MAPPE | NAPOLEONE, UN SOVRANO DELLA FICTION | QDAT 61 | 2016
 

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Due dei più importanti capolavori della letteratura dell’Ottocento iniziano con Napoleone. Nel 1839 Stendhal, che era stato al suo seguito durante la seconda campagna d’Italia nel 1800, apriva una delle sue ultime opere, La certosa di Parma, con il racconto dell’ingresso del suo eroe a Milano durante la prima campagna italiana: “Il 15 maggio 1796 il generale Bonaparte entrò a Milano alla testa del giovane esercito che aveva varcato il ponte di Lodi e mostrato al mondo come dopo tanti secoli Cesare e Alessandro avessero un successore” (Stendhal, 2014). Trent’anni dopo, siamo nel 1869, Lev Tolstoj apre Guerra e Pace con una conversazione in francese nel salotto di Anna Pàvlovna: “Eh bien, mon prince, Gênes et Lucques ne sont pas que des apanages, dei domini de la famille Buonaparte. Non, je vous préviens que si vous ne me dites pas que nous avons la guerre, si vous vous permettez encore de pallier toutes les infamies, toutes les atrocités de cet Antichrist…” (Tolstoj, 2016). Quello che per Stendhal è l’erede di Cesare e Alessandro, nel romanzo di Tolstoj, perlomeno nei dialoghi che si tengono in questi ambienti del legittimismo russo, diventa l’Anticristo, l’immagine che il generale Kutuzov diffonderà nelle campagne del suo paese durante l’invasione napoleonica del 1812 per fanatizzare i contadini contro i francesi. Già così si può avere una vaga idea dell’influenza enorme esercitata dall’epopea di Napoleone sulla letteratura occidentale, e questo per limitarsi alla sola narrativa. È un’affermazione comune tra gli storici quella secondo cui quest’epopea abbia “ispirato un numero di libri ben maggiore del numero di giorni trascorsi dalla sua morte” (Tulard, 2000). Secondo Guido Gerosa, “Napoleone è il personaggio sul quale è stato scritto di più: supera di gran lunga Gesù Cristo e Giulio Cesare” (Gerosa, 1995). Qualcuno azzarda la cifra di circa 70.000 opere a lui dedicate. E se si può ben immaginare il fascino che egli esercitò sulle generazioni dell’Ottocento, diventa difficile spiegare perché ancora oggi Napoleone ispiri nuovi saggi, nuove biografie, nuovi romanzi incentrati su di lui o sulla sua epoca. Probabilmente ha qualcosa a che fare con quella frase attribuita a Goethe, che ebbe modo di conoscerlo e di trascorrere con lui molte ore durante i colloqui internazionali a Erfurt nel 1808: “La leggenda di Napoleone mi pare simile all’Apocalisse di San Giovanni: ognuno intuisce che vi è in essa un contenuto nascosto, ma nessuno sa quale” (cit. in Poli, 2011). 

Il risultato è che tutti vogliono dire qualcosa di lui, sperando così di contribuire, almeno in parte, a svelarne il segreto, il significato nascosto. Lo fanno partendo dalle angolazioni più strane. La certosa di Parma mette in scena, per esempio, una versione della battaglia di Waterloo tra le più confuse e al tempo stesso vividissime tra le infinità di pagine scritte sull’argomento. “Signore, è la prima volta che assisto a una battaglia”, spiega Fabrizio Del Dongo a un quartiermastro; “ma questa è una vera battaglia?” (Stendhal, 2014). Tutto gli si presenta, ai suoi occhi di profano, come una baraonda senza senso, dove è difficile, se non impossibile, riuscire a distinguere Napoleone che passa a cavallo, il maresciallo Ney che urla i suoi ordini, e gli schemi precisissimi che i francesi seguono in quel violentissimo conflitto. Quello che gli storici trasformano in una vicenda ordinata e razionale, i romanzieri riconducono invece alla sua vera essenza: un’incomprensibile e folle carneficina. È così anche nel capolavoro di Tolstoj, dove la descrizione della battaglia di Austerlitz (l’altra leggendaria battaglia napoleonica, seconda solo a Waterloo) vista dagli occhi dei russi non ha nulla di glorioso o di eroico, tant’è che il principe Andréj, rimasto ferito sul campo di battaglia e imbattutosi nello stesso Napoleone che ne elogia il coraggio, riflette: “Così insignificanti gli parevano in quel momento tutte le cose che interessavano Napoleone, così meschino gli pareva il suo stesso eroe, con quella misera vanità e gioia della vittoria, in confronto di quel cielo alto, giusto e buono, da lui veduto e compreso…” (Tolstoj, 2016). Ancora a Waterloo, com’è ben noto, Victor Hugo dedica un capitolo, quasi un romanzo nel romanzo, dei Miserabili. Hugo, a differenza di Stendhal e di Tolstoj, assume il punto di vista onnisciente del romanziere che è al tempo stesso storico e cerca di dare al lettore una ricostruzione quanto più fedele possibile dei fatti, pur ammettendo la difficoltà di quell’impresa: “Per descrivere una battaglia ci vogliono quegli artisti potenti che hanno il caos nel pennello, Rembrandt vale più di Van Der Meulen, il quale, esatto a mezzogiorno, alle tre mentisce. La geometria inganna; soltanto l'uragano è veritiero” (Hugo, 2008). Difatti, pur sforzandosi di calarsi nei panni dell’esperto di storia militare, Hugo non riesce a soffocare la voce del romanziere, dando della battaglia di Waterloo la versione forse più conosciuta, quella fatta di tanti piccoli aneddoti leggendari, dalla colazione di Napoleone al termine della quale detta gli ordini ai generali seduto su un pagliericcio, alla famosa risposta di Cambronne all’ordine di arrendersi. Per lui, “Waterloo non è una battaglia, ma un cambiamento di fronte dell'universo” (ibidem).

 

The Journey of a modern Hero, to the Island of Elba (1814).
Questa caricatura mostra Napoleone su un asino
sulla strada da Fontainebleau all'isola d'Elba.
 
Library of Congress Prints and Photographs Division Washington,
D.C. 20540 USA.
Les habitants de Sainte-Hélène prennent la fuite à la vue
de leur nouveau souverain
, Lacroix (1815). Caricatura dell'arrivo
di Napoleone all'isola di Sant'Elena nell'ottobre 1815. I nativi dell'isola
fuggono prima dell'arrivo dell'ex Imperatore nella sede del suo esilio.
 
Fondation Napoléon.

 


 

L’epopea napoleonica è continuamente scandita dal susseguirsi delle battaglie, per cui è inevitabile che esse entrino prepotentemente nelle pagine dei grandi romanzieri. Nel 1833 Honoré de Balzac espone in una lettera a Madame Hanska il suo progetto (poi abortito) di dedicare un intero romanzo a una battaglia minore, ma tra le più drammatiche, della storia napoleonica, quella di Aspern-Essling, combattuta nel 1809: “Ti dico che La battaglia è un libro impossibile. In esso, intendo iniziarti a tutti gli orrori, e a tutta la bellezza di un campo di battaglia; la mia battaglia è Essling. Essling e tutte le sue conseguenze. Un uomo insensibile seduto nella sua poltrona dev’essere in grado di immaginarsi la campagna, la conformazione del terreno, le masse degli uomini, gli eventi strategici, i ponti sul Danubio. Dev’essere in grado di ammirare i piccoli dettagli così come lo scontro nel suo insieme, sentire l’artiglieria, essere assorbito da ogni mossa sulla scacchiera, vedere tutto, e farsi un’idea, in ogni articolazione di questa grande macchina, di Napoleone, che io non mostrerò, o di cui fornirò un’occhiata di sfuggita verso sera, in una barca che traversa il Danubio. Non una sola donna in vista, ma cannoni, cavalli, due armate, uniformi: i cannoni ruggiranno nella prima pagina e taceranno nell’ultima. Leggerai come attraverso una nuvola di fumo, e, dopo aver chiuso il libro, dovrai essere in grado di visualizzarla tutta e ricordare la battaglia istintivamente come se fossi stata lì” (cit. in Bloom, 2003). Anche se questo ambizioso progetto non si realizzerà, l’attrazione che Balzac nutre verso la figura di Napoleone lo porterà (siamo nel 1841) a dedicargli un altro romanzo, ben più vicino ai toni e alla sensibilità dell’autore della “Commedia umana”: Une ténébreuse affaire (tradotto in italiano sia come Un tenebroso affare che come Un caso tenebroso) ricostruisce, attraverso la fiction, un intrigo realmente intessuto nella Parigi del 1800 dal potente ministro della polizia Fouché, dal ministro degli esteri Talleyrand e dal senatore Clément de Ris per deporre Napoleone primo console nell’eventualità di una sconfitta nella battaglia di Marengo. Napoleone qui non appare che di sfuggita, di traverso, esattamente come Balzac lo intendeva far comparire nel romanzo mai scritto su Essling. Ma, anche se assente, tutto il mondo gira inevitabilmente intorno a lui: che siano i soldati che combattono per salvare il suo Impero, o i ministri che congiurano per assicurare una successione alla Francia, ogni vita, ogni morte, ogni accadimento in quell’epoca memorabile sembra essere strettamente, inesorabilmente intrecciata con quella di Napoleone. 

È quindi possibile, capiscono ben presto gli autori ottocenteschi di romanzi storici, parlare di Napoleone anche senza renderlo protagonista dei loro romanzi. Difatti nessuno di loro si è mai azzardato ad affidargli un ruolo più grande di quello di una semplice comparsa: l’uomo che a Sant’Elena aveva detto di sé “che romanzo è stata la mia vita!”, avrebbe ben presto finito per assorbire tutta la trama, mettere in ombra anche il personaggio più brillante. A lui però non disdegnano di consacrare diverse biografie di successo. Lo fa Stendhal, per esempio, agli inizi della sua carriera letteraria, buttando giù a Milano tra il 1817 e il 1818 una serie di note e appunti per una Vita di Napoleone. L’amico e collega Pietro Borsieri lo fermerà però con una lettera: “Io non credo che voi possiate intitolare il libro: Vita di Napoleone. Una vita deve farmi conoscere minutamente tutta la serie dei dolori o dei piaceri che hanno potentemente operato sovra una grande anima e l’hanno fatta divenire ciò ch’ella è. Un accidente inosservato da uno sterile ammiratore è una chiave che apre molti segreti in mano d’un biografo filosofo” (cit. in Manzini, 2004). Accettato il consiglio, Stendhal abbandona il progetto, che vedrà la luce per la prima volta in modo organico solo nel 1969 con un attento recupero filologico. Molto più avanti nella sua carriera, nel 1836, pubblicherà invece i Mémoires sur Napoléon, autobiografia dei suoi anni giovanili al seguito del generale Bonaparte durante la prima campagna d’Italia, in cui fin dalle prime righe troviamo quello stesso parallelismo tra Napoleone, Cesare e Alessandro che l’autore traccerà meno di tre anni dopo nel famosissimo incipit della Certosa.

Questa sovrapposizione tra attività biografica, autobiografica e letteraria si ritrova anche nell’approccio di un altro gigante dell’Ottocento, Alexandre Dumas, al personaggio Napoleone. Il prolificissimo scrittore era del resto figlio del generale Mathieu Dumas, l’“Ercole mulatto” che aveva servito la Francia nelle battaglie rivoluzionarie e in particolare nella campagna d’Egitto al comando di Bonaparte. Congedato in quell’occasione perché accusato da Bonaparte di insubordinazione, nel viaggio di ritorno verso la Francia fu costretto da una tempesta a fermarsi a Taranto e lì arrestato come prigioniero di guerra dei Borbone, nelle cui carceri languì per due anni ammalandosi gravemente, tanto che morì quattro anni dopo aver dato al mondo il suo figlio immortale (la storia del generale Dumas è stata finalmente ricostruita in dettaglio dall’eccellente libro The Black Count di Tom Reiss nel 2012, vincitore del Premio Pulitzer e tradotto anche in Italia con l’improbabile titolo Il diario segreto del conte di Montecristo). Alexandre Dumas non sembra aver mai covato, tuttavia, un sentimento di avversione nei confronti dell’uomo che distrusse la carriera del padre costringendolo a una morte di stenti. Lo vide solo due volte, come racconta egli stesso, “a otto giorni di distanza l’una dall’altra, nello spazio di un cambio di cavalli: la prima volta quando andava a Ligny, la seconda volta quando veniva da Waterloo; la prima volta alla luce del sole, la seconda al lume di una lucerna; la prima volta in mezzo alle acclamazioni della moltitudine, la seconda in mezzo al silenzio della popolazione. E tutt’e due le volte Napoleone era nella stessa carrozza, allo stesso posto, con lo stesso abito; tutt’e due le volte aveva lo stesso sguardo vago e assorto, lo stesso viso calmo e impassibile; solo, aveva la testa un po’ più china sul petto al ritorno che all’andata. Era per la noia di non poter dormire o per il dolore di aver perduto un mondo?” (Dumas, 2000).

 

Thomas Rowlandson, The Dunghill Cock and Game Pullet or Boney beat out of the Pitt (1810). Satira sul nuovo matrimonio di Napoleone
e Maria Luisa d'Austria, pieno di allusioni sessuali in termini militari.
 
Royal Collection Trust/© Her Majesty Queen Elizabeth II 2016.
Thomas Rowlandson, Boney and his New Wife,
or a Quarrel about Nothing
(1810). Caricatura di Napoleone
e la moglie Maria Luisa d'Austria.

 


 

Queste righe si trovano verso la fine della sua biografia dedicata a Napoleone, pubblicata nel 1840. Un’opera in cui il protagonista giganteggia e si fonde completamente con il mito, di cui Dumas del resto era imbevuto, avendo avuto modo a suo tempo di leggere il famoso Memoriale di Sant’Elena pubblicato in Francia nel 1823. Un’opera breve e asciutta confrontata con i canoni di uno scrittore abituato a straripare, in cui tuttavia alla minuziosa ricostruzione cronologica della vicenda s’inframezzano di tanto in tanto righe che fanno intravedere una volontà diversa. Dumas voleva infatti scrivere un romanzo su Napoleone, oltre a una semplice biografia. È noto che, nel suo capolavoro, Il conte di Montecristo, tutto l’enorme dipanarsi degli eventi cominci con i preparativi del ritorno di Napoleone dall’esilio all’Elba, in cui è coinvolto un acceso agente bonapartista, il padre del magistrato reale Villefort. Come la vita di Dumas era, inconsapevolmente, stata segnata dalla volontà di quell’uomo che egli vide solo due volte nell’arco di pochi giorni, anche quella di Edmond Dantes cambia per sempre per l’effetto della decisione di un uomo che egli non incontrerà mai; quasi come se l’umanità fosse un formicaio che il passaggio distratto di un gigante basta a sconquassare. 

Per lunghissimo tempo si era creduto che Dumas avesse evitato di scrivere quel romanzo ambientato nel periodo napoleonico che costituisce una sorta di “tessera mancante” nella sua produzione letteraria, in grado di coprire praticamente tutta la storia francese dal Rinascimento alla Monarchia di Luglio. Poi, alla fine degli Ottanta, uno dei più grandi studiosi dumasiani, Claude Schopp, s’imbatte per puro caso, durante una ricerca negli archivi della Senna, in una lettera di Dumas che fa riferimento a un’opera pubblicata a puntate sul Moniteur universel di cui nessuno finora era a conoscenza. La lunga serie di indizi lo porta infine nella sala periodici della Biblioteca nazionale, dove da più di un secolo giaceva l’ultimo, inedito e incompiuto romanzo di Alexandre Dumas, centodiciotto capitoli che saranno infine pubblicati per la prima volta nel 2005 con il titolo Il cavaliere di Sainte-Hermine. Non è un caso che questo sia stato l’ultimo romanzo di Dumas, come racconta molto bene Schopp: “[Dumas] non è riuscito a percorrere tutta la Storia di Francia da san Luigi all’epoca contemporanea; in particolare resta una lacuna tra il 1799 (Les Compagnons de Jéhu) e il 1815 (Le Comte de Monte-Cristo). Certo, Napoleone Bonaparte è presente in Les Blancs et le Bleus (con il 13 vendemmiaio e la campagna d’Egitto) e in Les Compagnons de Jéhu (con il ritorno dall’Egitto e il 18 brumaio), ma a quel tempo è solo Bonaparte: non è ancora Napoleone. La grande cattedrale di Dumas è destinata a restare incompiuta come tante altre? Porthos muore schiacciato dalla volta della grotta di Locmaria; Dumas muore tentando di costruire una volta che congiunga due corpi della sua opera. La sua ultima fatica di costruttore è il presente romanzo: qui egli proietta la problematica figura di Napoleone, sole di gloria o orco funesto, assegnandogli come contrappeso romanzesco il giovane Hector [il quale] incrocerà la strada di grandi personaggi: Giuseppina, Fouché, Talleyrand, Cadoudal, Chateaubrind, il duca di Enghien” (Schopp, 2007).

Quando Dumas e Stendhal pubblicano le loro opere biografiche su Napoleone, hanno già un importante precedente su cui basarsi: quello della monumentale opera in nove volumi di Walter Scott, The Life of Napoleon Buonaparte, pubblicata nel 1827 contemporaneamente in Inghilterra e in Francia. L’autore di Ivanhoe e Rob Roy, tra i padri fondatori del romanzo storico moderno, si accosta a Napoleone su suggerimento dell’editore Archibald Constable, che intende commissionargli la realizzazione di libri di storia economici destinati alle classi popolari. Anche se il progetto poi si arenerà per il fallimento dell’editore, Scott si getta a capofitto nelle ricerche d’archivio, è per diversi mesi a Parigi e incontra Lord Wellington per raccogliere testimonianze di prima mano. Il risultato è un’opera di circa un milione di parole destinata a scontentare tutti: i conservatori inglesi, che lo accusano di essersi schierato a favore dell’Orco, perché Scott insiste nel voler realizzare un’opera “obiettiva”; i bonapartisti francesi, i quali non apprezzano l’insistenza dell’autore sui tratti egocentrici e ambiziosi dell’Imperatore. E d’altro canto, per quanto l’opera di Scott abbia il merito di presentare, per la prima volta nel mondo anglosassone, un resoconto della vita di Napoleone non viziato da insinuazioni propagandistiche e grossolane falsità (è il caso, per esempio, della scandalistica Secret History of the Cabinet of Bonaparte pubblicata da Lewis Goldsmith nel 1810, in cui si insinuano, tra le altre cose, rapporti incestuosi di Napoleone con le sorelle e con la figliastra Ortensia), nondimeno essa continua a risentire di una certa anglofobia nei confronti del personaggio, che persisterà nei decenni se non nei secoli successivi. Bisognerà addirittura attendere il 2014 per vedere pubblicata da uno storico anglosassone una biografia definitiva su Napoleone la cui impostazione, almeno secondo il quotidiano britannico The Indipendent, risulta essere “a tratti scomodamente compiacente” (Newall, 2015). Recensendo il volume di Andrew Roberts Napoleon the Great, autentico caso editoriale per la sua mole e completezza, sul prestigioso The Guardian, Andrew Hussey ammette che “la conclusione implicita è che [noi inglesi] abbiamo troppo spesso letto la storia di Bonaparte alla luce della Seconda guerra mondiale, associandolo ai dittatori di quell’epoca” (Hussey, 2014). E ciò avviene in un momento in cui, come ha notato recentemente lo storico Pierre Branda della Fondation Napoléon, i francesi sembrano invece averne abbastanza di opere sul loro personaggio storico più famoso. Mentre, ricorda Branda, alla fine degli anni Novanta i quattro volumi del Napoléon del prolificissimo storico Max Gallo avevano veduto oltre un milione di copie, ispirando anche una fiction televisiva franco-italiana di grande successo, “in questo primo decennio e mezzo del nuovo secolo non c’è stato un libro, biografia o altro [volume dedicato a Napoleone] che nella sua prima edizione abbia venduto più di 50.000 copie. E quelli che ne hanno fatte più di 10.000 possono essere contate sulle dita di una mano; solo venti in effetti hanno venduto più di 5.000 copie”. Ma ciò è causato, riconosce Brenda, dal fatto che l’opera di Gallo “prende strade che lo storico non osa battere” (Brenda, 2016): quelle della ricostruzione basata sull’immaginazione, che fonde la Storia con la fiction laddove la ricostruzione storiografica non riesce a penetrare.

 

Isaac Cruikshank, Buonaparte at Rome,
giving Audience in State (1797). Caricatura inglese,
sulla base delle false notizie dell'ingresso di Bonaparte a Roma;
in realtà la pace di Tolentino tra lo Stato Pontificio
e la Francia evitò l'ingresso dell'armata francese nella città.
 
British Museum.
Serrement de nez (Serment de Ney).
Je jure que ça sent la violette
(1815).
Una caricatura politica
di era napoleonica di Lacroix,
il giuramento del maresciallo Ney.
T. donnant une leçon
de Grâce et de Dignité Imperiale
(1813).
T. sta per François Talma
(1763-1826), famoso attore
tragico del Théãtre-Français
di cui Napoleone era amico
e ammiratore, confessando
di studiarne la gestualità
allo scopo di imitarla.
 
University of Washington Libraries.

 


 

Il rinnovamento del romanzo storico, in tal senso, assume un ruolo decisivo nei nuovi modi di raccontare l’epopea napoleonica. Nel manifesto di Wu Ming 1 sul New Italian Epic vengono teorizzate le caratteristiche di una nuova corrente narrativa, fortemente influenzata dalle esperienze internazionali ma radicatasi poi in Italia, che è riuscita a rinnovare la forma tradizionale del romanzo storico ottocentesco in diversi modi: la contaminazione tra generi letterari, lo “sguardo obliquo” – ossia il raccontare una vicenda storicamente reale attraverso un punto di vista particolare, solitamente di un personaggio inventato –, l’attitudine popular che riprende in parte le forme del feuilleton ottocentesco per avvicinare il genere storico alla sensibilità pop, e infine l’elaborazione di “ucronie potenziali”, definite da Wu Ming 1 come caratteristica di opere che “non fanno ipotesi «controfattuali» su come apparirebbe il mondo prodotto da una biforcazione del tempo, ma riflettono sulla possibilità stessa di una tale biforcazione, raccontando momenti in cui molti sviluppi erano possibili e la storia avrebbe potuto imboccare altre vie” (Wu Ming 1, 2008). Se vogliamo cercare esempi di opere che hanno utilizzato recentemente questi meccanismi scegliendo come protagonista Napoleone o comunque la stagione storica di cui è stato protagonista, troviamo diversi casi interessanti. Si parte da La morte di Napoleone di Simon Leys, pseudonimo di Pierre Rickmans, sinologo di fama anche lui irretito dalla figura dell’Imperatore al punto da dedicargli, nel 1991, un romanzo in cui immagina che in realtà sia riuscito a fuggire dall’esilio di Sant’Elena facendosi sostituire da un sosia, per cercare di riconquistare il trono di Francia. Ma, una volta giunto a Parigi, nessuno gli crede e alla fine perde la voglia di tornare a essere Imperatore e si accontenta di una vita da piccolo borghese. La storia sarà poi trasposta dieci anni dopo al cinema con il titolo I vestiti nuovi dell’Imperatore di Alan Taylor. Sempre sul fronte ucronico, ben più recentemente, l’americana Shannon Selin ha immaginato una fuga di Napoleone verso l’America, meta designata dei suoi primi progetti dopo la sconfitta a Waterloo; diversamente dal registro ironico di Leys/Rickmans, Selin cerca invece di raccontare una vera e propria “ucronia potenziale”, un possibile scenario alternativo, storicamente accuratissimo, dell’ultimo Napoleone. Lo scenario americano, d’altro canto, era stato esplorato anche da una pellicola francese, Monsieur N., diretta da Antoine de Caunes (2003), con toni da spy-story (cfr. in questo numero “Mai esiliato dagli schermi”).

Questo per quel che attiene le ucronie. Se invece andiamo a cercare romanzi storici recenti che scelgono un altro meccanismo narrativo proprio della “New Epic”, quello dello “sguardo obliquo”, incentrati sul periodo napoleonico, riferimento inevitabile è il pluripremiato La battaglia del francese Patrick Rambaud, pubblicato nel 1997: si tratta della realizzazione del progetto di Balzac di un romanzo completamente focalizzato sulla battaglia di Essling, raccontata da molteplici punti di vista, e in cui Napoleone compare solo di sfuggita. Rambaud non sarà Balzac, ma l’operazione è perfettamente riuscita, tanto che ne è stata tratta una splendida graphic novel (cfr. in questo numero, “L’Imperatore colpisce ancora”). Sul versante italiano, invece, il recentissimo La Mappa (2015) di Vittorio Giacopini racconta l’epoca napoleonica dal punto di vista di Serge Victor, cartografo al seguito delle armate francesi. Giacopini ricostruisce minuziosamente vicende, personaggi, abitudini quotidiane e registri colloquiali dell’epoca, sebbene l’operazione di realizzare un romanzo storico postmoderno qui sfugga un po’ di mano, producendo – sia per la scelta di uno stile narrativo particolare e ricercato, sia per l’intenzione di far passare, attraverso la storia, una tesi, quella della “irriducibilità del reale nella forma-romanzo”, come recita la quarta di copertina – quello che i Wu Ming (2009) definiscono un “oggetto narrativo non identificato”.

Senonché, proprio mentre viene annunciata la morte definitiva del romanzo storico che gli stessi Wu Ming hanno contribuito, almeno nel nostro paese, a rifondare (cfr. www.quadernidaltritempi.eu/numero49), influenzando inesorabilmente anche le scelte editoriali nazionali (quelle del Saggiatore, per esempio, che ha pubblicato La Mappa per tramite di Giuseppe Genna, altro nume tutelare della New Italian Epic), proprio un romanzo storico italiano su Napoleone mostra che questo necrologio è perlomeno prematuro. Sono passati sedici anni da quando Ernesto Ferrero ha pubblicato il suo N. (2000), meritatissimo vincitore del Premio Strega. Ma ancora oggi quel romanzo resta una pietra miliare, un termine di paragone imprescindibile. Attraverso gli occhi del bibliotecario di Napoleone all’isola d’Elba, Ferrero mette in scena un affresco vividissimo dei nove mesi di quell’esilio che ha cambiato per sempre la storia dell’isola e degli isolani, restituendoci un Napoleone credibilissimo verso il quale è impossibile non avere un moto di empatia che lo stesso Martino, il protagonista, inizialmente acceso antibonapartista, finirà per provare. Il tradizionale escamotage usato da Ferrero – un diario dell’epoca, “naturalmente, un manoscritto” come avrebbe detto Umberto Eco – si rivela estremamente efficace nel calarci nel contesto storico e nel farci sperimentare, attraverso Martino, quella sorta di epifania che tutti i suoi contemporanei, dall’ultimo dei soldati fino a Hegel, hanno provato trovandosi di fronte all’uomo scelto da Dio, almeno secondo Alessandro Manzoni, per lasciare sulla terra “del creator suo spirito più vasta orma” (Manzoni, 2012).

 

Alte Liebe rostet nicht (1816).
Di Voltz Johann-Michel, Napoleone comanda
un'armata di ratti all'isola d'Elba.
 
Fondation Napoléon.
Der Rheinische Courier.
Il Corriere del Reno è stato
anche il titolo di un giornale del tempo.
Napoleone, Protettore
della Confederazione del Reno,
viene qui chiamato ironicamente
il "Postino del Reno".
 
Landesarchiv Baden-Württemberg.
Et l'on revient toujours.
A ses premiers amours
.
Pierre-Marie Bassompierre
Gaston, Napoleone giacobino,
si torna sempre al primo amore
(riferimento al ritorno di diversi
ex giacobini nel governo
napoleonico dei Cento Giorni, 1815).
 
University of Washington Libraries.

 


 

LETTURE

 

  Honoré de Balzac, Un caso tenebroso, Sellerio, Palermo, 1996.
  Pierre Brenda, French Books on Napoleon: A Publisher’s Eye View, in The Napoleon.org Bulletin n. 800, 29 aprile – 5 maggio 2016.
  Alexandre Dumas, Napoleone, Newton Compton, Roma, 2000.
  Alexandre Dumas, Il cavaliere di Sainte-Hermine, Sellerio, Palermo, 2007.
  Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo, Rizzoli, Milano, 2013.
  Ernesto Ferrero, N., Einaudi, Torino, 2000.
  Guido Gerosa, Napoleone, Mondadori, Milano, 1995.
  Vittorio Giacopini, La Mappa, Il Saggiatore, Milano, 2015.
  Lewis Goldsmith, Istoria secreta del gabinetto di Napoleone Bonaparte e della corte di Saint-Cloud, s.l., 1814.
  Bloom Harold (a cura di), Honoré de Balzac, Chelsea House Publishers, Broomall (Usa), 2003.
  Victor Hugo, I Miserabili, Newton Compton, Roma, 2008.
  Andrew Hussey, Napoleon the Great review – an entertaining and deeply forensic examination, The Guardian, 5 ottobre 2014.
  Simon Leys, La morte di Napoleone, Irradiazioni, Roma, 2006.
  Francesco Manzini, Stendhal’s Parallel Lives, Peter Lang, New York, 2004.
  Alessandro Manzoni, Tutte le poesie, BUR, Milano, 2012.
  Sally Newall, Napoleon, TV review: Historian Andrew Roberts is unapologetic in his admiration of the Little Caporal,
  The Indipendent, 11 giugno 2015.
  Magda Poli, Napoleone, Sandro Teti Editore, Roma, 2011.
  Patrick Rambaud, La battaglia, Bompiani, Milano, 2000.
  Tom Reiss, Il diario segreto del conte di Montecristo, Newton Compton, Roma, 2014.
  Andrew Roberts, Napoleone il grande, UTET, Torino, 2015.
  Claude Schopp, Il testamento perduto, in Alexandre Dumas, Il cavaliere di Sainte-Hermine, cit., 2007.
  Walter Scott, The Life of Napoleon Buonaparte, Emperor of the French, 9 voll., Cambridge University Press, Cambridge, 2010.
  Shannon Selin, Napoleon in America, Dry Wall Publishing, Vancuover, 2014.
  Stendhal, Memorie su Napoleone, Fratelli Palombi, Roma, s.d. (ma XX secolo).
  Stendhal, Vita di Napoleone, Ugo Mursia, Milano, 2011.
  Stendhal, La certosa di Parma, Newton Compton, Roma, 2014.
  Lev Tolstoj, Guerra e pace, Newton Compton, Roma, 2016.
  Jean Tulard, Napoleone. Il mito del salvatore, Bompiani, Milano, 2000.
  Wu Ming 1, Memorandum sul New Italian Epic, 2008,
  http://www.wumingfoundation.com/italiano/WM1_saggio_sul_new_italian_epic.pdf.
  Wu Ming, New Italian Epic. Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro, Einaudi, Torino, 2009.

 


 

VISIONI

 

  Antoine de Caunes, Monsieur N., Empire Pictures, 2005.
  Alan Taylor, I vestiti nuovi dell’imperatore, CG Entertainment, 2006.

 


 

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