acquisire linfa vitale il progetto, caro agli epigoni di Teilhard de Chardin, di una noosfera, ossia di un’unità psichica planetaria, in questo caso fatta di informazione digitalizzata. Questo mondo, quasi riecheggiando un immaginario animista, pullula di spiriti, nella forma di immagini, suoni, icone, metafore, informazioni condivise, che prendono corpo e poi vagano quasi indipendentemente nell’universo infinito, frattale e rizomatico, della rete. Contenuti spesso avvertiti come quasi sovrannaturali, ma una fonte di opulenza di senso che in tanti sentono come virtualmente prolifica. E, soprattutto, siamo di fronte alla purezza assoluta dell’informazione digitale, che non porta con sé i difetti del mondo tangibile e corporeo.

Così come la magia rappresenta le pratiche atte a manipolare lo straordinario, il numinoso, per dominare ed usare ciò che sfugge all’universo umano,[7] così tutto si gioca nelle possibilità, quasi sciamaniche, di governare questo mondo immateriale per goderne delle forze pure, abbandonando l’imperfezione della vita profana per donarle nuova luce. È questo il caso di un atteggiamento utopico diffuso, ben esemplificato dall’utopia degli hacker o dall’ottimismo progettuale di tanti intellettuali come Pierre Lévy. Per questo autore francese, infatti, il cyberspazio può ospitare l’effettivo potenziale dell’organizzazione dell’umanità intera all’interno di un’intelligenza collettiva. Un pensiero planetario coordinato in tempo reale, sempre in atto, capace di utilizzare al meglio e perfezionare tutte le singole competenze e conoscenze. Si plasmerebbe così un sapere comune sempre più esteso ed efficace e, allo stesso modo, la possibilità di una politica di democrazia diretta – beneficiaria dell’apporto e delle idee di tutti – che sarebbe in grado di venire rapidamente incontro ad ogni specifica esigenza facendosi carico del benessere collettivo.[8]

Un chiaro esempio, questo, di come le forze trascendenti, in un simile mondo di archetipi digitalizzati, siano immaginate come attraenti forme di purificazione e partecipazione condivisa ad un mondo perfetto, sacro, atto addirittura a forgiare benefici o a donare senso alla quotidianità profana ed insignificante. Un mondo plurale e complesso, ma ricco e promettente. E di esempi di una tale impalcatura immaginaria potrebbero essercene tanti. Si pensi infatti, in merito alla forza ideale di archetipi tradotti in cifre binarie, anche ai modelli esemplari degli universi dei videogiochi online, delle interazioni virtuali, ecc., che possono rappresentare una trasposizione effettiva dei miti, dei simboli condivisi, delle prospettive comuni a cui si prende parte collettivamente nella pratica rituale del gioco, della comunicazione interattiva, ecc.

 

 


 

[4] Cfr. Mircea Eliade (1949), Il mito dell’eterno ritorno. Archetipi e ripetizione, Borla, Roma 1999.

[5] Cfr. Jean Cazeneuve, La sociologia del rito. Il rito nella vita quotidiana, Il Saggiatore, Milano 1974, pp. 49-54 e 261-272.

[6] Cfr. Erik Davis, Techgnosis. Miti, magia e misticismo nell’era dell’informazione, Ipermedium libri, Napoli 2001, p. 203.

[7] Cfr., Jean Cazeneuve, op. cit., pp. 246.257.

[8] Cfr. Pierre Lévy, L’intelligenza collettiva, Feltrinelli, Milano 1996.

 

    [1] (2) [3]