LETTURE / LA CITAZIONE È SINTOMO D'AMORE


di Francesco Ciabattoni / Carocci, Roma, 2016 / pp. 164, € 17,00


 

Autor, che ne la mente mi ragiona


di Roberto Pacifico

 

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Quali sono le strategie compositive che i cantautori italiani hanno adottato nell’elaborazione dei loro testi? In particolare, come e quando la letteratura diventa fonte d'ispirazione e terreno di raccolta (spesso furtiva) per successive e più o meno personali elaborazioni? Da queste domande si sviluppa il tema-cardine del libro, il cui sottotitolo recita Cantautori italiani e memoria letteraria, nel quale Ciabattoni prende in esame il lavoro di sei cantautori italiani (nell'ordine dell'indice: Roberto Vecchioni, Francesco Guccini, Angelo Branduardi, Fabrizio De André, Francesco De Gregori, Claudio Baglioni) i cui testi riportano, più o meno direttamente, attraverso immagini, procedimenti stilistici, rimandi e citazioni o rielaborazioni, a uno spazio letterario quanto mai variegato, che abbraccia tanto la letteratura colta quanto le tradizioni popolari, senza limiti di tempo o di nazionalità.

Le tecniche di appropriazione-rielaborazione e/o re-impianto delle suggestioni letterarie e autoriali messe in atto da un cantautore non sono sempre riconoscibili per l'ascoltatore anche colto. Quando, per esempio, Claudio Baglioni, in E adesso la pubblicità (nell’album La vita è adesso, 1985) canta: “tua madre che si sveglia a strappi e scuote / tutta la polvere di un giorno/ senza persone o novità" è quasi certo che ben pochi ricollegheranno il segmento evidenziato in corsivo con un verso di Mario Luzi: è l'endecasillabo incipitario della poesia Se mai solo vivendo (Dal fondo delle campagne) che recita, appunto: “È un giorno senza novità o persone” (Luzi, 1998).

Questo tipo di estrapolazione e inserimento da un testo all'altro non è fenomeno raro nella canzone d'autore: si va dalla citazione occasionale (di un titolo o di un'opera: frequente in Roberto Vecchioni, Francesco De Gregori e Francesco Guccini) fino alla ripresa, attraverso diverse tecniche di intarsio, di più parole o segmenti intertestuali perfettamente mimetizzati all'interno del nuovo testo: Ciabattoni li chiama "prestiti" o "prelievi" (sic!), ed è una tecnica che descrive bene nel capitolo dedicato, appunto, a Claudio Baglioni: ne La Vita è adesso (1985) “il materiale testuale innestato si mescola così naturalmente al testo della canzone da produrre un risultato originale che ingloba e comprende in sé i testi di origine senza mostrare linee di sutura". Per esempio, chiarisce Ciabattoni, in Notte di note, note di notte (La vita è adesso), Baglioni scrive (e canta): “Notte di note, note di notte, tesa come pelle di tamburo, fari che bucan la pazienza dell'aria”. Annota Ciabattoni: "La sinestetica descrizione dell'aria tesa come pelle di tamburo viene da Una vita violenta [romanzo di Pier Paolo Pasolini], e precisamente da una pagina in cui Pasolini si abbandona a descrizioni liriche del cielo di Roma e dei suoi colori: «L'aria era tesa come pelle di tamburo: si sentivano le più piccole voci dai quartieri lontani e tutti i rumori, i ronzii della giornata che incominciava» (Pasolini, 2015)”. Baglioni adotta questa tecnica di "prestito e rivascolarizzazione" non solo con Pasolini, ma anche con altri autori come Elsa Morante, Gabriel Garcìa Marquez e Mario Luzi.

Più complesso e raffinato il discorso su Angelo Branduardi che, avendo spesso e sistematicamente lavorato su testi ripresi da lontane e rare tradizioni etnomusicali, sovente distanti dalla nostra cultura, estremizza, anzi, trascende addirittura questo processo di prelievo e intarsio per fare suoi interi testi opportunamente ritradotti con minime variazioni: un caso emblematico è rappresentato da La pulce d'acqua (1977, musica di Angelo Branduardi, parole di Luisa Zappa) il cui testo è ispirato a un antico racconto indiano pubblicato per la prima volta in Italia proprio nel 1977. Il cantautore lombardo frequenta volentieri le fiabe popolari o folkloriche, di culture distanti dalla nostra. Il testo del brano Alla fiera dell'est è un adattamento del canto ebraico Chad Gadyoh (o Chad Gadyah) associato alla Pasqua ebraica: è una delle più famose canzoni "cumulative", basata sulla ripetizione-litania, a ritroso, di una catena di causa-effetto che riporta ogni volta all'inizio della storia: "alla fiera dell'est / un topolino mio padre comprò... e venne il gatto che mangiò il topolino... e venne il cane che morse il gatto che mangiò il topolino che mio padre comprò", e via dicendo. Branduardi mantiene l'ordine della catena con l'unica variazione del topolino al posto del capretto nella versione originale. Sempre nell’album Alla fiera dell'est c'è un'altra lunga canzone (La serie dei numeri) tratta da un antico racconto bretone intitolato Ar Rannou (La serie), una litania mnemotecnica che un druido utilizza per insegnare i numeri a un giovane studente.

A proposito di racconti appartenenti a tradizioni e luoghi lontani o esotici, non possiamo non citare Samarcanda (1977), una delle più celebri canzoni di Roberto Vecchioni, ballata fiabesca sull'ineluttabilità della morte e del destino. La storia è tratta da un dramma in tre atti di William Somerset Maugham, Sheppey, del 1933, ma risale addirittura al Talmud babilonese. Vecchioni trasferisce la storia da Israele e l’Iraq a Samarcanda, situata a tremila chilometri a est, in Uzbekistan. "Al racconto di Somerset Maugham – e al suo archetipo talmudico – la versione di Vecchioni aggiunge un doppio livello d’ironia e una carica antimilitarista. Infatti il morituro è un soldato, felice di essere sopravvissuto alla guerra, ormai finita, ma che incontrerà il suo destino – per beffarda ironia della sorte – proprio dove sperava di fuggirlo", sottolinea Ciabattoni.

Nel caso di Roberto Vecchioni, il titolo di molte canzoni allude apertamente agli archetipi mitici, letterari e storici prediletti dal cantautore e che riecheggiano, ricontestualizzano, rovesciano o addirittura stravolgono lo spirito del testo citato (Aiace, Euridice, Roland, Per amore mio, Ultimi giorni di Sancho Panza, Montecristo, Alighieri, Canzone per Alda Merini, A.R. che sta per Arthur Rimbaud del quale ripropone quattro versioni di Mes petites amoureuses).

Questo procedimento si riscontra anche in Francesco Guccini che evidenzia il debito letterario già nei titoli (Signora Bovary, Gulliver, Cirano, Don Chisciotte) per poi sviluppare una nuova release del mito o dell'autore prescelto. Riguardo Guccini, è interessante il confronto, già sviluppato da Umberto Fiori, tra la prima parte della poesia Urlo di Allen Ginsberg e l'attacco di Dio è morto che Guccini scrisse nel 1965 per i Nomadi, ma che registrò egli stesso solo nel 1979 (cfr. Fiori, 1996):

 

Ho visto le menti migliori della mia

generazione distrutte dalla pazzia,

affamate, nude isteriche,

trascinarsi... (Ginsberg, 1992).

 

Ho visto la gente della mia età andare via

lungo le strade che non portano mai a niente,

cercare il sogno che conduce alla pazzia. (Guccini, 1968).

 

Il testo di Guccini procede poi su un binario tematico e stilistico molto divergente da quello ginsbergiano, perché al cantautore emiliano interessa assai più il concetto della morte di Dio ("... e un dio che è morto ai bordi delle strade, / dio è morto, nelle auto prese a rate dio è morto nei miti dell'estate... nei campi di sterminio... coi miti della razza... con gli odi di partito") e della sua resurrezione con la nascita di una nuova generazione ("questa mia generazione è preparata / a un mondo nuovo e a una speranza appena nata"). Guccini evita l'ossessionante deriva esistenziale dell'Urlo di cui non prende in prestito l'abbondante riferimento alle droghe, sostituite dal più blando e casereccio vino, e dagli psicofarmaci ("dentro alle stanze da pastiglie trasformate"). A parte alcune tirate contro fenomeni che ci sembrano inoffensivi, più lussi necessari che vuoti riti consumistici ("le auto prese a rate e i miti dell'estate"), Dio è morto rimane una canzone tragicamente attuale.

A una poesia di Eugenio Montale (La storia, da Satura) viene accostata l'omonima canzone di Francesco De Gregori (La storia da Scacchi e tarocchi, 1985). Anche qui, quello che accomuna più strettamente i due testi è il titolo e alcuni procedimenti retorici come l’anafora, la ripetizione della parola “la storia”. La versione del cantautore romano è però un rovesciamento in chiave di ottimismo sociale e ideologico della poesia montaliana: la storia è protagonista di entrambi i testi, ma mentre il punto di vista montaliano non ha nulla di provvidenziale, logico o prevedibile, "la visione di De Gregori è al contrario improntata a un impegno memoriale e di attivismo, nel quale la storia «siamo noi» e dunque nessuno può sentirsene escluso", scrive Ciabattoni. La memoria letteraria del cantautore romano è molto viva nell’album Titanic, nel quale sono evidenti, ma ben rielaborati, diversi rimandi fra i quali la commedia La fine del Titanic del poeta tedesco Magnus Enzensberger e il racconto Il fuochista di Franz Kafka.

Fabrizio De André è un altro cantante colto e tendenzialmente “mosaicista” come si definì lui stesso, dichiarando più volte di prendere spunto per la stesura di una canzone dalla lettura di un libro, di una novella, persino di un articolo di giornale. L'influenza può essere dichiarata sin dal titolo (per esempio, il quinto album di De André, Non al denaro, non all'amore né al cielo, 1971, è ispirato all'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters), o recuperata indirettamente attraverso le interviste o le dichiarazioni dell'autore. Anime Salve (1996), l'ultimo album registrato in studio, deve non poco alla lettura di Àlvaro Mutis, in particolare La neve dell'ammiraglio, che gli regalò nel 1991 l'amico Vittorio Bo, ma anche alla raccolta di poesie Summa di Maqroll il Gabbiere, sempre di Mutis. Un altro lavoro che rispecchia letture e interessi culturali del cantautore genovese è La buona novella (1970), basato sui Vangeli apocrifi, anche se non meno rilevante è l'influenza della poesia religiosa medievale (Donna de paradiso di Jacopone da Todi).

Il capitolo su De André è sviluppato sul metodo del soulignement (cfr. Compagnon, 1979), che consiste nella ricostruzione delle influenze letterarie partendo dai brani sottolineati (e dalle note a margine) sui libri letti.

Insomma, questo è un libro da leggere e da studiare. L’augurio è che il lavoro prosegua con un altro simile dedicato ad altri autori della canzone italiana non esaminati in questo saggio, come per esempio Franco Battiato, Edoardo Bennato, Lucio Dalla, Ivano Fossati, Giorgio Gaber, Rino Gaetano… e l’elenco non finirebbe qui.

 


 

ASCOLTI

  Claudio Baglioni, La vita è adesso, Sony, 2011.
Angelo Branduardi, Alla fiera dell'est, Musiza, 2001.
Angelo Branduardi, La pulce d'acqua, Musiza, 2001.
Fabrizio De André, Non al denaro non all'amore né al cielo, Ricordi, 2002.
Fabrizio De André, Anime Salve, Ricordi, 2002.
Francesco De Gregori, Titanic, Rca, 2014.
Francesco De Gregori, Scacchi e tarocchi, Rca, 2014.
Francesco Guccini, Via Paolo Fabbri 43, Emi, 2007.
Roberto Vecchioni, Samarcanda, 1977, Philips, 2002.

 


 

LETTURE

 Antoine Compagnon, La second main ou le travail de la citation, Editions du Seuil, Parigi, 1979.
H.M. Enzensberger, La fine del Titanic. Commedia, Einaudi, Torino, 1980.
Umberto Fiori, «In un supremo anelito»: l'idea di poesia nella canzone italiana in Rossana Dalmonte,
Analisi e canzoni, Università di Trento, Dipartimento di scienze filologiche e storiche, 1996.
Allen Ginsberg, JukeBox all'idrogeno, Guanda, Milano, 1992.
Mario Luzi, L'opera poetica, Mondadori, Milano, 1998.
William Somerset Maugham, Sheppey, Heinemann, Londra, 1933.
Eugenio Montale, Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 2013.
Àlvaro Mutis, La neve dell'ammiraglio, Einaudi, Torino, 1990.
Àlvaro Mutis, Summa di Maqroll il gabbiere. Antologia poetica 1948-1988, Einaudi, Torino, 1933.
Pier Paolo Pasolini, Una vita violenta, Garzanti, Milano, 2015.