L’0cchio di Joker
Cinema e modernità

di Alberto Abruzzese

Carocci, Roma, 2006

pagg. 175

€ 18,60

 

 

 





 

L’0cchio di Joker. Cinema e modernità
di Alberto Abruzzese


Il cinema come parametro centrale per comprendere il ‘900 e la maturazione della Modernità e gli altri suoi elementi fondanti, come i processi di secolarizzazione e la metropoli. Ma poi ancora la letteratura e la letterarietà, la televisione, il digitale,
la Rete,  sono i temi dell’ultimo lavoro di Alberto Abruzzese.

Argomenti trattati in passato ampiamente, ma che in L’occhio di Joker vengono rivisitati e risistemati in maniera strutturata e sintetica.

Non perdono però di sistematicità, anzi, forse proprio in questo libro raggiungono una dimensione definitivamente organizzata in maniera tale da fare un punto organico sulla ricerca e le tesi attorno alle quali il sociologo romano lavora ormai da più di trent’anni.

E da questo punto di vista i simboli scelti per far parlare la teoria e l’immaginario – il Joker simbolo delle istanze del disordine, e il suo avversario, Batman, dalla parte dell’ordine – funzionano benissimo per far risaltare la dimensione contraddittoria e conflittuale intrinseca nello sviluppo della società di massa, dell’immaginario collettivo, delle forme che hanno fatto da basi dei loro apparati: la metropoli, appunto, ma affianco a questa la fabbrica, quindi l’industria, il capitale (come fa anche Sergio Brancato, uno dei suoi allievi, in La città delle luci, pubblicato sempre da Carocci nel 2003 e di recente ristampato).

Riferimento – quello ai due personaggi dei fumetti – che trova per certi versi un riscontro storico nelle figure di Mesmer e di Bentham, dell’utopia della comunicazione e della presunzione del controllo totale, per ricondurci al doppio movimento costituito dalla dialettica di reti e flussi comunicativi e di primato della visione.

Lateralmente a questi argomenti, è impossibile all’autore non richiamare lo spirito di fondo degli apparati della cultura ufficiale, della Accademia, da sempre e tuttora spocchiosa nei confronti dei fenomeni e delle forme di espressione della cultura di massa, perché arroccata su posizioni di presunto privilegio analitico, ma sostanzialmente incapace (solo per pigrizia?) di accogliere come oggetto di studio e comprendere questi fenomeni e queste tecnologie.

Abruzzese coglie ad esempio nel segno – anche se pare farlo en passant – quando nota come ci sia un atteggiamento di fondo teso a privilegiare e nobilitare sempre le forme e le tecnologie dell’espressione precedenti – che diventano così classiche – rispetto alle successive: è successo con la letteratura verso il teatro, con quella e con questo verso il cinema, con tutti (con qualche riserva sul cinema) rispetto alla televisione e al computer.

Mentre è proprio grazie al digitale – e al suo sempre più indispensabile corollario: internet – che è possibile non solo immaginare, ma sperimentare quotidianamente la possibilità di integrazione di tutte le forme e di tutte le tecnologie espressive finora sviluppate dall’umanità: immagine, scrittura, suono.

Una integrazione delle tecnologie dell’espressione che agisce direttamente non solo sulle modalità della “costruzione sociale della realtà” nella postmodernità, ma anche sulla stessa definizione del Soggetto tardomoderno. Dimensione questa, che è nei fatti quella in cui si svolge la nostra vita quotidiana.

Le implicazioni di questo ragionamento sono rintracciabili e riconoscibili nelle prime pagine del libro, dove lo studioso si sofferma – forse per la prima volta in maniera esplicita – sul tema della formazione. Ribadendo come il termine si riferisca all’intera sfera dell’educazione, della socializzazione dell’individuo, Abruzzese afferma come questa ormai sia decisamente e definitivamente nelle mani non solo della scuola, ma prima di tutto della televisione, di internet, delle forme che la pubblicità produce e esprime.

Abruzzese qui capitalizza un vantaggio: quello di aver fatto oggetto della sua ricerca proprio gli apparati e i materiali che ritiene essere gli agenti fondamentali della formazione attuale. E ha condotto la sua ricerca proprio con coloro che ne sono i destinatari: le “nuove” generazioni da trent’anni ad oggi.

D’altra parte, la stessa ricerca ha valore quando è attenta al e nutrita dal processo reale. In questo caso, dalla continua verifica che viene dal rapporto con coloro cui si rivolge e con cui si conduce: in questo caso, i propri studenti, i propri allievi.

Emerge forse qui anche la preoccupazione – prima di tutto etica – di chi sente sempre più urgenti le sfide poste dall’epoca in cui viviamo (quel “Mi devo sbrigare” che apre il volume), e nutre una più che giustificata sfiducia per le istituzioni educative e culturali con cui ci troviamo a convivere.

Da parte nostra, gli auguriamo – ci auguriamo – che abbia ancora tempo in abbondanza, per procedere con la consueta sagacia e determinazione, pur attraverso la disattenzione e il disinteresse di tanti, nel suo lavoro, così da nutrire ancora la nostra curiosità e la nostra ricerca.

E rimanendo sempre un passo avanti agli altri.


 

Recensione di Adolfo Fattori