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di Giulia Iannuzzi

 

Eccoci al centro di una piccola rivoluzione nelle modalità predilette dal racconto seriale televisivo, segnato da una generale caduta di opposizioni, da una peculiare sizigia allineamento di corpi celesti in astronomia, conciliazione di opposti in alchimia, e termine ben noto agli appassionati di X-Files. Si è aperta una stagione di nuovi ibridismi a vari livelli: dalle declinazioni della formularità seriale, alle distinzioni di genere, dalle differenze tra messa in scena televisiva e cinematografica, al manicheismo che usava distinguere buoni e cattivi, fino alla distinzione tra dominio della produzione e della ricezione nel circuito comunicativo. La fantascienza ha rivestito (e sta rivestendo) in questi processi un ruolo per molti versi pivotale, e X-Files, con la sua dualità di sotto-trame e di punti di vista, con la sua incessante riproposizione di un’ambiguità ontologica ed epistemologica del mondo finzionale e del racconto, ha non solo costituito un'eccezionale esemplificazione di questi cambiamenti, ma anche svolto una sua particolare sizigia tra immaginario collettivo e paradigma di realtà contemporaneo, tra narrazione catodica e mito, tra verità e paranoia complottista.
Ci proponiamo di fare il punto su questo momento di snodo mettendo a fuoco tre livelli: testuale (generi e tecniche del racconto nella serialità di oggi), tecnologico e industriale (nuove possibilità del medium), comunicativo (la natura del testo televisivo e della sua ricezione all'epoca della trans-medialità e della ri-mediazione). Considerate nel loro insieme queste tre grandi sfere suggeriranno una periodizzazione, e permetteranno di interrogare il significato profondo di ciò che viene chiamato “serialità televisiva”. Cosa vuol dire serialità oggi? Nell'epoca della convergenza mediatica, ha ancora senso parlare di testi televisivi? Ma cominciamo dal principio – come disse il re – e continuiamo fino... al cliffhanger.
L'inizio, nel nostro caso, può essere collocato a cavallo tra ultimi anni Ottanta e Novanta, quando alcuni cambiamenti di marca tecnologica, industriale e narrativa si sono addensati fino al raggiungimento di una massa critica che ha determinato l'inizio di un rinnovamento profondo del racconto di finzione televisivo, una stagione di svolta entro la quale X-Files (1993-2002, 2016) si è trovata, assieme ad altre serie, nell'occhio del ciclone.
Tra le distinzioni più importanti che cominciano a sfumare in questo periodo c'è quella tradizionale tra serie e serial. Nei Television Studies si usava indicare con series quelle narrazioni in cui ambientazione e personaggi rimangono costanti e ogni episodio presenta una vicenda auto-conclusa, dotata di inizio e fine. L'esempio più tipico sono serie investigative come Columbo (1968-78, 1989-2003) o Murder She Wrote (1984-96), via via fino a Law and Order (1990-), e ai vari CSI (2000-15), Jag (1995-2005) e NCIS (2003-), in cui ogni puntata offre la soluzione di un caso, l'incastro di un colpevole; o – caso altrettanto diffuso – le sitcom, da The Simpson (1989-) a Friends (1994-2004) – che vedono i protagonisti attraversare qualche nuova avventura in ciascun episodio, per ristabilire al termine l'equilibrio iniziale.
I serials si volevano contraddistinti, al contrario, dalla mancanza di conclusione dei singoli episodi, e dal proseguimento di storia (la trama degli eventi) e discorso (narrazione) su un arco più ampio, come nel caso delle soap opera, normalmente incentrate sui drammi sentimentali, sessuali, professionali di un gruppo di personaggi, un nucleo familiare allargato (si pensi a celebri successi degli anni Ottanta come Dallas, 1978-91 o Dynasty, 1981-89).

 

 

I due modelli – serie e serial – rappresentano due differenti modi di intendere e realizzare la serialità televisiva, l'uno segnato dalla ripetizione, puntata dopo puntata, di una data formula narrativa, l'altro incentrato sulla segmentazione in episodi di un intreccio e di un arco narrativo di respiro più ampio. La diverse scelte hanno ovviamente ricadute corrispondenti sul fronte della fruizione: nel primo caso allo spettatore del singolo episodio è sufficiente (talvolta non necessario) possedere una conoscenza di massima dei protagonisti e dell'ambientazione, nel secondo caso è invece indispensabile una vasta conoscenza delle storie pregresse dei protagonisti e delle loro relazioni.
Nell'ambito delle produzioni televisive di alta gamma (lasciando per il momento da parte più controverse idee di “qualità”), è tra la fine degli anni Ottanta, e l'inizio dei Novanta, sulla scorta di esperienze apripista come Hill Street Blues (1981-87) e Babylon 5 (1994-98 quest'ultima rivoluzionaria nel realizzare un arco narrativo programmato di cinque anni), che i due modelli cessano progressivamente di costituire categorie produttive distinte, per diventare piuttosto repertori mescolabili, o poli di un arco entro il quale ciascun prodotto può collocarsi senza soluzione di continuità. Nella fiction seriale della seconda golden age, oggi, la distinzione tra series e serials come categorie definitorie o insiemi distinti è sostanzialmente venuta meno, e sotto il nome comune di “serie” troviamo produzioni che fanno un uso combinato dei due paradigmi in misura variabile (cfr. Allrath and Gymnich, 2005; Bandirali e Terrone, 2013; Nelson, 2007). Da tale commistione deriva spesso la messa in atto di meccanismi di aiuto allo spettatore, come i riassunti delle puntate precedenti, ormai ampiamente diffusi, affidati a un montaggio veloce e al voice over di un personaggio - si pensi a Dexter (2006-13) o, con ironica auto-consapevolezza e opacità del medium, a Shameless (2011-).
In questo quadro X-Files si è offerta (tanto nel 1993 che nel 2016) come esperienza paradigmatica, contraddistinta da una peculiare giustapposizione delle due modalità narrative: da una parte il plot ampio costituito dalle indagini sulle presenze e i rapimenti alieni e il complotto governativo teso a insabbiarne le tracce, indagini la cui conclusione è costantemente rimandata e in cui ogni nuovo pezzo del puzzle giunge accompagnato da una messa in dubbio del suo statuto di verità. Dall'altra parte casi di attività paranormali ed esseri non umani o mutati (i monsters of the week), su cui Molder e Scully indagano, slegati dall'arco principale e radicati nella tradizione di serie antologiche fantastico-fantascientifiche che vanno da classici come The Twilight Zone (1959-64) e Tales from the Dark Side (1983, 1984-88) ad alcune delle esperienze più interessanti degli ultimi due decenni (Masters of Horror, 2005-07). Una dualità che permette di procrastinare indefinitamente la chiusa della trama principale e offrire al contempo temporanee soddisfazioni al desiderio di closure degli spettatori.
X-Files ha raccolto a suo modo anche l'eredità delle serie poliziottesche incentrate su una coppia di colleghi – spesso caratterialmente male assortiti, ma insieme imbattibili nel risolvere i casi – il sottogenere buddy cop, fiorito negli anni Ottanta con produzioni come Miami Vice (1984-89) e Moonlighting (1985-89). Nelle serie degli anni Duemila, mentre la detection continua spesso a muovere l'azione, è frequente trovare una struttura narrativa plurale, articolata attorno a un sistema di personaggi complesso, secondo un modello proposto, tra le altre, già da Twin Peaks (1990-91), portato alla massima espressione centrifuga da Lost (2004-10), e quindi riproposto, tra gli altri, da grandi successi di pubblico (The Walking Dead, 2010-; Game of Thrones, 2011-) e da serie divenute “di culto” (Battlestar Galactica, 1978, 2004-09; True Blood, 2008-14).
L'articolazione del sistema dei personaggi e la moltiplicazione di sotto-trame trova nel montaggio alternato uno strumento tipico che, intrecciando vicende parallele, può consentire di alternare sotto-generi o atmosfere dominanti diverse, e di tenere alta la suspense, moltiplicando i meccanismi dilatori che rimandano lo scioglimento di ciascuna vicenda. In ciò sta non solo uno degli apporti più significativi giunti dal modello narrativo delle soap opera, ma un segnale di quanto le serie televisive oggi siano piene eredi del feuilleton ottocentesco: i cliffhanger che lasciando in sospeso una situazione drammatica assicurano il ritorno dello spettatore dopo la pubblicità, o per il prossimo episodio o per la prossima stagione, altro non sono che moderne versioni dei twists di Charles Dickens e Eugène Sue, di Honoré de Balzac e Alexandre Dumas, e così vale per le dosate altalene di suspense e sorpresa, colpi di scena, rivelazioni e agnizioni (cfr. Piga, 2014).
Non viene meno la presenza di uno o alcuni protagonisti principali, ai quali resta di solito legata l'esistenza di un enigma centrale, che al perenne rinvio di conclusioni feuilletonesco e soap-operistico somma il costante differimento di risoluzione narrativa già indicato dagli studiosi tra i caratteri non sacrificabili di ogni narrazione che voglia aspirare ad avere un seguito di fan fedeli, a diventare, cioè, un prodotto “di culto” (cfr. Hills, 2002). Può trattarsi di un mistero da risolvere, di un interrogativo sulla vera natura del personaggio o sul suo passato, di una tensione erotica irrisolta all'interno di una coppia.

 

 

Di pari passo all'ibridazione tra formule è andata la commistione tra generi, cifra distintiva in produzioni di grande successo di critica come The Sopranos (1999-2007) – gangster e psychological drama; Buffy (1997-2003) – teen drama, gotico-soprannaturale, azione; Ally McBeal (1997-2002) – drama giudiziario, genere romantico, venature di MTV, e via dicendo (cfr. Nelson, 2007). Come i generi nel senso di “format”, anche i generi nel senso di “settori dell'immaginario” sono divenuti repertori cui i creatori attingono liberamente, il cui uso coniugato può seguire la strada di una giustapposizione paratattica, che invita lo straniamento, magari divertito, del pubblico, sottraendo la sicurezza del genere come dispositivo convenzionale di decodificazione.
In questo quadro, la fantascienza si è fatta capace, in maniera crescente, di incorporare con successo elementi tipici di altri repertori generici, dal poliziesco-procedurale in Life on Mars (2006-07) al western in Firefly (2002), al teen melodrama di Smallville (2001-11) (cfr. Telotte and Duchovnay, 2012). Più oltre la fantascienza è divenuta matrice inconfondibile e immancabile di prodotti pure strutturalmente ibridi che hanno segnato il passo della fiction televisiva nel suo complesso (forse superfluo ri-citare qui Twin Peaks, Lost, oltre, ovviamente, ai nostri X-Files) (cfr. Johnson, 2005).
Anche relativamente all'ibridazione di genere e alla proliferazione dei tropi fantascientifici X-Files presenta una sua incarnazione esemplare, tra detective thriller, fantascienza e horror: certo si tratta di una tendenza al pastiche tipicamente postmoderna, all'auto-consapevolezza ironica e ammiccante (Scully prende in giro le teorie di Molder bollandole come science fiction, o cita Stephen King e Brian De Palma definendo la telecinesi come “how Carrie got even at the prom” e così via). Ma tutta fantascientifica è anche la riflessione che riguarda un paradigma di realtà in cui i media rivestono un ruolo crescente: si pensi alla centralità di foto, video, report, diapositive nella presentazione e ricapitolazione dei casi, alla manipolazione cospirativa dell'informazione, alla messa in discussione radicale dello statuto ontologico dell'intero mondo finzionale, il quale, viene insinuato, potrebbe non essere altro che l'autobiografia fantascientifica di uno dei suoi personaggi (cfr. Hill, 2012). A ragion veduta tra gli sceneggiatori ospiti della serie non potevano mancare Stephen King (stagione 5, episodio 10) e William Gibson (stagione 5, episodio 11; stagione 7, episodio 13).
La presenza di una riflessione sulla natura ri-mediata e tecnologicamente costruita della realtà si può più in generale annoverare tra i motivi della relativa fortuna della fantascienza televisiva in anni recenti, che ne fanno un genere dalla spiccata attitudine postmoderna, quantomeno nelle sue declinazioni più intelligenti (cfr. Telotte, 2008; Geraghty 2009). Di questo sono testimonianza non solo la partecipazione del repertorio fantascientifico in prodotti ibridi di successo come appunto X-Files, ma anche il numero di prodotti che, mantenendo spiccate marche di genere, sono diventati “di culto” (Firefly; Heroes, 2006-10; Battlestar Galactica, oltre ai casi storici di Star Trek, 1966-2005, e Doctor Who, 1963-); la relativa popolarità testimoniata dal varo del canale Sci-Fi (oggi SyFy) della NBC nel 1992; il numero di spin off e quello di serie migrate sul grande schermo e viceversa. Parte del fascino della fantascienza televisiva e cinematografica è da ricercare nell'attitudine all'auto-consapevolezza, all'auto-riflessività, che deriva dall'essere prodotto di quella stessa tecnologia che è posta al centro della rappresentazione (di questo avviso ad esempio sono Telotte and Duchovnay, 2012).
Lo statuto incerto della realtà rappresentata in X-Files ci porta a menzionare un'ulteriore caduta di opposizioni, quella tra diverse spiegazioni degli eventi, tra paradigmi di realtà concorrenti. In molte produzioni contemporanee, sempre restando nell'ambito dell'alto di gamma, cioè di serie che presentano un alto investimento di risorse creative ed economiche nella loro produzione, troviamo oggi narrazioni strutturalmente polisemiche. In X-Files questa polisemia è data dalla compresenza tra i punti di vista dei due protagonisti – Molder per lo più portatore della credenza nel paranormale, spesso unico testimone di eventi chiave e guida visiva dello spettatore, Scully rappresentante dello scetticismo scientifico, a cui viene accordato un spazio epistemologico e narrativo secondario ma comunque significativo con i rapporti fatti ai superiori e i relativi voice over – due punti di vista che tendono spesso a intrecciarsi e confondersi. La coesistenza di spiegazioni e interpretazioni concorrenti dei fatti, l'impossibilità di ciascuna narrazione di prevalere in un quadro inter-soggettivo e men che meno pubblico, sublima, sul piano ideologico ed epistemologico, quella mancanza di closure e quel costante differimento di risoluzione narrativa già menzionati come meccanismi narrativi particolarmente utili alla fidelizzazione dello spettatore.
La messa in scena della soggettività, di una moltitudine di prospettive, e, più ancora, l'introduzione di narratori interni inattendibili, sono diventati cifre ricorrenti dei prodotti contemporanei: esempi potrebbero trovarsi oltre che in X-Files (ad esempio si veda l’episodio 12 della quinta stagione), in Buffy, the Vampire Slayer (nell'episodio 15, della stagione 7 un personaggio racconta una versione inattendibile di quanto avevamo visto negli episodi 21-22 della stagione 6), ma si pensi anche alla presenza della narrazione omodiegetica in serie che sfruttano le formule del mocumentary (in senso umoristico – The Office, 2001-03; o investigativo-drammatico – True Detective, stagione 1, 2014). L'omodiegesi – cioè la presenza di un personaggio che funge anche da narratore in prima persona della storia, tradizionalmente meno adottata nei media audio-visivi rispetto alle narrazioni scritte, dove la agency del narratore è “di default” assunta dalla telecamera, diviene invece uno strumento ideale per portare sullo schermo l'indecisione interpretativa, la polisemia, quella post-moderna assenza o sfuggevolezza di una verità condivisa, perennemente rincorsa e mai raggiunta: The truth is out there recita la tagline di X-Files, la verità è là fuori, ma, per il momento, resta inaccessibile; lo spettatore può godersi l'affabulazione che è nella ricerca. Si sfocano così non solo i confini percettivi tra realtà inter-soggettiva e allucinazione, ma anche i confini morali tra “buono” e “cattivo”: viene meno ogni inquadramento manicheistico della realtà e dei personaggi, e anzi, ci si compiace non più solo di costruire personaggi a tutto tondo (i simpatici “cattivi” di Game of Thrones), tipicamente tormentati dai loro passati irrisolti (i protagonisti di Lost o il nostro Molder), ma personaggi che chiamano direttamente in causa la fragilità dei nostri criteri di giudizio: poliziotti corrotti ma sensibili (The Shield, 2002-08), serial killer che uccidono solo per riparare le lacune del sistema giudiziario (Dexter), o che tra un omicidio e l'altro tornano a essere ragazzini spaventati e oppressi da madri disturbate (Bates Motel, 2013-), terroristi tormentati e indecisi (Homeland, 2011-), capimafia complessati (The Sopranos), e così via.

 

 

Queste tendenze al rinnovamento nelle scelte tematiche e narrative non basterebbero a far parlare di una nuova fase nella storia della televisione se non intervenissero contemporaneamente a cambiamenti altrettanto importanti sul piano tecnico della realizzazione e, per conseguenza, sul piano della resa audio-visiva proprio del medium televisivo. A partire dagli anni Ottanta l'immagine televisiva ha goduto di crescenti possibilità sia a livello produttivo che a livello fruitivo, raggiungendo una definizione, una resa del colore e del movimento prima sconosciute. Pensiamo all'avvento dell'immagine costruita in digitale, con relative possibilità di ottenere effetti speciali a budget ridotti e, sul fronte della ricezione, alla comparsa di schermi più ampi e migliori (tra cui il plasma nel 1995 e i cristalli liquidi negli anni Duemila), e di impianti audio con surround digitale per uso domestico.
Questi avanzamenti tecnici hanno influito in maniera decisiva sul passaggio da una televisione eminentemente parlata, con sfondi poco descrittivi, a una televisione in cui la mise en scène riveste un ruolo chiave, anche come veicolo di informazioni cruciali allo sviluppo della narrazione (cfr. Johnson-Smith, 2005). La fantascienza, con la sua rappresentazione di un sublime tecnologico, la sua ricerca di un sense of wonder e di un novum cognitivamente straniante (cfr. Suvin, 1985) a beneficio dello spettatore, ha colto queste nuove possibilità con particolare energia e inventiva per applicarle allo spazio, a mondi paralleli e alternativi, al futuro: si pensi alla ricchezza e profondità visuale dei mondi di Babylon 5 o Stargate SG-1 (1997-2007). Anche produzioni in altri generi del fantastico hanno sfruttato queste possibilità investendo precipuamente sulla ricchezza della messa in scena (American Horror Story, 2011-; Game of Thrones), e, più in generale, si è assistito a una costante crescita dei budget di quei prodotti esplicitamente proposti come serie “di qualità” (nel 1993 X-Files cominciava con un budget di due milioni di dollari per il pilota; si confronti con i quattordici milioni per il pilota di Lost nel 2004, seguiti dai quattro milioni di media a episodio).
Cambiamenti tecnici decisivi sono avvenuti anche nel settore della distribuzione: una nuova generazione di satelliti direct-broadcast (DBS, comparsa nel 1994 negli Usa), nuove tecniche di compressione digitale, l'avvento definitivo del digitale terrestre negli anni Duemila, hanno consentito di veicolare una quantità superiore di canali nella stessa larghezza di banda elettromagnetica a disposizione. Lungi dal trattarsi di tecnicismi, questi mutamenti hanno rivoluzionato l'ampiezza dell'offerta, e condizionato l'approccio alla televisione da parte delle autorità statali: se nei decenni precedenti la scarsità di spettro aveva sostenuto, in Europa, la tenuta di una gestione statale centralizzata delle frequenze viste come bene pubblico, la sensazione di trovarsi davanti a una nuova abbondanza ha spinto verso dinamiche di privatizzazione e de-regolamentazione del mercato, con spiccate tendenze alla concentrazione verticale (ancora una ragione dell'attualità della fantascienza, che così spesso ci ha ricordato la cogenza dei rapporti tra tecno-scienza politica e società).
D'altronde il progresso delle tecnologie via cavo e satellitari ha anche determinato, negli Stati Uniti, la crescita di un'offerta televisiva subordinata al pagamento di abbonamenti, e dunque svincolata dai limiti di censura, appropriatezza, appetibilità per gli inserzionisti che si impongono alle reti in chiaro, favorendo in ultima analisi l'introduzione di contenuti espliciti e di una sofisticazione culturale prima sconosciuti al mondo delle serie generaliste (pensiamo alle produzioni di HBO o Showtime).
Alle innovazioni nella ricezione e nella distribuzione si sono sommate infine quelle nei sistemi di accesso e riproduzione dei programmi: l'avvento dei DVR (Digital Video Recorder, negli Usa il lancio di TiVo avviene nel 1999, in Italia la presenza di PVR si lega al digitale terrestre nei secondi anni Duemila), del dvd (1996), quindi la diffusione dello streaming on-line resa possibile dalla crescente portata delle infrastrutture digitali negli anni Duemila (accesso di massa a connessione e personal computer, ampiezza di banda, standardizzazione di protocolli e formati) hanno reso i prodotti televisivi passibili di una selezione e di un riuso da parte dei fruitori, sconosciuti fino a pochissimo tempo prima. 

Anche qui l'impiego della tecnologia è tutt'altro che neutro: il testo televisivo viene fruito sempre più al di fuori del tradizionale flusso palinsestuale che aveva contraddistinto la televisione tradizionale; in qualche caso comincia ad essere prodotto e distribuito direttamente su piattaforma digitale on-line. Netflix, che nasce nel 1997 come servizio di streaming on demand, diventa produttore nel 2011, anche con serie “di qualità” come House of Cards (2013-), e tocca i 75 milioni di abbonati e i 43 milioni di dollari di ricavi netti nel 2015 (Netflix 2016), mentre si comincia a discutere il peso di dati di ascolto misurati nei primi 30 giorni anziché 7, e/o che includono appunto streaming e on-demand.
La possibilità di selezione, assieme alla moltiplicazione dell'offerta, fa sì che il pubblico non sia più una massa indifferenziata: ciascuno sceglie secondo le proprie preferenze, e si affermano produzioni che fanno appello a settori specifici, a “nicchie” di gusto, qualcosa di impensabile secondo la vecchia logica del least objectionable program (il programma che, per massimizzare gli ascolti, era pensato per suscitare minori obiezioni possibili). Nell'epoca delle nicchie, la stessa commistione tra generi narrativi può essere letta come tentativo di catturare e mettere insieme più segmenti diversi di pubblico potenziale.
Infine, la possibilità di essere riusato rende il testo televisivo candidato a ricevere una nuova patente di artisticità. La complicazione e la stratificazione estetica e narrativa possono raggiungere nuovi livelli, ad anzi, al prodotto “di culto” si richiede la costruzione di un mondo finzionale abbastanza vasto e coeso da poter essere esplorato e popolato dai fan e dalle loro ri-creazioni originali (ciò che Hills 2002 ha indicato come iperdiegesi; Bandirali e Terrone 2013 parlano di compresenza di epopea e drammaturgia in termini aristotelici). L'insieme di questi cambiamenti ha spinto a parlare di un accorciamento delle distanze estetiche tra cinema e televisione, nonché di un progressiva convergenza e sovrapposizione tra schermi (televisivo, del computer, del tablet), tanto che in ambito anglosassone è nato un filone di Screen Studies.
Vale la pena riannodare a questo punto i fili di alcune questioni legate alla ricezione: da una parte le comunità di appassionati (fandom) di dati programmi/franchise attivi oggi in una dimensione pienamente trans-mediale, dall'altro lato (ma le due cose non sempre sono così distinte) il campo degli studi critico-accademici.

 

Anche su questi fronti X-Files offre un caso esemplare. Giunta sul mercato americano negli anni del primo avvento di Internet e quindi del world wide web, la serie è stata una delle prime il cui fandom si sia servito ampiamente dei media digitali: il primo gruppo Usenet dedicato (alt.tv.x-files) nasce nel dicembre 1993, il primo gruppo Simplenet (Idealists Haven) nel 1998, archivi di fanfiction compaiono online già nel 1995 (The Gossamer Project, fondato da Vincent Juodvalkis) e nel 1998 (Ephemeral, fondato da Scott Miller). All'uscita del secondo lungometraggio risale la fioritura di blog ospitati su Livejournal, mentre a partire dall'annuncio della decima stagione nel 2015 non è mancata una presenza cospicua su vari social network. Negli anni Novanta il fandom di X-Files è stato forse il primo a esser fatto bersaglio di un'iniziativa legale ostile da parte di un network (la Fox), e il primo a rispondere con una campagna di difesa auto-organizzata (Free speech is out there: Protecting X-Phile websites, 1999), ma anche il primo a vedersi riconosciuto in altri modi dalla produzione (ad esempio con l'inserimento di nomi di fan negli episodi come nomi di personaggi).
Il fandom di X-Files offre insomma un caso di studio ottimo per comprendere le affascinanti dinamiche secondo cui gli appassionati oggi si appropriano dei contenuti messi a disposizione dall'industria culturale, per farne un collante sociale attraverso la discussione, o per ri-crearli e svilupparli attraverso la propria espressione artistica amatoriale (di narrativa ma anche audio-video, immagini, etc.). Un'espressione magari risarcitoria di quei temi e problemi che nelle narrazioni ufficiali tendono a essere esclusi (ad esempio, erotici e omoerotici), secondo strategie oggi studiate con interesse, sulla scorta dei seminali studi di Henry Jenkins negli ultimi anni Ottanta (non a caso dedicati ai fandom di serie fantascientifiche come Star Trek, raccolti e sviluppati a partire da Jenkins, 1992; Jenkins, Tulloch, 1995). Il rapporto che lega fandom e industria è tanto più affascinante quanto ambiguo (nel senso etimologico del termine): da un lato i fandom dipendono dall'industria per i contenuti primari ma al contempo ricercano e rivendicano una misura precipua di autonomia creativa e ideologica. Dall'altro lato le industrie dei contenuti hanno compreso molto bene alcuni dei meccanismi che governano la nascita e il funzionamento di un fandom attorno a un prodotto e non esitano a sfruttarli, creando serie pensate per rispondere ai requisiti tipici del prodotto “di culto”.
Si può esemplificare questo rapporto complesso guardando alla resilienza del concetto di autorialità: l'impiego del concetto di autore relativamente a un prodotto come quello televisivo, risultato di un lavoro collettivo cui partecipa un numero di professionalità specializzate, è un chiaro caso di mcluhaniano “rearviewmirrorism” – “sindrome da specchietto retrovisore”, “l'applicazione di concetti critici antiquati, basata su un'errata applicazione di valori propri di un sistema culturale incentrato sulla stampa a prodotti dell'era elettronica” (Gregory, 2000, traduzione dell’autrice). All'idea di autore continuano d'altronde a essere demandate funzioni di riconoscibilità, coesione, continuità artistica, non solo da parte dei network, che offrono in molti casi figure di riferimento ufficiali in questo senso, ma anche da parte dei fan, che nella continua creazione e ricreazione dell'idea di autore riconfermano, sul piano della ricezione, l'importanza di una nozione di autorialità di matrice romantica tra le caratteristiche fondative per quei prodotti che aspirino allo status di culto (cfr. Hills, 2002). Così Alan Ball, Ryan Murphy e Brad Falchuk, Joseph Whedon (per non parlare di Chris Carter o Gene Roddenberry) continuano a comparire come autori in interviste e articoli sui media generalisti ma anche in forum e fanzine amatoriali.

 

 

Più in generale, fan ma anche critici e studiosi faticano talvolta a riconoscere o ricordare quanto possano pesare nella fattura e nel contenuto del prodotto televisivo ragioni tecnologiche e di mercato. Si pensi alla durata fissa delle puntate (venti minuti con dieci minuti di intervalli pubblicitari, o quarantacinque minuti con quindici di intervalli pubblicitari a seconda delle tipologie) in senso di standardizzazione modulare funzionale all'organizzazione fordistica, per così dire, del palinsesto; alla scansione di ogni episodio in sequenze che favoriscono l'inserimento degli stacchi pubblicitari tenendo lo spettatore avvinto con cliffhanger di rilievo; alla diffusa presenza di teaser iniziali pensati per catturare l'attenzione del pubblico nei primi minuti della puntata; alla stagione come ciclo narrativo corrispondente ai ritmi dell'anno scolastico e lavorativo ma anche funzionale alla vendita degli spazi pubblicitari; a fenomeni di sofisticato marketing virale, e così via.
Una crescente necessità di distanza critica si scorge nei dibattiti attorno alle definizioni di serie “di qualità” (cfr. Nelson, 2006) e “di culto” (cfr. Hills, 2002; Johnson, 2005), ma anche nei profondi ripensamenti dell'idea stessa di “televisività” in corso: le tradizionali definizioni basate su approcci differenziali rispetto al cinema (minor qualità e profondità dell'immagine televisiva rispetto a quella cinematografica, maggior importanza del codice verbale nella narrazione televisiva, etc.) stanno cadendo, man mano che, in questa nuova epoca della serialità, ci si rende conto che si trattava di differenze storicamente determinate e non inerenti la natura dei media.
Meno attenzione è stata per ora dedicata dalla critica ad alcuni aspetti in ottica trans-nazionale. Sul mercato globale l'esportazione statunitense è largamente dominante: 70% del commercio globale in ore di programmazione (al secondo posto il Regno Unito con il 10%), 68% della vendita globale di television dramas a valore nel 1999; nel 2000 i programmi di fiction in onda in Italia in una settimana campione qualunque erano di provenienza statunitense per il 64% (cfr. Christopher, 2009; Miller, 2010 alla voce Globalisation; Casey et al. 2008 alla voce Americanization). A fronte di questo quadro, sono ancora relativamente pochi gli studi su doppiaggio, sottotitolazione, localizzazione (ossia traduzione e adattamento culturale e tecnico ai contesti culturali di arrivo), e su ricezione e fandom nei mercati extra-statunitensi.
É interessante rimarcare, in conclusione, come qualunque nuova evoluzione della serialità televisiva continuerà a dipendere dall'intricata, affascinante interazione tra aspetti creativi, tecnologici ed economici. Trovandoci pienamente al centro della sizigia attuale, è troppo presto per dire quanto le serie di oggi stiano mantenendo caratteristiche destinate a scomparire, come gli incunaboli imitarono i manoscritti, e se elementi come la durata standard degli episodi o l'organizzazione in stagioni lasceranno il posto a paradigmi ancor più radicalmente rinnovati nella serialità del digitale e degli schermi diffusi. Tanto più sarà un piacere restare con gli occhi aperti.

 


 

LETTURE

 

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 Luca Bandirali, Enrico Terrone, Filosofia delle serie tv. Dalla scena del crimine al trono di spade,
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 Bernadette Casey et al., Television Studies: The Key Concepts, London-New York, Routledge, 2008.
 Brett Christophers, Envisioning Media Power: On Capital Geographies of Television,
 Plymouth, Lexington Books, 2009.
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 Rodney F. Hill, 'I Want to Believe the Truth Is Out There': The X-Files and the Impossibility of Knowing,
 in Jay P. Telotte, Gerald Duchovnay, Science Fiction Film, Television, and Adaptation:
 Across the Screens, New York, Routledge, 2012.
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 Henry Jenkins and John Tulloch, Science Fiction Audiences: Watching Doctor Who and Star Trek,
 London, Routledge, 1995.
 Catherine Johnson, Telefantasy, London, British Film Institute, 2005.
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 Toby Milner, Television Studies: The Basics, London-New York, Routledge, 2010.
 Robin Nelson, ‘Quality Television’: ‘The Sopranos is the best television drama ever ...
 in my humble opinion ...’, in Critical Studies in Television, 1.1 (2006).
 Robin Nelson, State of Play: Contemporary “High-end” TV Drama, Manchester-New York,
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 Darko Suvin, Le metamorfosi della fantascienza. Poetica e storia di un genere letterario,
 Bologna, Il Mulino, 1985.
 Jay P. Telotte, The Essential Science Fiction Television Reader, Lexington, University Press of Kentucky, 2008.
 Jay P. Telotte, Gerald Duchovnay, Science Fiction Film, Television, and Adaptation: Across the Screens,
 New York, Routledge, 2012.

 


 

VISIONI

 

  Paul Abbott, Shameless (US), Showtime, 2011-.
 Alan Ball, True Blood, HBO, 2008-14.
 Donald P. Bellisario, Jag, NBC, 1995-96; CBS, 1997-2005.
 Donald P. Bellisario, Don McGill, NCIS, CBS, 2003-.
 David Benioff, D.B. Weiss, Game of Thrones, HBO, 2011-.
 Steven Bochco, Hill Street Blues, NBC, 1981-87.
 Shane Brennan, NCIS Los Angeles, CBS, 2009-.
 Glenn Gordon Caron, Moonlighting, ABC, 1985-89.
 Chris Carter, The X-Files, Fox, 1993-2002, 2016.
 David Chase, The Sopranos, HBO, 1999-2007.
 David Crane, Friends, NBC, 1994-2004.
 Carlton Cuse, Kerry Ehrin, Anthony Cipriano, Bates Motel, A&E, 2013-.
 Frank Darabont, The Walking Dead, AMC, 2010-.
 Peter S. Fischer, Richard Levinson, William Link, Murder She Wrote, CBS, 1984-96.
 Mark Frost, David Lynch, Twin Peaks, ABC, 1990-91.
 Mick Garris, Masters of Horror, Showtime, 2005-07.
 Ricky Gervais, Stephen Merchant, The Office (UK), BBC, 2001-03.
 Gary Glasberg, NCIS New Orleans, CBS, 2014-.
 Howard Gordon, Alex Gansa, Homeland, Showtime, 2011-.
 Alfred Gough, Miles Millar, Smallville, The WB, 2001-06; The CW, 2006-11.
 Matthew Graham, Tony Jordan, Ashley Pharoah, Life on Mars (UK), BBC, 2006-07.
 Matt Groening, The Simpson, Fox, 1989-.
 David Jacobs, Dallas, CBS, 1978-91.
 David E. Kelley, Ally McBeal, Fox, 1997-2002.
 Tim Kring, Heroes, NBC, 2006-10.
 Glen A. Larson, Battlestar Galactica, ABC, 1978-79; Sci-Fi, 2004-09.
 Richard Levinson, William Link, Columbo, NBC, 1968-78; ABC, 1989-2003.
 Jeffrey Lieber, J.J. Abrams, Damon Lindelof, Lost, ABC, 2004-10.
 James Manos Jr., Dexter, Showtime, 2006-13.
 Ryan Murphy, Brad Falchuk, American Horror Story, FX, 2011-.
 Sydney Newman, C. E. Webber, Donald Wilson, Doctor Who, BBC, 1963-89, 2005-.
 Nic Pizzolatto, True Detective, HBO, 2014-.
 Gene Roddenberry, Star Trek, NBC, 1966-69; syndication, 1987-94; syndication, 1993-99;
 UPN, 1995-2001; UPN, 2002-05.
 George A. Romero, Tales from the Dark Side, syndicated, 1983, 1984-88.
 Shawn Ryan, The Shield, FX, 2002-08.
 Rod Serling, The Twilight Zone, CBS, 1959-64.
 Richard and Esther Shapiro, Dynasty, ABC, 1981-89.
 J. Michael Straczynski, Babylon 5, PTEN, 1994-97; TNT, 1998.
 Joss Whedon, Buffy, the Vampire Slayer, The WB, 1997-2001; UPN, 2001-03.
 Joss Whedon, Firefly, Fox, 2002.
 Beau Willimon, House of Cards, Netflix, 2013-.
 Dick Wolf, Law and Order, NBC, 1990-.
 Brad Wright, Jonathan Glassner, Stargate SG-1, Showtime, 1997-2002; Syfy, 2002-07.
 Anthony Yerkovich, Miami Vice, NBC, 1984-89.
 Anthony E. Zuiker, CSI: Crime Scene Investigation, CBS, 2000-15.