Jakko M. Jakszyk

The Bruised Romantic Glee Club

IcenI

Distribuzione: Burning Shed (www.burningshed.com)

 

 





 
The Bruised Romantic Glee Club di Jakko M. Jakszyk

 

Qui si respira a pieni polmoni aria pura, aria di una stagione che si pensava archiviata e mitizzata quasi fosse un monumento imbiancato da onorare con episodiche ristampe o con nostalgiche reunion di sopravvissuti. E, invece, il destino talvolta è clemente e ci ritroviamo oggi, nel 2007, a riparlare di Canterbury (luogo, da sempre, più immaginario che reale) grazie a un signore dal cognome impronunciabile, Jakko M. Jakszyk, che certamente si ritaglierebbe la sua bella casella in una versione aggiornata dell’albero genealogico del movimento canterburiano apparso nel libretto che accompagnava la raccolta Triple Echo dei Soft Machine.

Ne ha pieno diritto. The Bruised Romantic Glee Club è più che un mero tributo a quella stagione, ma è una boccata d’ossigeno per chi ha sempre creduto che non fosse stato detto tutto. E che ci fosse ancora l’occasione di ascoltare canzoni, sì anche solo canzoni, dove si potessero cogliere però le tracce di quella intelligenza insolita che è la cifra stilistica di tutto il movimento.

Non è un caso che questo sia l’album, dopo oltre dieci anni di quasi inattività, del ritorno dietro alle tastiere e agli arrangiamenti di Dave Stewart (ex Hatfield and The North, National Health), grande amico di Jakszyk da oltre vent’anni e collaboratore del chitarrista-compositore in quasi tutti i suoi album da solista. E qui Stewart suona per davvero ed è in buonissima compagnia con Hugh Hopper, Robert Fripp, Mel Collins, Mark King, Gavin Harrison Danny Thompson, Ian McDonald, solo per citare i più noti.

Due i cd che compongono The Bruised Romantic Glee Club: il primo (Now) con composizioni originali di Jakszyk, quasi tutte autobiografiche e che raccontano la saga famigliare del musicista, adottato da piccolo da una famiglia di emigrati in Inghilterra e già documentate nel bel lavoro The Road to Ballina, commissionato da Radio BBC 3 e trasmesso nel dicembre 1996. E il secondo (Then), dedicato alle passioni musicali di Jakko M. Jakszyk con cover di Soft Machine (As long As He Lies Perfectly Still), King Crimson (Picture of an Indian City, Islands) e di Henry Cow (Nirvana for Mice, The Citizen King).

Linee melodiche perfette, veloci fraseggi voce-chitarra elettrica-sax (con un Mel Collins davvero superlativo), l’amore per le spezzettature di zappiana memoria, tempi strani e, soprattutto, un sound che nonostante i riferimenti al passato, risulta incredibilmente fresco e contemporaneo.

Tra le composizioni originali brillano in particolare Catley’s Ashes, un magnifico strumentale che non sfigurerebbe in un album dei King Crimson (proposto, non a caso nei concerti della cover-band 21st Century Schizoid Band di cui Jakszyk è parte), e la dolcissima ballad When We Go Home, con Fripp alle chitarre.

Sul fronte delle cover, non si può citare la mini suite As long As He Lies Perfectly Still a cui Jakszyk aggiunge in coda due frammenti: uno proprio, That Still and Perfect Summer, e uno a firma di Stewart, Astral Projection in Pinner: la timbrica dell’organo è identica a quella degli Egg (dietro i tamburi c’è pure Clive Brooks, batterista originale del trio) e la performance vocale di Jakszk è all’altezza di questo difficile brano tanto che, per una volta, non si rimpiange Wyatt.

Da citare anche i riarrangiamenti di Picture of an Indian City, in versione indo-fusion con un nuovo testo scritto per l’occasione da Pete Sinfield, e dell’epica The Citizen King, magistrale, anche in questo caso, il lavoro di programming alle tastiere di Stewart. Raccomandato, non solo ai canterburiani.


 

     Recensione di Claudio Bonomi