Film di pietra, alcune brevi considerazioni su Nannetti Oreste Fernando cineasta

 

di Paolo Rosa

 

 

“Domenica 127, pioggia di stelle”[1]. La fulminante sintesi poetica di Nanof scende dalla crosta del muro e si deposita magicamente sulla testata di una vicina balaustra di pietra. La pioggia di stelle cade sul corrimano e si distende lungo la scalinata, trasformandosi in una sequenza cosmica di rara forza espressiva. È un Nannetti Oreste Ferdinando particolare quello che srotola su un nastro di pietra il movimento dei suoi pensieri, la libertà dinamica delle sue immagini e delle sue visioni. Sembra non poter trattenere l’irrompere di una fase cinetica, necessaria per allontanare la maestosa fissità delle pagine murali scritte in precedenza.  Un Nanof quasi da cinematografo che incide la sua “pellicola” più che con la luce, con la paziente insistenza della sua mano. Gira scalfendo la superficie, pervasa dai colori cupi dei licheni e delle muffe, riquadro dopo riquadro, fotogramma dopo fotogramma, facendo scorrere l’immaginaria “celluloide” giù dai gradini: dentino dopo dentino, verrebbe da dire. Un novello Serafino Gubbio testimone di una realtà che spesso ci appare invisibile o che va oltre i margini dello sguardo comune. Autore inspirato di un racconto commovente e intenso, lontano dal tono epico e spettacolare del muro grande, ma forse per questo ancor più vibrante nella sua sequenza.

Il “film” ha una trama lieve, minimale, scandita dalla suddivisione ripetuta in tanti riquadri, che contengono una successione di segni, sviluppati in sequenza come un’animazione. Un racconto di stelle, lune, pianeti appunto, che si rincorrono, sembrano giocare infastidendo triangoli e rettangoli, si impigliano in griglie e quadranti, si adeguano a carte geografiche immaginarie, a differenti rose dei venti, che si moltiplicano sino a occupare tutto lo spazio, mettendo a dura prova il nostro orientamento. Poi segni sempre più astratti inseguono una crepa profonda, cercano di ricucirla con l’aiuto di un’edera rampicante. Il movimento è continuo, fluido e silenzioso come un film muto. Nannetti infatti non ha più bisogno di parlare con il muro. Non vuole più farci entrare nei misteri della sua scrittura e delle sue parole (“Narrativo stop” scrive ad un certo punto dell’intonaco). Ci vuole far sfiorare con la mano le ruvidezze della pietra, scorrere sulle usure del tempo, impigliarci tra le scalfitture della fantasia. Toccare con mano le sue immagini: che lucidità porta con se il dramma della follia.

In quest’opera Nannetti riesce a coniugare l’espressione tattile, sensoriale e rituale di un graffito primordiale, con l’evocazione sottile  di linguaggi dell’era contemporanea: il cinema, l’interattività. Nell’era della massima esposizione, egli cela il suo tesoro mentale in un luogo impervio e defilato, proprio come  l’uomo preistorico graffiava il suo sentimento e la sua offerta nella parte più oscura e impraticabile della caverna. Tra questi significati e i molti altri messaggi che si possono ricavare spicca però un invito principale, più duro, più scomodo, quello di farci saggiare con le mani la nostra follia, la nostra cinica irresponsabilità nei confronti del mondo, rappresentato tra le due scale estreme, dal minuscolo lichene alla grandiosità dei cosmi stellati. Un monito chiaro e premonitore, come ci si è sempre aspettato dalla follia nelle società che non l’emarginavano.

Ma questo “film di pietra” è rimasto inascoltato ai margini della cinta del reparto giudiziario del manicomio di Volterra. Troppo a lungo abbandonato per non andare perduto, dissolto a dispetto della sua pur consistente fisicità. Si è perduto così un dono, un dono unico che non chiedeva nulla in cambio, nemmeno il riconoscimento della sua drammatica originalità.

Rimane comunque la sensazione preziosa, negli occhi e sulle mani dei pochi che hanno potuto sfiorarlo, del suo rivelarsi, del rimaterializzarsi ogni qualvolta si attiva una speciale sintonia perchè  “…Il signor Nanof, a tutt’oggi ancora impegnato a ricoprire il pianeta di notizie diffuse attraverso il sistema telepatico, trasmette mediante quadrante e per effetto naturale. ….”[2]


[1] Testo dal graffito.

[2] “…Il signor Nanof, a tutt’oggi ancora impegnato a ricoprire il pianeta di notizie diffuse attraverso il sistema telepatico, trasmette mediante quadrante e per effetto naturale. ….”[2]

(1) (2) Il brano riportato è tratto dal film “L’osservatorio nucleare del sig. Nanof” (vedi Quaderni d’Altri Tempi n.5, nella sezione Non solo mainstream) ed è il fuori campo conclusivo che commenta proprio le immagini della balaustra.  E’ singolare il fatto che durante le riprese, per la particolare posizione e difficoltà logistica della balaustra, il materiale girato non risultò particolarmente soddisfacente dal punto di vista tecnico. Accettando questo segno di irriproducibilità, fummo indotti successivamente a ripensare la scena ed utilizzare delle fotografie polaroid formato 30x40, scattate nei giorni di set e riprodotte su queste pagine.

 

    (1) [2]