Illustrare il rumore
di
Adolfo Fattori

 


È anche per questo – e non tanto per il banale dato della follia di Nannetti, del motivo per cui era “ospite” del manicomio – che viene automatico pensare a Foucault, e ai suoi lavori sulla follia e la reclusione.

Il discorso di Nanof è infatti ininterrotto, disordinato, strabordante. Il muro del cortile ne è saturo, letteralmente. E costringe a pensare alle parole che Michel Foucault dedica in L’ordine del discorso alla follia e al suo statuto: … l’immenso discorso del pazzo, che diventa rumore[4]
Un discorso spesso incomprensibile, inaccettabile nel suo ribadire ai “normali” quanto il re sia  nudo.

Ma contemporaneamente, come scrivevo in apertura, il ritmo del Graffito rimanda anche ad altro, alle comunicazioni di massa, al modo comunicativo dei new media. Alla televisione e alla Rete, insomma. Ne è una ipotesi di raffigurazione, proprio per il suo incalzare, riempire gli spazi, usare parole, immagini, simboli, mescolandoli fra loro – e producendo un nuovo modo di espressione. Tutto dentro la società di massa e la tarda modernità.

Nanof è a cavallo di molte culture, insomma, e di molti saperi. Quello della tecnologia novecentesca della fabbrica e del movimento: la turbina, la corriera. Quello della comunicazione: le antenne televisive. Quello alchemico delle corrispondenze fra cose e sostanze diverse: i colori, i numeri, i metalli associati fra loro in una delle più belle figure incorporate nel suo libro. Quello del numerico e del digitale: la sua “tabella pitagorica”.
Infine, quello del futuro e della science fiction: la squadra formazione volante, l’uomo invisibile, lo schema formazione secoli.

Nanof apre la strada a Gaiman, e al suo American Gods,[5] a Hartley e al suo La città che dimenticò di respirare,[6] ma forse più di tutti a Erik Davis e al suo Techgnosis.[7]
Insomma, Nanof si pone su un confine, o forse ad un crocicchio, in cui i linguaggi orali e scritti e quelli dell’immagine trovano uno dei tanti punti di incontro. Anche se, naturalmente, non è dato sapere quanto consapevolmente.

In questo senso si colloca nella scia delle avanguardie storiche e anticipa la modularità ipertestuale del computer e della rete.
Ricordiamoci come nella vita precedente alla sua traduzione in manicomio – da uomo libero – aveva fatto da elettricista al futurista Severini, mentre lavorava al suo grande mosaico nel Palazzo dei Congressi all’EUR.

Come è impossibile, osservando il Graffito, non cogliere i sotterranei legami con la grafica di Karel Thole, quando illustra Dick; con alcune sequenze di Dark City, quando il detective Bumstead interroga un suo ex collega da tutti considerato ormai pazzo, nel suo antro ricoperto di graffiti, grafici, tabelle, matrici;[8] con alcune tavole del Codex Serafinianus.[9]

Ma, più di tutto, oltre queste contiguità, che possono tutto sommato apparire casuali, dovute a coincidenze, come non cogliere l’analogia fra la dimensione di flusso del Graffito e le raffigurazioni dello scorrere dei dati in linguaggio-macchina nei computer, come ad esempio in Matrix.
È in queste affinità, in queste analogie che è possibile individuare un paradigma preciso, che parte dal sapere alchemico, ancora prescientifico, preilluministico, per approdare alle tecnologie della comunicazione elettronica e via etere, passando forse per Mesmer, e incorporando la dimensione del delirio che
la Modernità assegna al discorso della follia.
Nanof
, attraverso il flusso di parole e disegni del suo libro, cerca insomma di illustrare il rumore che emana da quella foresta inestricabile che è il nostro inconscio.

Un discorso percepito nel sentire comune (e spesso non solo) come frammentario e inconcludente, ma che nel graffito di Nanof conquista una dimensione organizzata e coerente, ipertestuale e multimediale, che aspetta solo il suono e il movimento per dispiegarsi nella sua piena espressività, e parlarci del nostro e di altri spazio/tempi, interiori e alieni.

Un compito chissà quando e dove sotterraneamente assegnatogli, che l’alieno Nanof  obliquamente, sinuosamente, conduce.


[4] M. Foucault, L’ordine del discorso, Einaudi, Torino,

[5] N. Gaiman, American Gods, Mondadori, Milano,

[6] K. J. Hartley, La città che dimenticò di respirare, Einaudi, Torino, 2006.

[7] E. Davis, Techgnosis, Ipermedium, Napoli, 2001.

[8] A. Proyas, Dark City,

 

 

    [1] (2)