Crash (Crash, 1973) di James G. Ballard

Crash (Canada/USA1996) di David Cronenberg

con James Spader, Holly Hunter, Elias Koteas, Rosanna Arquette.

Qui illustriamo insieme il romanzo di Ballard e il film che Cronenberg ne ha tratto avvertendo come fra film e romanzo non ci siano differenze strutturali, anzi: il regista canadese riesce perfettamente a cogliere il registro della scrittura di Ballard, a rispettarne il timbro, a mettere quindi perfettamente in scena il senso della storia. E’ solo l’organizzazione degli eventi che in parte è modificata, il loro “montaggio”.
Intanto, nelle intenzioni dell’autore, Crash è un romanzo dichiaratamente pornografico (si veda l’Introduzione dello stesso autore).
Ma è anche, naturalmente, molto di più.
Ballard, giovane ingegnere meccanico, dopo un incidente d’auto durante il quale procura la morte di un uomo e il ferimento della moglie di lui – oltre che il suo – viene coinvolto sempre più profondamente, in una spirale che sembra non finire mai, nelle pratiche deliranti di Vaughan, un medico che ha smesso di esercitare la sua professione per dedicarsi ad una sorta di estetica dell’incidente automobilistico, che è da subito una ricerca – quasi alchemica – della mescolanza fra carne e metallo, delle corrispondenze, affinità, complicità fra i disegni delle cicatrici sui corpi organici dei “protagonisti” degli incidenti (provocati o casuali) e le deformazioni delle lamiere e degli interni delle automobili coinvolte – attirando via via, in questo gioco perverso, per il tramite dell’ingegnere, tutti coloro che gli ruotano intorno, a partire dalla moglie di Ballard e dalla donna da lui ferita e resa vedova nell’incidente.
L’esaltazione degli incidenti d’auto – e delle loro conseguenze – diventa la ragione della vita dei personaggi del romanzo e del film, fino allo scioglimento finale – la morte di Vaughan – che riconduce almeno Ballard e la moglie ad un universo meno devastante – ma forse anche meno visionario, sicuramente più quotidiano e prosaico.
Al centro del romanzo c’è, insieme al corpo, l’automobile, una delle icone più potenti della modernità e della società dei consumi.
Nel romanzo di Ballard l’automobile è pienamente al servizio di questa dimensione simbolica: l’abitacolo dell’auto si trasforma (o forse viene restituito ad una sua dimensione primaria, quella dei primi automobilisti, che vedevano il mondo scorrergli attorno ad una velocità mai vista prima) in un set cinematografico, dove gli amplessi che si svolgono all’interno si mescolano con lo scorrere delle immagini esterne, dove quindi i personaggi della storia mettono in scena i loro sogni e le loro sperimentazioni erotiche – contemporaneamente spettatori della realtà esterna e attori di un film privato, forse segretamente desiderosi di avere a loro volta degli spettatori.
Di fatto, il lunotto e i finestrini dell’auto diventano l’occhio doppio di una macchina da presa virtuale che riprende il fuori, mentre dall’esterno riprende i protagonisti della storia che dentro si dedicano alle loro attività, esattamente come le immagini di un film scorrono su uno schermo.
Questo legame dell’automobile con il cinema, dichiarato più di una volta nel testo dall’autore, diventa ancor più esplicito nel brano in cui Vaughan mette in scena dal vivo – e vi partecipa da protagonista - la replica di un incidente stradale veramente occorso a James Dean, con il prevedibile contorno di traumi e ferite.
Forse è meno esplicito il legame con la science fiction: il mondo descritto è quello reale, non sono presenti tecnologie o scenari avveniristici, né le azioni si svolgono nel flusso di una Storia o di un tempo paralleli.
Ma, se ci si pensa meglio, all’origine il punto di partenza rimane il Frankenstein, come prima intuizione della possibilità di lavorare sul corpo per trasformarlo.
Le protesi e le cicatrici indossate dai personaggi della storia rimandano alle cuciture e alle cicatrici della creatura di Mary Shelley, anche se non in maniera esplicita.  
Sono poi i comportamenti dei personaggi, il loro carattere estremo, a prefigurare – nel 1973, data di edizione del romanzo – paesaggi interiori, pulsioni e azioni della postcontemporaneità, descrizioni e allusioni (neanche tanto metaforiche) ai tempi che sarebbero venuti: i nostri.
Mantenendo, in ogni caso, lo sguardo a fuoco sul corpo, sul suo uso, sul suo rapporto con le tecnologie e le protesi dell’epoca che solo in seguito avremmo potuto nominare postmodernità.
Perché non c’è dubbio, e questo si intravede anche negli articoli che seguono, che attorno al corpo tardomoderno si coaguli consapevolmente molto del desiderio di distruzione e autodistruzione delle nostre pulsioni più profonde. Come se i nostri stessi corpi non ci appartenessero più, fossero qualcosa di estraneo da possedere e smontare, da esplorare e mettere alla prova freddamente, con un atteggiamento a cavallo fra quello dello scienziato e quello del bambino che gioca.
Prendiamo la figura di Vaughan: ex medico, che ha abbandonato la professione per poter soddisfare il suo desiderio – sostanzialmente voyeristico – di sperimentare le mutazioni che di fatto – attraverso la sottrazione e/o la sostituzione di parti del corpo – gli incidenti producono. Modifiche al corpo umano che anticipano la logica del cyborg e dell’androide.
In questo suo percorso, Vaughan si trasforma in fotografo, operatore di ripresa, videoinstallatore, ponendo al centro dei suoi sogni sempre più esplicitamente il mondo dello spettacolo, del cinema, della politica. Le fantasie di Vaughan si popolano sempre di più di incidenti automobilistici che hanno come protagonisti personaggi famosi, da James Dean, a Jaqueline Kennedy e Onassis, a Liz Taylor, in una vertigine senza fine.
Per Ballard le cose sono solo in parte diverse.
Il suo incidente, il primo, quello che gli farà conoscere Vaughan e produrrà il sodalizio col medico, assume il carattere di una vera epifania: la rivelazione del possibile matrimonio fra amore e morte, fra sesso e dolore, mediati dall’unione fra carne e metallo, fra corpi e pezzi di automobile.
Viene messa in scena, insomma, l’utopia della fusione fra organico e artificiale come medium per l’esplorazione di una combinatoria infinita dei frammenti del discorso erotico.
Quindi le cicatrici, gli innesti, i “tutori” e le altre protesi non sono nella storia narrata solo i segni di una deriva fetish o sadomaso – che pure nella Storia reale avremmo conosciuto – quanto simboli di questa esplorazione.
Ma questa stessa ricerca dei poteri del corpo organico nel suo congiungersi al metallo, al cuoio, alla plastica, mi sembra sia metafora di un sentire più generale, riferito all’intero complesso del rapporto fra l’umanità di fine millennio e la vita quotidiana. Spaesati, capricciosi, infantili, cerchiamo nei consumi e nel piacere la risposta ad una insoddisfazione incombente e irrisolta.
Nel ritrarre i suoi personaggi J. G. Ballard si rivela profondamente sociologico, cogliendo aspetti della società di fine millennio su cui molti, da Debord a Baudrillard, Perniola, Bruckner avevano o avrebbero riflettuto.