VISIONI / POMODORI VERDI FRITTI ALLA FERMATA DEL TRENO


di Jon Avnet / Koch Media, 2016


 

Sweet Cafe Alabama


di Andrea Sanseverino

 

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"Perché sempre riferimenti al sesso? si domandò Evelyn. E perché quando gli uomini volevano umiliare gli altri uomini, li chiamavano donnicciole? Come se fosse la cosa peggiore del mondo. Che cosa abbiamo fatto per essere considerate in questo modo? Per essere chiamate vacche? La gente non insultava più i negri, almeno non in faccia. Gli italiani non erano più chiamati cani e, conversando tra loro, le persone non chiamavano più musi gialli gli orientali, o figli di Giuda gli ebrei. Solo le donne venivano ancora mortificate dagli uomini. Tutti avevano un gruppo che protestava per loro e li difendeva. Solo le donne venivano ancora mortificate dagli uomini. Perché? Dov’era il loro gruppo? Non era giusto” (Flagg, 2000): lo sfogo dell’impacciata Evelyn, riportato nelle pagine Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop ne rende appropriatamente l’idea di fondo, quel sentimento di appartenenza a una minoranza e di conseguente ribellione ai soprusi. Dal romanzo di Fannie Flagg fu tratto un film, il quasi omonimo, nella versione italiana, Pomodori verdi fritti alla fermata del treno, in cui non sono presenti le amare parole di Evelyn riportate in precedenza, ma la pellicola diretta da Jon Avnet non tradisce l’intento del libro, che racconta, innanzitutto, l’amicizia lontana del tempo tra l’indomabile e schietta Idgie e la pratica e dolce Ruth, così come quella più vicina ai giorni nostri tra l’anziana e saggia signora Threadgoode e una irrisolta Evelyn, “troppo giovane per essere vecchia e troppo vecchia per essere giovane” (Flagg, 2000). In relazione alle tante declinazioni della lotta al pregiudizio, Pomodori verdi fritti alla fermata del treno amplifica, rispetto al libro, quella contro la segregazione razziale, aggiungendo un altro capitolo della settima arte a quel confronto da sempre fervido con il sud-est degli Stati Uniti d’America. Il cinema vi ha tratto ispirazione sin da subito, a partire da una pellicola tuttavia molto controversa sulla questione, La nascita di una nazione. Quest’opera del 1915 di David Wark Griffith, che affida la salvezza della tradizione e dei valori del sud ai “cavalieri bianchi” del Ku Klux Klan, accese non poche polemiche sia sul piano etico che su quello storico, sebbene fosse innovativa nella sua realizzazione, alla quale parteciparono persone che sarebbero diventati nomi eccellenti dietro la macchina da presa: come assistenti alla regia e, allo stesso tempo, comparse figuravano Erich von Stroheim e Raoul Walsh, quest’ultimo nei panni di John Wilkes Booth, ossia l’attore reo di aver assassinato il presidente Abraham Lincoln al Teatro Ford di Washington, per non parlare di John Ford: “Quando fui licenziato dalla Universal, dove facevo il secondo aiuto-trovarobe, [Griffith] mi trovò una parte tra gli uomini del Ku Klux Klan in The Birth of a Nation. Ero quello con gli occhiali. Cavalcavo con una sola mano, perché con l’altra mi tenevo il cappuccio. Se no, non vedevo più niente. Quello stramaledetto coso mi scivolava sempre sugli occhiali” (Ferrini, 1995), confessò in un’intervista concessa nel 1966. Nel corso della storia del cinema statunitense altri registi diedero agli uomini incappucciati ben altra connotazione: tra le molte opere a riguardo, il pastiche omerico di Fratello, dove sei?, diretto da Joel Coen, che con il co-sceneggiatore fratello Ethan, offre dell’adunata criminale, in procinto di impiccare un chitarrista nero, una rappresentazione che assume i toni di una sorta di comico musical marziale nel confinante stato del Mississippi, lo “Stato [nel quale] devi mettere indietro l’orologio di un secolo”, come lo definì Gene Hackman in Mississippi Burning – Le radici dell’odio (1988), film ispirato a un triplice omicidio di attivisti per i diritti civili, accaduto verso la metà degli anni Sessanta.

Nonostante Fannie Flagg sia co-autrice con Carol Sobieski della sceneggiatura, il film presenta scelte radicali riguardo a quei cambiamenti che solitamente allontanano la letteratura dalla settima arte quando la prima ispira un’opera realizzata dalla seconda. Mancano i riferimenti a un bollettino settimanale, Il giornale della signora Weerm, attraverso cui il personaggio di Dot Weems dava conto dei fatti più importanti avvenuti a lei e ai suoi concittadini durante i quarant’anni di pubblicazioni, dal 12 giugno 1929, in cui si annuncia l’apertura del caffè di Idgie e Ruth, al 25 giugno 1969, in cui Dot rende nota la volontà di un imminente trasferimento insieme al marito e, quindi, la chiusura del bollettino stesso. Grazie a queste pagine, la scrittrice riporta le trasformazioni sociali che attraversano la piccola comunità di cui scrive, evidenziando la distanza della stessa dai grandi centri, in primo luogo Birmingham, città natale della Flagg che fa da sfondo alle avventure, e disavventure, dell’altro grande assente nel film, Artis O. Peavey, il figlio ribelle di “Big” George, il nero tuttofare di casa Threadgoode. Nel film di Jon Avnet il confronto tra le due realtà è invece evocato esclusivamente attraverso quello fra le scene della giovinezza di Idgie e Ruth e quelle nelle quali Evelyn è costretta a fare i conti con se stessa e col mondo circostante, in gran parte a lei ostile. L’ampio respiro dato nel libro al rapporto fra piccole comunità rurali e grossi centri urbani pone l’accento anche su un'altra tragedia, a lungo contemporanea al dramma della segregazione razziale, ossia il disprezzo verso quel popolo di invisibili che, da sempre presente negli Stati Uniti d’America, aveva visto il suo intensificarsi con la crisi del 1929: “negli ultimi due mesi la Legione americana aveva fatto più di una incursione negli accampamenti dei vagabondi, distruggendo qualunque cosa allo scopo di ripulire la città dalle orde di senza tetto che l’avevano invasa” (Flagg, 2000), scrive l’autrice in un ricordo del 3 dicembre 1938, narrando le peripezie di Jim Smokey Phillips (Smokey il solitario nel film), vagabondo per le strade di Chicago, segno che la violenta reazione fascista contro il diverso era un fenomeno abituale non solo nel sud del paese. 

Uscito nelle sale nel 1991, Pomodori verdi fritti alla fermata del treno riesce a tenere ben salde le sue tre anime: il melò sentimentale, che esalta la solidarietà e l’amicizia tra donne, benché la pellicola trascuri quasi del tutto la figura di Eva Bates che “ignorava molte cose, ma sapeva tutto sull’amore” (Flagg, 2000), ma che vanta un cast femminile invidiabile con Mary Stuart Masterson (Idgie), Mary-Louise Parker (Ruth) e con i due premi Oscar Kathy Bates (Evelyn) e Jessica Tandy (la signora Threadgoode); il giallo, legato alla scomparsa di Frank Bennett, il marito violento di Ruth e padre del suo unico figlio; l’impegno civile che, come s’è detto, attraversa tutto un film ambientato prevalentemente in Alabama, lo Stato che con Rosa Park e il boicottaggio da lei promosso fu scenario di uno dei più efficaci contributi a una rivoluzione che con le lotte, l’attivismo di massa, i sit-in e la disobbedienza civile allargava sostanzialmente i diritti concreti di cittadinanza per tutti (cfr. Foner, 2000), ma che allo stesso tempo comportava un serio ripensamento del concetto di libertà, del quale gli Stati Uniti d’America si facevano garanti con il loro intervento in Europa e nel resto del mondo, ma che aveva destato gravi contraddizioni entro i propri confini nazionali. 

Attraverso il casuale incontro tra Evelyn e la signora Threadgoode e il ricordo dei giorni più felici e più tristi di Idgie e Ruth, Fannie Flagg e Jon Avnet accompagnano lettori e spettatori in quell’Alabama già incontrata, nei romanzi e sul grande schermo, con le immaginarie cittadine di Maycomb de Il buio oltre la siepe (1960) di Harper Lee, che Robert Mulligan riprese per il cinema due anni dopo e Greenbow di Forrest Gump (il romanzo di Winston Groom da cui Robert Zemeckis trasse il film omonimo nel 1994), nelle quali erano iniziate quelle storie che parlano di chi ci si trova dall’altra parte del dito puntato dal pregiudizio, le stesse storie che parlano di piccole comunità per evocarne una più grande, gli Stati Uniti, dove tutto è così semplice da risultare complesso e viceversa.

 


 

LETTURE

  Franco Ferrini, John Ford, Il Castoro, Milano, 1995.
Fannie Flagg, Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop, Sonzogno, Milano, 2000.
Eric Foner, Storia della libertà americana, Donzelli, Roma, 2000.
Winston Groom, Forrest Gump, Sonzogno, Milano, 2000.
Harper Lee, Il buio oltre la siepe, Feltrinelli, Milano, 2013.

 


 

VISIONI

  Joel Coen, Fratello, dove sei?, Universal Pictures, 2003 (home video).
David Wark Griffith, La nascita di una nazione, 20th Century Fox Home Entertainment, 2006 (home video).
Robert Mulligan, Il buio oltre la siepe, Universal Pictures, 2003 (home video).
Alan Parker, Mississippi Burning – Le radici dell’odio, 20th Century Fox Home Entertainment, 2009 (home video).
Robert Zemeckis, Forrest Gump, Universal Pictures, 2011 (home video).