L’incanto del lotto 49 (The Crying of Lot 49, 1965) di Thomas Pynchon
E in quell’anno viene
pubblicato L’incanto del lotto
49 nel quale sono, tuttavia, presenti già alcuni dei temi tanto
cari allo scrittore americano: tecnologia e paranoia. “Ci son stati a sentire, ci son stati a sentire (…) quelli là. Sempre qualcuno che ascolta, che spia; ti nascondono i microfoni in camera, ti intercettano le telefonate…”, queste sono le parole (molto attuali, d’altra parte), che uno dei personaggi del libro urla. Il tema del controllo, a cui automaticamente si legano quelli della comunicazione e della paranoia, termini che verranno continuamente ripresi nella narrazione, fanno da sfondo a questa storia, e lega molti degli ambienti e dei personaggi che P. descrive nei suoi vari romanzi. Protagonista di questo racconto è insolitamente una donna,
Oedipa Maas che, di ritorno da un ricevimento Tupperware, scopre essere
stata nominata esecutrice testamentaria di Pierce Inverarity, suo ex
amante. Costretta a lasciare la sua città e suo marito Wendell
“Mucho” Maas, si troverà sulle tracce, non più solo delle cose
appartenute a Inverarity, come francobolli, il lago a lui dedicato o la
Yoyodine, ma di un fantomatico servizio postale, il Trystero (il cui
simbolo è un corno), che si pone come alternativa a quello nazionale
americano a cui la popolazione riserva “le bugie,
le recite della routine, gli aridi tradimenti della povertà
spirituale”. Un tipo di comunicazione di cui molti si servono, e che
improvvisamente appare come una costante nella vita della protagonista.
La trova disegnata nei bagni, trova gente che disegna il corno e perfino
in uno spettacolo teatrale in cui, appunto, un servizio postale
alternativo, i Thurn und Taxis, cercano di soppiantare il sistema
nazionale. Insomma, Oedipa si ritroverà inseguita e inseguitrice,
sedotta e abbandonata, a lottare contro paranoia e entropia, sempre al
limite di una crisi di nervi, fino ad arrivare al giorno dell’asta in
cui il banditore metterà all’incanto il lotto 49, quello di
Inverarity, e giorno in cui ci potrà essere lo scioglimento del
mistero. Ma cos’è il Trystero? Esiste veramente? Non lo sapremo mai,
forse un sogno, forse no, ma probabilmente non è questa la cosa più
importante, ciò che interessa è “solo” il mondo nel quale succede
tutta la storia. Pynchon, come nota Mattia Caratello in un saggio
contenuto ne La dissoluzione onesta (Cronopio, 2003), in fondo è un
mistificatore, dove con questo termine prendiamo per buoni i due
significati che se ne danno, “quello consueto di “falsificare,
alterare qualcosa, o imbrogliare, beffare qualcuno”, ma anche “il
valore complementare di iniziazione: far entrare nel mistero per
introdurre alla conoscenza”. Burlone e mistagogo, quindi. Tradotto in Italia con insolito
ritardo, Pynchon è ormai considerato il padre della letteratura
postmoderna. Nato a Glen Clove nel 1937, di lui si hanno pochissime
notizie. Schivo e irraggiungibile al pari di un altro grande scrittore,
Salinger (che alcuni hanno azzardato essere il vero P.), di P. si hanno
a disposizione solo un paio di foto, oltre al materiale narrativo, ad
alcuni articoli e qualche introduzione. Perfino alla premiazione del National
Book Award non si è presentato, preferendo mandarci un comico. Particolare divertente, per
capire il culto che di lui si ha negli States, è che l’unica
concessione fatta alla popolarità sia la sua apparizione nel cartoon
americano dei Simpson. In due
puntate, infatti, Pynchon ha prestato la voce a se stesso, che appariva,
ironicamente, oltre che immancabilmente giallo,anche con un sacchetto di
pane sulla testa, così da nascondere i lineamenti. Di lui in Italia ormai sono
tradotte tutte le opere narrative: V.
(Rizzoli, 1992), L’incanto del
lotto 49 (Bompiani 1967, E/O 1996, Einaudi 2005), L’arcobaleno
della Gravità (Rizzoli, 1999), Entropia
(E/O, racconti, 1988), Vineland
(Rizzoli, 1991), Mason & Dixon
(Rizzoli, 1999).
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