La città che dimenticò di respirare

di Kenneth J. Harvey

Einaudi, Torino, 2006,

pagg. 529

€ 16.50

 

 





 

La città che dimenticò di respirare
di Kenneth J. Harvey

 

In un paesino costiero dell’isola di Terranova, villaggio di pescatori e turisti, dove ancora tutto sembra fermo ad un epoca fatata e ferma nel tempo, cominciano a succedere strani fenomeni, che coinvolgono gli abitanti del paese, ma anche Joseph e sua figlia Robin.

Joseph è originario del posto, anche se lo ha lasciato da anni, quasi tradendolo, con il proprio allontanamento e la professione che si è scelto.

Ma la cosa più grave, al di là delle presenze che intravede, e del suo lento scivolare – percepito a tratti – nel delirio e nella follia – è il fatto che, a causa di una malattia sconosciuta, gli abitanti del villaggio che hanno perso in passato parenti in mare cominciano a morire dopo aver conosciuto violenti accessi d’ira e aver smesso – dimenticato – come si fa a respirare.

Nel finale, con il sopraggiungere di un violento tsunami, il mistero verrà sciolto: la natura, nella sua parte più segreta ed esoterica, si ribella all’uomo, che ricoprendo il pianeta con le reti elettromagnetiche di elettricità, televisione, radio, cellulari, interferisce con l’esistenza degli spiriti dei morti.

Romanzo senz’altro ambizioso e volutamente poetico, ispirato – ci sembra – dal tentativo di proporre letteratura uscendo dagli schemi dei generi e attualizzando la lezione di Lord Dunsany, di Machen e degli altri scrittori ottocenteschi di fate, ha alle spalle sicuramente la conoscenza del “piccolo popolo” del folklore anglosassone, di cui scrive il sacerdote scozzese Kirk ne Il regno segreto (Adelphi, Milano) ma anche, più prosaicamente quel La profezia di Celestino di Redfield che ebbe circa un decennio fa un rapido quanto meritatamente effimero successo.

Una parabola New Age che, come i ritmi lenti e assonnati più che sognanti della musica omonima non riesce ad agganciare fino in fondo il lettore.

Per appassionati, in cerca di favole morbide.

 

 


 

Recensione di a. f.