ASCOLTI / LOVE SONG


di Theo Bleckmann / Winter&Winter, 2015


 

La voce adatta a ogni occasione


di Francesco Zago

 

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Non è facile inquadrare la voce e la personalità di Theo Bleckmann. Raffinato interprete di brani del passato più o meno vicino, sperimentatore audace e funambolico, il cantante di Dortmund trapiantato a New York dal 1989 spazia con estrema disinvoltura da Kate Bush a Guillame de Machaut, da George Gershwin a Robert Schumann, da Kurt Weill a Charles Ives. L’elenco dei progetti di cui Bleckmann ha fatto o fa ancora parte in qualità di compositore, improvvisatore o arrangiatore è lunghissimo. Lo stesso dicasi per la sua discografia. La sua voce è in grado di trasfigurare classici inconfondibili come Lili Marlene e My Favorite Things senza stravolgerli né tantomeno dissacrarli, anzi illuminandoli da un’angolazione inedita e affascinante. Anche certi accostamenti apparentemente improbabili si dimostrano al contrario efficaci – un solo esempio, Teardrop dei Massive Attack e When I’m Laid in Earth di Henry Purcell, fra trip hop e aria barocca.

Forse il tratto comune a una produzione e a un atteggiamento tanto eclettici è il rifiuto della sperimentazione fine a se stessa, della sonorità estrema e ideologica: Bleckmann non fa mai sfoggio dei propri mezzi tecnici ed espressivi, mettendoli al servizio dell’interpretazione e mantenendosi in bilico fra ricerca e rispetto dell’originale. Anche quando la sua voce si spinge nei territori dell’improvvisazione e dell’informale, Bleckmann sa allontanare qualunque tentazione di autoindulgenza, peccato in cui è così facile cadere in contesti simili. Ma, soprattutto, difficilmente riesce ad annoiare. Fra le collaborazioni legate a questa direzione, vale la pena ricordare almeno quelle con il chitarrista Ben Monder e, particolarmente prolifica, con il batterista e percussionista John Hollenbeck. Ma se ne potrebbero citare molte altre. Discorso a parte merita il lavoro di Bleckmann a fianco del pianista Uri Caine, che ha portato il cantante ad affrontare opere quanto mai diverse, fra le altre, come i Dichterliebe di Schumann e, con lo Uri Caine Ensemble, la Rhapsody in Blue di Gershwin, incisa nel 2011 e portata dal vivo anche in Italia nel luglio del 2015 in occasione del festival di Stresa. 

Le ultime due uscite del cantante sono una conferma di queste scelte estetiche. Love Song è una raccolta di brani già pubblicati in altre occasioni fra il 2007 e il 2011 da Winter&Winter, che celebra quest’anno i trent’anni di attività. Seguendo il filo conduttore di un tema tanto frequentato – quanto abusato – Bleckmann emerge come raffinatissimo interprete di quattordici classici della canzone d’amore. Si passa dalle delicate melodie di Ich Bin Von Kopf Bis Fuß Auf Liebe Eingestellt, arrangiata per pianoforte e archi da Fumio Yasuda, alla frizzante Maskulin-Femininum (entrambi i brani tratti dal capolavoro Berlin – Songs of Love and War, Peace and Exile, del 2007), a momenti più sofisticati, come Feldeinsamkeit/In Summer Fields, song del (purtroppo misconosciuto) compositore americano Charles Ives rivista in chiave jazz da Bleckmann e dal quintetto americano Kneebody. Neppure in casi come Someone To Watch Over Me e I’ve Got A Crush On You, entrambe di George Gershwin, Bleckmann cade negli stilemi del crooner, così come un’aria distesa e suadente come True Love, di Cole Porter, si trasforma in una splendida tessitura per ensemble cameristico. Il medesimo trattamento è stato riservato alla già citata My Favorite Things, con un risultato elegantissimo, mentre Lili Marlene è stata affidata alla sola voce rielaborata e loopata.

Non poteva mancare l’incursione nel pop melodico di Kate Bush, a cui il cantante ha dedicato un intero cd nel 2011, in questa raccolta rappresentato da Love and Anger e The Man With The Child In His Eyes, brano d’apertura immerso in un’atmosfera incantata. In breve, Love Song non risente quasi per nulla dell’inevitabile eterogeneità del materiale. L’impressione è quella di un progetto organico, e che difficilmente si potrebbe catalogare come una banale “compilation”.

La seconda uscita, A Clear Midnight. Kurt Weill and America, prodotta da Manfred Eicher per la sua Ecm, vede Bleckmann unirsi al quartetto della pianista tedesca Julia Hülsmann. Bleckmann ha già una notevole dimestichezza con il repertorio su cui si concentra questo lavoro, affrontato qualche anno fa in Berlin. Qui il suo contributo asseconda le scelte spesso audaci della Hülsmann, come nel caso della celebre Mack the Knife, nell’adattamento di Marc Blitzstein, basata su un semplice alternarsi di quinte del pianoforte, punteggiate da rare dissonanze e dalle linee essenziali del trombettista Tom Arthurs. Anche Alabama Song risulta quasi irriconoscibile rispetto ad altre versioni molto famose, anche perché privata della parte vocale, affidata prima al contrabbasso di Marc Muellbauer, quindi variata e fiorita dalla stessa Hülsmann. In Little Tin God il cantante costruisce i suoi tipici layer vocali, su cui poi duetta insieme ad Arthurs, a tutti gli effetti vera controparte “vocale” di Bleckmann nel corso di tutto l’album. Il resto del quartetto interviene solo più avanti, con un accompagnamento insolitamente discreto e geometrico, quasi meccanico, in particolare da parte del pianoforte; ma non appena la voce di Arthurs riprende il sopravvento, ogni schema si dissolve in un quadro astratto, polimorfo, dove è tuttavia difficile ritrovare la consueta dialettica solisti-gruppo. Tutto si ricompone infine in una brevissima ripresa conclusiva, sul fadeout della voce.

L’intero album si mantiene su una dinamica vagamente crepuscolare, controllata: si ascoltino ad esempio la malinconica September Song, di Maxwell Anderson, o il calore di This Is New di Ira Gershwin. River Chanty e il brano eponimo mostrano di nuovo la predilezione della Hülsmann per armonie scarne, aperte, dove la voce delicata, perfino esile di Bleckmann si muove perfettamente a suo agio. Proprio A Clear Midnight offre uno degli episodi più vivaci, su cui Bleckmann e Arthurs si ritrovano all’unisono, riportando il clima pacato che percorre l’intero album.

Insieme a A Noiseless Patient Spider e a Beat! Beat! Drums!, A Clear Midnight costituisce un trittico dedicato alla poesia di Walt Whitman, emblematica del clima rarefatto del cd: “And you O my soul, where you stand, / Surrounded, detached, in measureless oceans of space” (A Noiseless…); “This is thy hour O soul, thy free flight in-to the wordless, / Away from books, away from art, the day erased, the lesson done / Thee fully forth emerging, silent, gazing, pond’ring the themes thou lovest best. / Night, sleep death and stars” (A Clear Midnight). Sono gli stessi grandi spazi di cui canta Langston Hughes in Great Big Sky: “It’s a great big sky / And there’s room for enough for all […] I know the night will pass! / I know the dark will go! / I know the dawn will come alright! / I know! / For all this fret and wonder / s’Just a kind of worried thunder / In a storm cloud rollin’ by / Before the big sun rises / In the sky”.

Il tema dell’amore torna protagonista in Speak Low, basato su una lirica di un altro poeta statunitense, Ogden Nash, sottolineato da sonorità pastose e levigate: “Speak low when you speak, love / Our summer day withers away too soon, too soon / […] / Our moment is swift, like ships adrift, / we’re swept apart, too soon / […] Love is a spark, lost in the dark too soon, too soon”. Voce e tromba si inseguono in ampi archi melodici, senza che nessuna delle due emerga come vera protagonista, ma concedendosi il giusto spazio, contrappuntando quasi ogni frammento, armonizzandosi con grande spontaneità e lirismo. Quindi Arthurs si produce in un solo ispirato e brillante, cedendo poi la mano al pianoforte. La traccia, forse la più riuscita dell’album, si chiude con l’ultima strofa, di nuovo affidata agli intarsi melodici di Bleckmann e Arthurs: “Love is pure gold and time a thief / We’re late, darling, we’re late / The curtain descends, everything ends too soon, too soon / I wait, darling, I wait / Will you speak to me, speak love to me and soon”.

A Clear Midnight è un raro esempio di quanto le etichette possano essere limitanti e, di fatto, inesatte. Definire “jazz” questo lavoro non è un errore, ma una scelta tanto miope e riduttiva da fuorviare le aspettative degli ascoltatori. Gli amanti del jazz sofisticato del Julia Hülsmann Quartet non rimarranno certo insoddisfatti, ma l’approccio poco convenzionale alle songs di Kurt Weill e soprattutto il contributo di Theo Bleckmann offrono l’opportunità di un ascolto diverso, sfaccettato, lontano da qualunque cliché.

 


 

ASCOLTI

  Theo Bleckmann, Berlin: Songs of Love and War, Peace and Exile, Winter and Winter, 2007.
 Theo Bleckmann, Hello Earth! – The Music Of Kate Bush, Winter&Winter, 2011.
 Uri Caine Ensemble, Rhapsody in Blue, Winter&Winter, 2013.
 Julia Hülsmann Quartet w/ Theo Bleckmann, A Clear Midnight – Kurt Weill and America, ECM, 2015