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di Adolfo Fattori

 

Siamo nella New York di questi anni.
Kate Beckett (Stana Katic), l’affascinante detective della Squadra omicidi del 12° Distretto del NYPD e Richard Castle (Nathan Fillion), il suo partner, nonché affermato scrittore noir e marito della Beckett, indagano su un omicidio commesso circa quaranta anni prima: nel cemento di un edificio costruito nel 1978 è stato ritrovato il cadavere di Vince Bianchi, un famoso mafioso di quegli anni, scomparso allora senza lasciare traccia.
A dire la verità, un testimone di quei tempi è ancora in vita, Arold Leone, il miglior amico di Bianchi, che si scopre era con lui al momento della sua uccisione. Solo che c’è un problema, e grosso: Leone è convinto di essere ancora negli anni Settanta… una botta in testa, presa al tempo dell’omicidio dell’amico, lo ha fatto fermare in quegli anni, un po’ come il caso de Il marinaio perduto descritto da Oliver Sacks in L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello (cfr. Sacks, 2001).
Perché ricordi – e dica – quello che ha visto all’epoca dell’omicidio, l’unica è mettere in scena una sorta di pantomima e in questo Castle, scrittore imbevuto di cultura di massa, è un maestro: Arold dovrà essere sottoposto a un interrogatorio formale, al Distretto di polizia dove lavora Beckett. Il che significa che bisogna fare un po’ di lavoro di scenografia per addobbare il distretto come in un salto nel passato.
Arold Leone poi ha pure le sue fissazioni: vuole essere interrogato da due poliziotti in particolare, famosi negli anni Settanta, gli unici di cui si fida. Improponibile. Se non… se non truccando Esposito (Jon Huertas) e Ryan (Seamus Dever), i due poliziotti che lavorano con Castle e Beckett, come quei due colleghi di allora. Renitenti all’inizio, costretti a studiare immagini di repertorio dei due poliziotti famosi, Esposito e Ryan alla fine decidono di stare al gioco ed entrati nella parte finiscono pure per divertirsi. Va da sé che l’omicidio viene risolto. E su questo tacciamo, per non far dispiacere chi non avesse visto l’episodio.
Se fosse tutto qui, non ci sarebbe molto da aggiungere, se non sottolineare i topoi della serie: il suo essere a cavallo fra noir e comedy, con un tocco di sofisticatezza, e con la messa in scena del continuo conflitto sul metodo che si dipana fra Kate Beckett – razionale, responsabile, concreta – e Richard Castle, fantasioso, a volte incosciente, creativo.

E basterebbe: un episodio vale l’altro, la serialità, e la post-serialità, dato un setting, hanno le loro regole di composizione narrativa, che si alimentano di ripetizione e innovazione nel testo, di aspettative e di sedimentazioni nello spettatore, nel lettore… Ma qui c’è qualcosa di più specifico. Sì, perché, con un fulmineo cross over attraverso il tempo e gli spazi della narrazione e della vita quotidiana, i due poliziotti che Ryan ed Esposito devono impersonare, clonare, nell’universo narrativo della serie sono esistiti davvero negli anni Settanta, sono in realtà a loro volta dei cloni di due poliziotti di Los Angeles, che nei Settanta hanno appassionato con le loro avventure gli amanti del genere: nientedimeno che David Michael Starsky (Paul Michael Glaser) e Kenneth “Hutch” Hutchinson (David Soul), protagonisti assoluti della serie tv Starsky & Hutch, andata in onda fra il 1975 e il 1979, che una loro realtà – seppur inossidabile e duratura – l’hanno avuta e ce l’hanno ancora, ma solo nella memoria degli appassionati, che, per inciso, non se la sono fatta guastare dalla pellicola del 2004 – dimenticabile, speriamo presto – ispirata alle loro gesta, con protagonisti di ben più basso calibro Ben Stiller (Starsky) e Owen Wilson (Hutch).
Un gioco di scatole cinesi, insomma, in cui realtà e immaginazione sono messe a strati, l’una dentro l’altra, che fa venire in mente un solo aggettivo: dickiano, trasformando una serie in fondo ancora generalista, che si rivolge a un pubblico ampio, in un repertorio, un catalogo dell’immaginario contemporaneo. A incominciare dal fatto che proprio questo episodio fa il verso, ribaltandone le coordinate, rendendo il cross over ancora più vertiginoso, a un’altra serie, britannica (2006), che ha avuto un remake americano (2008-2009), Life on Mars, in cui il protagonista, investito da un’auto nel 2006, si ritrova nel 1973. Suggestione al cross over con Life on Mars ribadita in Il momento più bello (7x6), in cui Castle, colpito alla testa, si ritrova proiettato in una realtà alternativa in cui Beckett e i suoi non lo conoscono, lui non è uno scrittore famoso, il tutto a partire da un misterioso medaglione presente in tutte e due le realtà..
Perché, anche se è per certi versi “idealtipico”, non è, questo, l’unico episodio in cui l’ideatore della serie, Andrew W. Marlowe, e gli sceneggiatori che volta per volta si alternano a firmare gli episodi di Castle si divertono a scorrazzare per i territori della cultura di massa novecentesca. E a passare e ripassare attraverso le soglie fra mondo reale e universi fantastici, in una versione suggestiva e unica della transmedialità (cfr. www.quadernidaltritempi.eu/numero55).

Ma chi sono Richard “Rick” Castle e Catherine “Kate” Beckett?
Lei, bella e determinata, coraggiosa e tenace, figlia di un poliziotto, fa la detective per tradizione, certo, ma, come tanti eroi ed eroine dell’immaginario, prima di tutto per svelare il mistero dell’uccisione della madre, assistente sociale che si era infilata in un’indagine pericolosa, armata solo di coraggio e valori. Questo è il suo segreto, di cui è gelosa. E questo è il suo trauma “originario”, come per Tex Willer, Aquila della notte (cfr. www.quadernidaltritempi.eu/numero28), o per Batman, il “Cavaliere oscuro” (cfr. www.quadernidaltritempi.eu/numero54).  
Rimandi appena accennati, ma efficaci, che tengono ancorata la serie all’immaginario del mistero, della caccia, della vendetta. Una dimensione che, nelle prime stagioni della serie, tiene alto il livello del conflitto fra i due e dell’incertezza dello spettatore: Castle indaga per conto suo, dopo aver scoperto il “segreto” di Beckett, e risulta indiscreto, invadente, presuntuoso a Beckett, rischiando di essere liquidato da lei; in seguito, lo scrittore, spaventato come i loro amici poliziotti per la piega che sta prendendo la caccia della detective, cerca di convincerla a lasciar perdere tutto, perché teme per la sua vita. 
Solo quando lui – scoraggiato, offeso, stanco – decide di rinunciare a lei, proprio mentre la ragazza sta rischiando la vita, Kate, finalmente in salvo, si deciderà a cedere alla sua dedizione (Sempre, 4x23). 
Lui, scrittore di successo, frequentatore del jet set, all’apparenza infantile e incosciente, disincantato e disimpegnato, in realtà è creativo, intelligente: ha la temerarietà degli eterni ragazzini. E, prima di tutto, appena l’ha vista, si è innamorato di Beckett, e la seguirebbe ovunque. Anzi, la segue ovunque, mettendo anche qualche volta, nei primi episodi, maldestramente a repentaglio la vita di tutti e due, nel tentativo di proteggerla e farsi valere. Fatto sta, che per lei darebbe la vita.
Nelle prime stagioni il rapporto fra i due è ispirato a uno dei classici topoi della comedy: lui cerca di farsi accettare, lei lo tiene a distanza: è troppo diffidente nei confonti di un uomo ricco, famoso, che percepisce come privo di vere responsabilità (anche se, in segreto, è una sua lettrice accanita, e lo scrittore è molto più ricco interiormente di quanto gli piaccia apparire). 

A proposito, i libri di Castle esistono, e si possono acquistare regolarmente in libreria, li pubblica l’editore Fazi, il primo è Heat Wave, pubblicato in italiano nel 2010, e – guarda caso – ispirato alla figura della detective Kate Beckett. A scorrere le note di copertina, non ci sono indizi su un autore più… reale. Anzi, troviamo una breve biografia di Richard Castle e il richiamo a un romanzo che avrebbe scritto ancora adolescente. E in copertina una entusiasta frase di commento del campione del thriller James Patterson, “Castle ce l’ha fatta ancora una volta. Ha scritto un bestseller da maestro del thriller. Heat Wave è bollente”. In fondo neanche J.J. Abrams è riuscito a tanto, col suo S La nave di Teseo, di quattro anni più giovane: non abbiamo volti, non abbiamo corpi, non abbiamo vere recensioni di veri scrittori, ad accompagnare il suo libro (cfr. www.quadernidaltritempi.eu/numero55). 
E non ci viene il sospetto che la frase di Patterson sia apocrifa: periodicamente vediamo nella serie proprio lui, con gli altri maestri del thriller Denis Lehane e Michael Connelly, giocare a poker con Castle. 
Invasioni dell’immaginario nella realtà e della realtà nell’immaginario, come a nutrirlo e a nutrirsene, a tenerlo vivo e a dimostrarsi vivi, come nel cameo che Wes Craven ci concede di persona in un altro episodio, facendosi riprendere mentre parla al telefono con Richard Castle (Spaventata a morte, 5x17), e subito dopo recriminando perché lo scrittore gli ruba con eleganza le idee senza dargli nulla in cambio...
Richard Castle è immerso nell’immaginazione del Novecento, quella dei pulp, dei fumetti, del cinema – dai b-movies ai grandi capolavori – della science fiction, dell’horror, del thriller – e dei videogiochi, delle x-box, dei giocattoli. Ed è da queste aree che trova ispirazione per elaborare le sue fantasiose e vertiginose teorie per spiegare gli omicidi su cui indaga con la detective – anche se poi deve tornare a ipotesi più realistiche e profane. Ed è questo, anche se Beckett lo smonta e lo critica, che ha fatto prima affezionare e poi innamorare la ragazza: “Castle vede le storie”. Costruisce percorsi plausibili, una volta placato il suo entusiasmo per le ipotesi troppo audaci, perché capisce le persone, le motivazioni, i moventi. Non potrebbe, sennò, fare lo scrittore.
D’altra parte, le situazioni in cui, almeno apparentemente spesso si trovano, fanno pensare proprio alla fantascienza, al fantastico, alla spy story, quella alla James Bond, per intenderci (cfr. www.quadernidaltritempi.eu/numero37). Deve intervenire tutto il “senso di realtà” dello spettatore, per non farsi sedurre da aspettative che sarebbero fuori dell’orbita della serie. Ma l’importante è che i mostri e i luoghi dell’immaginario siano evocati, per ricordare agli spettatori che il mondo di Castle e Beckett non potrebbe fare a meno di tutte le contrade dell’immaginazione di massa. 
Tanto che anche nei due momenti che potevano segnare la fine della serie, per consunzione, per appagamento, quando Kate Beckett decide di cedere all’amore di Castle, alla fine della quarta stagione (Sempre, cit.) e quando poi i due si sposano (Il momento più bello, 7x6), gli autori riescono a “rilanciare”, senza perdere in forza narrativa.  Al punto che il primo episodio dopo il loro matrimonio (7x7), dice tutto già nel titolo, Once Upon a Time in the West nell’originale, C’era una volta il West in Italia. Un omaggio a Sergio Leone, uno dei grandi riscrittori dei generi cinematografici, che più esplicito non si poteva.

Insomma, la coppia sembra avviarsi su un sentiero che assomiglia a quello di Nick (William Powell) e Nora (Mirna Loy), i protagonisti della serie dell’Uomo ombra (1934), traduzione imprecisa dell’originale The Thin Man, “l’uomo sottile”, “magro”, film tratti dai romanzi di Dashiell Hammett, forse il primo esempio di contaminazione fra noir e sofisticated comedy, secondo una declinazione più postmoderna: Rick e Kate sono più posati e meno festaioli: passano le serate in casa, con la madre e la figlia di Castle, magari giocando a Guerre stellari o cose del genere – la sobrietà post undici settembre che si è fatta strada dopo gli eccessi dei decenni Ottanta e Novanta…
Spesso nei titoli dei singoli episodi la produzione cita altre opere, come per esempio in Amare e morire a Los Angeles (To Love and Die in LA, 3x22), riferimento trasparente, sia in originale che in italiano, al film di William Friedkin del 1985 To Live and Die in LA (Vivere e morire a Los Angeles). Ed è in questo episodio, quando sono nel soggiorno di una lussuosa suite (paga Castle, e… camere separate, rigorosamente!) di un albergo della “città degli angeli perduti” che lo scrittore finisce per – con discrezione, sobrietà, misura – rivelare alla ragazza dell’enigma che Beckett rappresenta per lui, che ha subito capito che lei sarebbe stata “… un mistero che non avrei mai risolto. Anche ora, dopo aver passato tanto tempo con te, sono ancora sorpreso dall’intensità della tua forza, dal tuo cuore… dalla tua bellezza”.
Questa sequenza è uno dei climax della serie, o almeno delle prime stagioni, quando ancora il filo che tiene insieme i vari episodi è la dinamica del corteggiamento, dell’allontanarsi e avvicinarsi dei due, dell’attesa sul come andrà a finire. Ecco, qui Castle riesce a incrinare – proprio perché rinuncia ai suoi modi buffoneschi ed espliciti – la corazza di Beckett, tanto che lei, colpita dalla sua sincerità e dalla sua emozione, ritiratasi nella sua stanza, ci ripensa, torna in soggiorno… per vedere la porta della stanza dello scrittore richiudersi alle sue spalle. Il momento magico è passato. Dovremo aspettare due stagioni, per vederlo riannodarsi al flusso degli eventi…
Da allora – due puntate più tardi, a chiusura della stagione, quando Beckett verrà colpita da un cecchino rischiando la vita e Castle le rivelerà il suo amore, mentre lei, forse incosciente, forse vigile, viene trasportata in ospedale – i due rafforzeranno il loro legame, continueranno il loro lavoro quotidiano – mettere in galera i cattivi – sapendo di muoversi sotto la spada di Damocle di un nemico senza volto, potente e oscuro, e poi di un altro, sfuggente e multiforme. Un altro luogo classico dell’immaginazione avventurosa, il destino degli eroi di massa, quello di essere sempre a caccia guardandosi le spalle. Nella tarda modernità, cercando di strappare alla vita quotidiana momenti di affetto, di serenità, di gioco.

 


 

LETTURE

  Richard Castle, Heat Wave, Fazi, Roma, 2010.
  Dashiell Hammett, L’uomo ombra, Mondadori, Milano, 2011.
  Oliver Sacks, L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, Adelphi, Milano, 2001.

 


 

VISIONI

  William F. Blinn, Ryan M. Blinn, Starsky & Hutch, Stagione 1, Sony Pictures, 2004 (home video).
  William Friedkin, Vivere e morire a Los Angeles, 20th Century Fox Home Entertainment, 2015 (home video).
  Matthew Graham, Tony Jordan, Ashley Pharoah, Life on Mars, (Stagioni 1 – 2, Uk), CG Entertainment, 2008 (home video).
  Matthew Graham, Tony Jordan, Ashley Pharoah, Life on Mars (Usa), 20th Century Fox Home Entertainment, 2015 (home video).
  Sergio Leone, C’era una volta il West, Rai Cinema - 01 Distribution, 2013 (home video).
  Todd Phillips, Starsky & Hutch, Eagle Pictures, 2011, 2004 (home video).
  Woody S. Van Dyke, L’uomo ombra, Warner Home Video, 2005 (home video).