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di Gennaro Fucile

 

A sessant’anni dal loro primo atterraggio, i marziani sono tornati a Roma nello scorso autunno, destando però decisamente meno scalpore rispetto alla visita precedente. Allora, si era nel 1954, fu Ennio Flaiano a far da cronista all’incontro ravvicinato del terzo tipo avvenuto in quel di Villa Borghese, narrando in Un marziano a Roma l’inusitata visita nella Capitale di tale Kunt, un nativo del Pianeta Rosso. Cornice raffinata e penna sopraffina per dare forma e soprattutto rilevanza all’evento, che altrimenti sarebbe stato ignorato, considerata la dubbia fama di cui godeva il genere fantascienza in Italia all’alba del miracolo economico. Nell’autunno scorso, invece, tutt’altra cornice per il ritorno dei compatrioti di Kunt e altri alieni provenienti dai quattro e più angoli dell’universo. I fatti in breve. Quattro storici mercati rionali romani (storici perché attivi da prima del 1960) sono stati popolati oltre che da massaie, pensionati, giovani coppie, single e tutta la fauna ordinaria residente, anche da dischi volanti, robot e marziani, raffigurati in duecentottanta immagini rastrellate da fumetti, libri, manifesti, rotocalchi, riviste, pubblicità, figurine e quaderni scolastici. Quattro mercati, quattro temi: Space Opera. Il mito dell'invasione al mercato di via Cola di Rienzo; Space Opera. Il mito del viaggio al mercato di piazza Gimma; Robot. Il mito della creazione al mercato di via Antonelli; Il Futuro visto ieri. Il mito della frontiera al mercato di via Sabotino. Scopo ufficiale dell’iniziativa – il Progetto di Valorizzazione dei Mercati Rionali Storici di Roma –: “far diventare i mercati storici una risorsa per la città”, come recitava il comunicato ufficiale degli organizzatori. Periodo dell’invasione: dal 15 ottobre al 23 novembre. Selezione ben curata, materiali altrimenti difficilmente avvistabili; c’era di che saziare anche gli occhi in quei giorni a Roma. Marziani, carote, patate, peperoni, razzi, robot, broccoli, alici, baccalà, dischi volanti, pancetta, trippa… la domanda a questo punto è inevitabile: perché?

 

L’intuizione sottostante l’iniziativa è degna del massimo rispetto, perché svela un passaggio epocale, avvenuto in tempi diversi in tutto l’Occidente: il transito dall’immaginario tecnologico fondato sulla centralità dell’industria, della fabbrica, della macchina, del lavoro e del consumo di massa a un immaginario animato dalla circolazione dell’informazione e fondato sulla centralità del corpo, sul binomio benessere/malessere mortale intimamente legato all’assunzione o meno di cibo. Per decenni, lungo l’intero Novecento, la science fiction ha incessantemente fabbricato altri mondi, altri tempi abitati da umani postumi e non umani alle prese con tecnologie concernenti i mezzi di trasporto, inclusa la time machine, le armi, le repliche dell’uomo o la sua simbiosi con la macchina. Poca, scarsa e accidentale importanza ha invece rivestito il cibo. 

Un maggior rigore storico ci impone però di ricordare due lodevoli eccezioni, autentiche illuminazioni sul tempo che sarebbe arrivato: il cuoco tuttofare Robbie nel film Il pianeta proibito e il soylent green, il cibo per masse ridotte alla fame nel romanzo Largo! Largo! di Harry Harrison e del relativo film che se ne trasse (2022: i sopravvissuti). Il primo celebrava l’opulenza, la fede nelle possibilità illimitate della tecnologia di produrre benessere anche nella dimensione del quotidiano. Robbie sforna cibo in un batter d’occhio; in pratica è una macchina che nasce dall’improbabile incrocio tra una stampante 3D e un soldato.

Il secondo faceva entrare in scena un cibo artificiale di massa, non quello sintetico per le élite, come gli astronauti di 2001, Odissea nello spazio, ma un cibo ricavato da cadaveri umani frutto della relazione tra fame nel mondo e nuove tecnologie alimentari dedicate a porvi rimedio: una relazione che si sarebbe mostrata appieno anni dopo con l’esplosione del dramma della denutrizione e con l’ascesa degli ogm e dei relativi due fronti: quello di chi si schiera a favore e quello dei contrari. La questione spacca tuttora in due le comunità degli scienziati, dei sociologi e anche degli scrittori odierni di fantascienza, sebbene la distopia servita a tavola sia un boccone troppo prelibato, che favorisce il prevalere degli apocalittici, come ci indica il recente La ragazza meccanica di Paolo Bacigalupi.  Una cosa è certa: gli ogm segnano un inequivocabile passaggio di stato, una letterale mutazione dell’immaginario tecnologico. La figura storica del mutante, il sopravvissuto dell’olocausto atomico che ha popolato un numero imprecisato di storie della fantascienza per almeno un quarto secolo dopo Hiroshima e Nagasaki, viene soppiantata dal cibo mutante, non più figlio della guerra, ma della pace, o meglio, dal proseguimento della guerra con altre armi.

 

Passaggio di stato anche perché a differenza che nel passato, oggi la finzione narrativa di matrice fantascientifica deve fare i conti con la propria tendenziale sparizione nel molteplice reale nel quale siamo immersi. Multiverso in cui anche i confini tra frontiere tecno-scientifiche e pure immaginazioni si fanno sempre più labili e nel quale il mondo alimentare tende a posizionarsi tolemaicamente al centro. Non solo in virtù della proliferazione degli ogm, ma anche per altre tecnologie applicate al cibo, come la stampa 3D. In circolazione ci sono già dispositivi che sfornano cioccolato, pasta, pizza, dolcetti, salatini al formaggio, biscotti e pane. Cioccolato soprattutto, già un piccolo successo commerciale. La nuova frontiera però si chiama Edible Growth, un progetto che unisce la stampa tridimensionale a organismi viventi, ideato da Chloé Rutzerveld, olandese e food designer (già questa è una figura fantascientifica, al pari delle sentinelle dello spazio o simili personaggi d’altri tempi), che lo ha sviluppato con l’Università della Tecnologia di Eindhoven e il centro studi TNO – Innovation for Life di Utrecht.

Si parte dalla stampa di una struttura in pasta a forma di cestino farcita di semi, spore e lieviti. Il nucleo della struttura contiene una base di agar-agar, una sostanza gelatinosa commestibile derivante dalla lavorazione delle alghe che funge da terreno fertile, atto a far germogliare piante e funghi. Nel giro di cinque giorni, ecco uno snack pronto da mangiare. Passaggi di stato: dal fungo atomico a quello sostenibile, perché come ha dichiarato Chloé: “Grazie alla stampa in 3D la catena di produzione può essere molto più corta, il trasporto di alimenti verrà ridotto e si utilizzerà meno terreno per coltivare o allevare”. La sostenibilità si addice anche ai mutanti, a quanto pare. Una conferma arriva dal paradossale claim (“Migliore per le mucche, migliore per la gente e migliore per il pianeta") che accompagna il definitivo lancio del latte made in Atlanta, ovvero by Coca-Cola, dopo anni di test ( www.quadernidaltritempi.eu/numero22). Si chiama FairLife, ma già è stato ribattezzato Milka-Cola. La mutazione della bevanda più alchemica mai concepita in quella più naturale, la transustanziazione della più sacra tra le bevande profane nella più naturale tra quelle sacre. 

Questi transiti appaiono piuttosto chiari, seppur osservati nel loro avvenire, ma un altro segno inequivocabile dei tempi è l’assenza di un testimone privilegiato per questi passaggi di stato, come lo fu la fantascienza per gran parte del secolo scorso. È curioso che dopo aver immaginato armi ed eroismi di ogni genere per difendersi dalle invasioni aliene, dopo aver supposto le forme più svariate per gli invasori spaziali ci si ritrovi con i marziani all’angolo della strada, come recitava una vecchia antologia di fantascienza. Marziani nel mercato rionale, nella dispensa di casa, di fronte a noi, chissà. In fondo l’invasione degli ultracorpi era iniziata con dei baccelloni.