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di Gennaro Fucile

 

Una bambola attorniata da libri che le sono stati dedicati, da studi rigorosi, da analisi che ne hanno studiato il fenomeno dal punto di vista della storia del costume, dello sviluppo della società dei consumi, degli effetti pedagogici sulla formazione della personalità delle piccole donne che di Barbie costituiscono il target di riferimento. 

Una bambola perennemente sotto osservazione, circondata da mille domande; sull’opportunità che le bambine ci giochino, su quante dovrebbero possederne, su che modello di femminilità, bellezza ed eterosessualità insegna/impone loro e così via. È un continuo interrogarsi: se una bambina può sviluppare autostima senza somigliarle, se e quanto incrementa l’ossessione per il consumismo, se è possibile, in definitiva, vivere un’infanzia felice e crescere con un sano equilibrio giocando con Barbie. Una bambola che non è solo una bambola, ma che è soprattutto un prodotto culturale intorno al quale è sorto un ampio schieramento critico, fatto non solo di teoria, accademia, ma anche di attivismo militante, come le varie organizzazioni praticanti culture jamming (sabotaggio culturale), come la Barbie Liberation Organization e la Barbie Disinformation Organization (cfr. Knight Abowitz, 2000). Le sono stati dedicati libri, articoli e anche corsi universitari. Anche in Italia si sono prodotti testi e riflessioni sulla bambola dalle mille vite. Il più recente e compiuto, scritto da Nicoletta Bazzano, si chiude così: “Barbie, grazie al cielo, è ormai roba da museo” (Bazzano, 2008).

 

Quasi come a prenderla alla lettera, il Mudec, Museo delle Culture di Milano, ha varato una sontuosa mostra dal titolo eloquente: Barbie – The Icon. Promossa da 24 ORE Cultura e Comune di Milano Cultura, in collaborazione con Mattel e corredata di sostanzioso catalogo curato da Massimiliano Capella, la mostra si apre con una domanda fondamentale, “Who Is Barbie?”. L’interrogativo trova parziale risposta nelle sue imprese, nei numeri, veri record realizzati nel corso della sua esistenza. La domanda però resta: chi è Barbie? 

A vederla così sbarazzina non si direbbe certo una donna che ha soffiato ormai da un pezzo cinquanta candeline sulla torta di compleanno e che ormai è una signora più vicina ai sessant’anni. Magia, una delle magie di Barbie, questo oggetto, feticcio e giocattolo al tempo stesso, che dal marzo 1959 vive, pensa, agisce, desidera come e più di un umano. Un’entità nei cui confronti c’è solo un modo per non esserne soggiogati: relazionarsi con lei così come facciamo con gli altri esseri della nostra razza. Anche se Barbie è in fondo una Überfrau, non certo una donna qualsiasi. Il suo curriculum vitae è eloquente in tal senso.

La signorina Barbara Millicent Roberts ufficialmente nasce a Willows nel Wisconsin il 9 marzo 1959, quando debutta alla Fiera del Giocattolo di New York. Nasce in casa Mattel. È del segno dei Pesci, dato non irrilevante. Non appaia bizzarro iniziare la ricostruzione di una biografia partendo da un dato alieno alla razionalità illuminista: il soffio vitale che anima Barbie non è del tutto spiegabile senza il ricorso alle scienze inesatte. È solo uno dei tanti paradossi che l’accompagnano. D’altronde è un segno doppio quello dei Pesci, cosiddetto mutevole, perché accompagna la fine di una stagione e l’inizio di un’altra. Segno d’acqua. I due pesci che ne formano l’immagine simbolo nuotano in senso opposto l’uno all’altro: circolarità e libertà al tempo stesso. Infatti, la signorina Barbie è da decenni ormai, al tempo stesso, nuova e sempre uguale. È lo spirito della moda, un mondo in cui regna incontrastata, avendo surclassato nel tempo via via tutte le top model più ammirate in virtù della sua immortalità. Prova ne sia che nel corso di decenni i più grandi stilisti del mondo hanno realizzato per Barbie, da Valentino a Ferrè, da Versace a Dior, da Gucci a Calvin Klein, da Vivienne Westwood a Prada, da Moschino a Givenchy, da Giorgio Armani a Benetton.

“Barbie fa la sua comparsa nel 1959 come Teen-Age Fashion Model Barbie Doll realizzata in vinile, prodotta dalla Pony Ltd. in Giappone sotto la guida di Mr. Yamasaki. Per la Mattel la progettazione tecnica di Barbie viene seguita dall’ingegnere Jack Ryan che, per risolvere le problematiche della lavorazione del vinile in stampi, si reca in Giappone, dove le industrie specializzate nel trattamento di questo materiale garantivano la migliore qualità a costi competitivi. Anche gli abiti di Barbie vengono inizialmente realizzati in Giappone, dalla manifattura Kokusai Boeki Kaisha Ltd., sotto la guida esperta di Fumiko Nakamura che affianca la fashion designer di Mattell Charlotte Johnson. Tra il 1957 e il 1964 la produzione di Barbie si espande da Hong Kong alla Corea. Dal 1968 si aggiungono nuovi Paesi di produzione: Messico, Filippine e Taiwan”. (Capella, 2015)


 
Barbie's Making of © Mattel Inc.

 

Ai tempi del suo esordio, il prezzo di vendita degli abitini variava da $1 a $5. Nel primo anno di vita possiede solo sedici abitini, buoni per ogni occasione, per essere impeccabile a un cocktail, ma anche in cucina con una mise informale, dal set per gite e picnic all’abito da sposa. In quel primo anno si vendettero 351.000 Barbie. Oggi siamo a oltre un miliardo. La prima Barbie, quella originale per così dire, ha raggiunto una quotazione di 27.450 dollari. A tanto ammonta la cifra pagata per un esemplare in perfette condizioni venduta a un’asta della Sandi’s Doll Attic nel maggio del 2006.

Sono anche un miliardo gli abitini prodotti a tutt’oggi per lei e per i suoi amici e per farlo la Mattel ha utilizzato 980 milioni di metri di stoffa. D’altra parte per creare un solo abito (e relativo look) per Barbie sono necessarie cento persone tra designer, cucitrici, modellisti e stilisti. Una diva con i fiocchi, per la quale hanno lavorato oltre cento designer che l’hanno vestita e sono oltre centoventi i modelli di abiti creati ogni anno per il suo guardaroba. Stratosferica di conseguenza anche la cifra relativa al numero di paia di scarpe possedute da Barbie: un miliardo.

Un’autentica star, come quelle del cinema e oggi della Rete. Barbie è protagonista di ben 31 film prodotti in formato dvd per il mercato dell’home video e al momento il web registra ben 1.000 canali Youtube a lei dedicati. È commercializzata in 140 Paesi e, in media, ogni bambina di età compresa tra tre e sei anni possiede 12 Barbie! In cima alla classifica delle preferenze c’è Hair Barbie, creata nel 1992, il modello più venduto tuttora. Ha i capelli acconciabili, lunghi fino ai piedi della bambola.

Essere in modo così capillare in tanti mercati, anche molto diversi tra di loro, ha richiesto un fine tuning magistrale, portando la signorina Millicet Roberts a rappresentare ben cinquanta nazionalità diverse, con la serie Dolls of the World, prodotta a partire dagli anni Ottanta. Tratti somatici diversi, a seconda del Paese rappresentato, e abbigliamento tradizionale tipico del territorio. Eccelle in questo catalogo dell’umanità il set di principesse tra cui si fa notare quella navajo, ovvero una nativa americana! Un eclettismo pari a quello mostrato sul lavoro, dove ha intrapreso addirittura 156 carriere, come hostess, infermiera, cantante, ballerina, astronauta, insegnante, stilista, fotografa, pediatra, paleontologa, pasticcera, sportiva (tennista, sciatrice, pattinatrice, calciatrice, e così via), bagnina, oculista, ingegnere informatico, poliziotta, conduttrice di telegiornale, sottoufficiale di marina, veterinaria e tante altre cose, finanche candidata alla presidenza degli Stati Uniti. È “il camaleonte culturale per eccellenza” (Roberts, Scher, 2014). D’altronde il suo motto è “I Can Be”. Essere una veterinaria, in particolare, come fare la stilista, deve esserle piaciuto particolarmente, avendo posseduto nella sua vita cinquanta animali (cavalli, pony, gatti e un pappagallo). Per quanto leggiadra nel suo silenzio, si è concessa anche una versione parlante. In pratica si emancipa dalla condizione originaria e sceglie di farlo proprio in un anno decisamente all’insegna della rivoluzione (tentata). “

Nel 1968 Barbie può addirittura parlare. Nasce infatti Talking Barbie che, grazie a una cordicella alla base del corpo che mette in azione un sistema audio, riesce a pronunciare le seguenti frasi: What shall I wear to the prom?; I have a date tonight; Would you like to go shopping?; Stacey and I are having tea; Let’s have a costume party; I love being a fashion model”. (Capella, 2015)

Parole chiave per segnare il territorio, per marcare i confini del suo mondo, che con il tempo si scopriranno tendenzialmente coincidenti con il nostro tempo postmoderno: “Cosa devo indossare per la festa?”, “Ho un appuntamento questa sera”, “Vuoi andare a fare compere”, “Stacey e io stiamo prendendo un tè”, “Facciamo una festa in costume!”, “Mi piace fare la modella”.

Le mutazioni di Barbie sono sempre spiazzanti, come la sua versione nera, Black Barbie del 1980, mentre Michael Jackson tenta di fare il contrario. Come Diabolik o gli alieni invasori, i celebri ultracorpi, Barbie assume le sembianze di personaggi storici, come Cleopatra, Elisabetta I, Caterina de’ Medici, Madame de Pompadour. Non contenta si è tuffata tra i contemporanei, facendo sue le sembianze di personaggi di spicco della moda, del cinema e della musica: Twiggy, Cher , Marilyn Monroe, Liz Taylor, Grace Kelly, Audrey Hepburn, Lady Diana, Barbra Streisand e Jennifer Lopez. Insaziabile ha fatto suoi anche personaggi immaginari come Wonder Woman e Mary Poppins. Un elenco sterminato.

 

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Quella di Barbie è una ascesa inarrestabile.

“Dopo il debutto americano nel 1959, Barbie viene introdotta in Europa a partire dal 1961 (in Italia arriva nel 1964). La Mattel, nel frattempo, lavora per accrescere il mito di Barbie con la costruzione di una biografia sempre più articolata e, contemporaneamente, attraverso la creazione di nuovi personaggi che vanno a costituire la grande famiglia di Barbie, fatta di quattro sorelle e un fratello, amici, animali (sei cavalli, uno stallone arabo, tre pony, un levriero afgano, un barboncino, tre cagnolini e due gatti) e dal leggendario fidanzato Ken (nome completo Ken Carson). La prima apparizione di Ken risale all’11 marzo 1961, in occasione della Fiera del Giocattolo di New York, ma l’incontro con Barbie avviene sul set del loro primo spot televisivo, registrato sempre nel 1961. Ken debutta con un costume da bagno rosso, sandali in sughero e un asciugamano giallo. Dotato di capelli biondi o bruni stampati nel vinile, Ken dispone di un primo guardaroba composto da sette abiti. Nel corso della sua storia Ken è stato prodotto in oltre quaranta versioni. Nel 1962 comparve anche nella versione bionda. È alto mezzo centimetro più di Barbie: 30 cm, è più giovane di 2 anni e due giorni”. (Capella, 2015)

Non si sposeranno mai, ma dal loro incontro inizierà a strutturarsi quello che comunemente si indica come tessuto sociale. Una rete di relazioni con personaggi che le ruotano intorno come pianeti, pianetini e satelliti, perché Barbie è la stella di questo universo. Amici e parenti che le danno una mano nel mettere in scena le maniere per stare al mondo, perché Barbie è anche autrice e protagonista di libri dedicati a se stessa, galatei tascabili per piccole lettrici, in particolare negli Usa, dai tascabili Adventures with Barbie al mensile Barbie. Anche il mondo dei fumetti è presidiato dall’intraprendente ragazza con Barbie Fashion e Barbie e la serie di libri Little Golden Books per i più piccoli include vari titoli dedicati a Barbie.

Quanto a sapersi muovere, lei nel mondo dei media si trova a meraviglia, rilascia interviste e confidenze, memorie, tipo quelle che fa alla giornalista e scrittrice Laura Jacobs: “Tutti quelli che mi conoscono sanno che la mia firma è il rosa. Questo colore si addice perfettamente al mio carattere e, in tutti questi anni, l’ho sempre portato con grande gioia” (Jacobs, 1997) e poi prosegue con preziose sfumature il suo racconto. La produzione editoriale che le ruota intorno negli Usa include anche diverse riviste. Anche “gli adulti hanno la loro letteratura a tema Barbie, che include il Barbie Collector’s Magazine e numerosi altri settimanali e mensili, il più diffuso dei quali si intitola Miller’s Market Report: News, Advice and Collecting Tips for Barbie Doll Investors. Il tabloid presenta eventi relativi all’universo Barbie; un’uscita del mese di aprile, ad esempio, pubblicizzava diciannove «imperdibili» raduni Barbie, tra cui The Great Barbie Show of Souther California, Barbie Comes to Bloomingdale’s, Seventh Annual Barbie Grants-A-Wish e vari raduni regionali” (Steinberg, in Hammer, Kellner, 2009).

Cosicchè anche per far fronte a tutti questi impegni, l’entourage di Barbie si è fatto sempre più affollato con l’andare del tempo. Infatti: “La famiglia di Barbie conta poi cinque sorelle più giovani, Skipper (1964), Tutti (1966), Stacie (1992), Kelly (conosciuta come Shelley in Europa nel 1995, e ribattezzata Chelsea nel 2011) e la piccola Krissy (1999). Barbie ha poi un fratello, Todd (1966), e due cugine celebri, MOD Francie (1966) e Jazzie (1989). Tra le amiche di Barbie spicca Midge, creata nel 1963 come la sua migliore amica. Grazie a un corpo simile a quello di Barbie, Midge divide con lei il suo straordinario guardaroba: appare come ragazza della porta accanto, meno affascinante di Barbie, sua indiscussa amica fino al 1966 quando la Mattel decide di terminare la sua produzione. Midge rinasce nel 1988, a distanza di quasi trent’anni, e nel 1991 si sposa con il suo storico fidanzato Alan, dal quale ha tre figli. La cerchia delle amiche più vicine a Barbie ha da sempre rispecchiato la varietà del mondo reale. Nel 1968 appare l’amica afroamericana di Barbie, Christie, alla quale si uniscono nel corso degli anni amiche ispaniche, asiatiche e multietniche come Teresa, Kira e Kayla. L’attenzione al sociale ha portato nel 1997 a lanciare sul mercato americano Becky, l’amica disabile di Barbie” (Capella, 2015). Infine con un corpicino del genere, non poteva non essere anche fonte d’ispirazione per artisti, primo fra tutti, ça va sans dire, Andy Warhol. La contemporaneità, si è capito, sta stretta alla signorina Millicent Roberts, che anche riguardo alle arti figurative è andata oltre, calandosi perfettamente nelle atmosfere impressioniste di Claude Monet con Water Lily Barbie Doll e di Pierre-Auguste Renoir con Reflections of Light Barbie Doll. Il colpo di grazia lo ha infine assestato con la serie Museum Collection, che la vede soggetto di opere di Leonardo da Vinci, Gustave Klimt, Vincent Van Gogh, Édouard Manet e Salvador Dalí. Insomma, come cantava Fred Buscaglione: “E pensare che eri piccola, ma piccola, tanto piccola, così!”.

 


 
Shanghai, Barbie Spa and Salon

 


 

LETTURE

 

  Kathleen Knight Abowitz, Fun with Barbie: Culture jamming an American icon, Miami University, Usa, 2000
  (http://www.units.miamioh.edu/eduleadership/courses/282/jambarbhtml.pdf).
  Nicoletta Bazzano, La donna perfetta. Storia di Barbie, Laterza, Bari, 2008.
  Massimiliano Capella (a cura di), Barbie – The Icon, 24 Ore Cultura, Milano, 2015.
  Shirley R. Steinberg, Barbie: The Bitch Still Has Everything in Media/Cultural Studies.
  Critical Approaches, in Rhonda Hammer, Douglas Kellner (ed.),
  Peter Lang, New York, Bern, Berlin, Bruxelles, Frankfurt am Main, Oxford, Wien, 2009.
  Laura Jacobs, Barbie, Leonardo International, Milano, 1997.
  Kate Roberts, Adam Scher, Toys of the '50s, '60s, and '70s, Minnesota Historical Society, Usa, 2014.

 


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Frammento dal video alla mostra
Barbie, The Icon, Mudec, Millano.

 

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