ASCOLTI / UNTITLED


di Johannes Dimpflmeier / end/OAR, 2014


 

De natura sonorum

di Gennaro Fucile

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Sbuffano, cigolano, ansimano, fremono, esitano, picchiettano; ineffabili, talvolta irritanti perché caparbie, ostinate, ma anche sognanti, le sculture sonore di Johannes Dimpflmeier si danno proprio un gran da fare quando entrano in azione, quasi fossero agitate da moto perpetuo. Sollecitate in vario modo, rispondono sprigionando cellule sonore in sequenza, forniscono risposte emotive, agiscono talvolta timide, timorose, talaltra sfoggiando sicurezza e qualche attimo di esuberanza. Sembrano possedere una vita interiore come qualsiasi normale strumento musicale.

Si possono ammirare e ascoltare nella dimora di Dimpflmeier, a Pian di Mola, Tuscania, in provincia di Viterbo, nell’alto Lazio, dove, sin dal 1987, risiede l’artista nato a Roma da genitori tedeschi e tornato in Italia dopo aver sostato parte della sua vita in Germania studiando industrial design. Uno spazio visitabile gratuitamente, dove si può prender visione degli artefatti di questo singolare fabbricante di universi non solo sonori, perché Dimpflmeier è anche autore di dipinti e sculture mute ma animate, come, ad esempio, Waelder wollt ihr ewig singen? (in italiano: Foreste volete cantare in eterno?), alberelli mossi da un dispositivo meccanico, appartenenti a un mondo, il nostro prossimo venturo, dove il vento non esiste più. Le sue mirabolanti creature si chiamano Erede, Onkel Kranius, Bicordo Meditar, Rotellie, Incubophon e così via. Nascono dal recupero di vari metalli o legno, di fili elettrici, oggetti nati con altra destinazione d’uso, come la struttura metallica di una gabbietta per uccelli. Alcune sono frutto d’interazione con marchingegni elettronici. I suoni che ne scaturiscono trovano ora anche una archiviazione digitale nel cd dell’etichetta statunitense end/OAR, che ha già fornito ospitalità ad altri artisti di frontiera, come Akio Suzuki e Olivia Block. Nel disco si antologizzano registrazioni effettuate dal gennaio 2002 all’ottobre 2003, un buon compendio del mondo incantato dell’artista italo-tedesco.

Osservate dal punto di vista delle arti visive, le creature di Dimpflmeier hanno uno storico legame di parentela con le strutture cinetiche di Alexander Calder (oltre a suggestioni sempre dal passato di Max Ernst e contemporanee come Rebecca Horne, per ammissione dello stesso Dimpflmeier), i mobiles con le quali condividono non solo il trovarobato come materiale di base e il vento come motore per azionarsi, ma soprattutto l’intima dimensione fiabesca. Trovarsi di fronte alle sculture di Dimpflmeier è un po’ come scivolare dentro una delle animazioni di Jan Švankmajer (Cfr. "Quaderni d'Altri Tempi" n. 20), dove l’impossibile si anima, assume nuove forme e da cui talvolta scaturiscono anche suoni. Entrambi attraversano lo specchio (cfr. "Quaderni d'Altri Tempi" n. 40) dando vita a un mondo di esseri/oggetti fantastici, ri-composizioni della realtà a noi nota, o forse quella originale di cui la nostra è un malriuscito pastiche.

Arduo diventa il compito di riportare a qualcosa di noto i suoni che questi dispositivi producono. Vaghi ma pur sempre utili, i rimandi che l’ascolto suggerisce sono a Terry Riley e alcune formazioni della scuola elettronica tedesca risalente agli anni Settanta, Cluster e Neu! in primis, come si evince in particolare nella conclusiva Tangon. Così eccoci avvolti in una nuvola sonora nell’eterea e scura Spaeter mentre la misteriosa Eistoene sembra catturare suoni di una remota nebulosa; echi d’Oriente sono tangibili in Spiraglio, Oder in China e Kleinere Geschichte, piccoli mantra elettronici per automi votati al misticismo. La tranche sonora più consistente è una sorta di trilogia composta da I Grillo Concert, II Grillo Viola e III Grillo Concert, che macina e sparge suoni rugginosi, a volte cavernosi; audio emissioni intermittenti seguite da sequenze più compatte e un ritmo affaticato che spunta a metà della terza parte per accendersi infine di una luce velata. Non c’è inizio e non c’è fine, tutto scorre come nell’iniziale Schlendriano, con echi del chiocciare dei primi moog. Ossessivo l’incedere di Scala Ouspenkij, dove all’opera è il citato Erede accordato secondo le teorie musicali di Georges Ivanovič Gurdjieff.

Dal punto di vista della musica, le sculture sonore di Dimpflmeier si collocano in un vasto e strano universo, che grossomodo inizia a prendere forma nella seconda metà del XX secolo, quando in Europa i fratelli Bernard e François Baschet iniziano a costruire strambi “oggetti musicali” utilizzando sbarre metalliche e tubi di vetro, da cui scaturivano suoni inauditi se percossi o strofinati. Uno su tutti il Cristal Baschet o Crystal Organ, 54 cilindri di vetro intonati su scala cromatica di cui si sono avvalsi musicisti come François Bayle, Luc Ferrari, ma anche Tom Waits e Jean Michel Jarre. Altro pioniere fu il pittore e scultore surrealista svizzero Jean Tinguely, anch’egli alle prese sin dai primi anni Sessanta con materiali eterogenei come biciclette rotte, barattoli di vernice o lamiere contorte. Un bel po’ di industrial music, da quella più ostica a quella più commestibile, da Z’ev ai Test Department, gli deve non poco.

Nel Nuovo Continente, le cose procedettero di pari passo. Due le figure di maggior spicco. La prima è Harry Partch, l’inventore di strumenti come il Chromelodeon (un organo modificato) e il Cloud Chamber Bowls (un set di ciotole di cristallo). Partch “… progettò e costruì egli stesso i suoi strumenti, derivati dai suoni di quelli a percussione, specialmente polinesiani, e a plettro primitivi, includendovi però alcuni strumenti a corda suonati con l’archetto, pifferi, e armonium a tastiera. Tutti questi strumenti vennero concepiti per un sistema di tonalità con quarantatre-suoni-per-ottava che desse coerenza a una musica monofonicamente basata, come il canto gregoriano antico e la musica monolineare, sull’Intonazione Giusta” (Mellers, 1975). Il secondo esploratore di questi nuovi territori sonori è “… Arieto Bertoia, nato a S.Lorenzo, Udine, nel 1915 ed emigrato negli Stati Uniti, ospitato da suo fratello Oreste a Chicago nel 1930, dove diventerà Harry. Bertoia si specializza nella lavorazione di metalli e gioielli diventando un designer apprezzato. Il passo successivo è l’approccio alla scultura. Trasforma il suo granaio in laboratorio e lì, assemblando una scultura composta da diverse aste metalliche verticali, due di queste cozzano accidentalmente producendo un suono che gli si conficca nella mente, accendendo una magnifica ossessione. Per un buon decennio studierà le qualità acustiche dei metalli, anni di ricerche che approderanno nel 1959 al progetto Sonambient, un complesso di sculture sonore realizzate in leghe di berillio, rame e nickel, percuotibili con sbarrette metalliche a loro volta, talvolta ricoperte da uno strato di cuoio” (Cfr. "Quaderni d'Altri Tempi" n. 22).

A partire da questi eroici cimenti dell’invenzione, la scena sperimentale del secondo Novecento sarà tutto un fiorire di esperimenti, più o meno riusciti, di sculture sonore, intimamente legate a specifiche installazioni, oppure in grado di esistere in autonomia dal contesto. Al concetto di scultura sonora in senso stretto, ovvero di oggetto artistico accidentalmente in grado anche di produrre dei suoni, si affiancherà quello di strumento modificato, da cui non si salverà nessuno strumento, dai principali strumenti a corda (violino, viola, violoncello e chitarra) agli ottoni e al pianoforte (cfr. "Quaderni d'Altri Tempi" n. 26).

Due interessanti esempi di artisti contemporanei che – seguendo una strada del tutto personale e formalmente differente da Dimpflmeier – hanno insistito sulla rielaborazione di materiali di scarto, di interazione con gli elementi naturali e con la rielaborazione di strumenti preesistenti sono Hal Rammel e Will Menter.

Il primo è autore di oggetti/limite, come il Triolin, composto da una serie di sbarrette metalliche incastrate in una piccola base di legno e suonate con un archetto. Il singolare catalogo include anche il Bibliolin, quattro corde e un manico di violino attaccate a un libro e la Sound Palette, una classica tavolozza da pittore che ha lungo il bordo delle asticelle di legno e un pick up. Anche Rammel come Dimpflmeier (e prima ancora Bertoia) ha concepito queste creature lontano dal mondo metropolitano, in un granaio, così come Menter, un ex sassofonista, che si è installato nella regione del Burgundy in Francia, territorio prevalentemente rurale. Qui lavora con lastre d’ardesia, ceramica, metallo, travi di quercia, tubi pieni d’acqua, conchiglie, piccole canne da pesca, realizzando strutture architettoniche immaginifiche che emettono suoni.

In questi paesi delle meraviglie, i confini sfumano, l’arte si fa paesaggio, gli elementi naturali si fanno suono, gli strumenti musicali diventano sculture, i materiali di scarto, i rifiuti si nobilitano (forse la sostenibilità è nata come performance artistica), tutto scivola in punti all’apparenza distanti, producendo incroci lungo traiettorie impossibili.

Creature che si allontanano dai loro creatori immediatamente dopo essere state generate, come avviene da tempo immemorabile nell’universo, assumendo vita propria, come precisa lo stesso Dimpflmeier nell’estratto riportato nelle note del cd di un intervista rilasciata alla rivista ND (non proprio di recente: nel 1999). Destino comune a questi apprendisti stregoni che, come Topolino con le sue scope, si ritrovano a non dominare più i meccanismi che azionano. D’altra parte chi sperimenta rischia. Avete mai provato a dover fronteggiare un Incubophon?

 


 

ASCOLTI

Harry Bertoia, Unfolding, Psf Records, 2007.
Will Menter, Always Sound / Le son est toujours présent, ReR Megacorp, 2013.
Harry Partch, The Harry Partch Collection, Vol. 1- 4, New Worlds, 2004/05.
Hal Rammel, Elsewheres, Penumbra Musci, 1994.

 

LETTURE

Wilfrid Mellers, Musica nel nuovo mondo, Einaudi, Torino, 1975.