Anni senza fine (City, 1952)  di Clifford Simak

 

“Queste sono le leggende che i Cani si raccontano quando le fiamme crepitano alte e il vento fischia da nord. Allora ogni famiglia si raccoglie intorno al focolare e i cuccioli siedono muti, intenti ad ascoltare, e quando la storia è finita fanno molte domande.

‘Che cos'è un uomo?’ chiedono.

Oppure: ‘Che cos'è una città?’.

O anche: ‘Che cos'è una guerra?’.

Non c'è una risposta precisa a domande di questo genere. Ci sono supposizioni. Ci sono teorie e tante ipotesi dotte, ma nessuna vera risposta.

Nelle famiglie raccolte intorno al fuoco, più di un narratore è stato costretto a ripiegare sull'antichissima spiegazione che non esistono cose come un Uomo o una città, che non bisogna credere di trovare qualcosa di vero in una semplice fiaba, ma che bisogna accontentarsi del piacere che essa vi dà e non cercarvi altro...”.

L’incipit di City, capolavoro indiscusso di Clifford Simak del 1952, pubblicato in Italia anche con il titolo Anni senza fine, ci introduce alla trama del romanzo.

La popolazione terrestre è emigrata su Giove per perseguire un’utopistica felicità superiore. Le uniche tracce del suo passaggio sulla Terra sono un robot e le leggende che i cani – gli esseri senzienti che attualmente dominano i mondi paralleli – si tramandano di generazione in generazione. Ed è proprio attraverso queste leggende che si dipana il racconto dell’ascesa e della caduta della razza umana sino all’abbandono della Terra nelle mani di pochi superstiti. Ma adesso, quasi a seguire un imperscrutabile disegno universale, anche il sistema di vita dei cani è in crisi e la loro era sta per concludersi…

Con toni fiabeschi e lirici, Simak ci racconta gli ultimi giorni della vita dell’uomo dal punto di vista dei cani, ossia la razza senziente del pianeta Terra, le leggende legate all’uomo. Il romanzo è infatti diviso in vari episodi. I primi sette racconti del ciclo apparvero su Astounding tra il 1944 e il 1947, ad eccezione di The Trouble with Ants, rifiutato dall’allora direttore della rivista John Campbell jr., che apparve su Fantastic Adventure nel 1951. Il racconto finale, Epilog, venne, invece, pubblicato soltanto nel 1973 nell'antologia commemorativa Astounding: the John W. Campbell jr. Memoral Anthology.
Al centro del romanzo, ma un po’ di tutta l’opera dello scrittore americano, vi è l’uomo, le sue angosce, le sue speranze, il suo chiedersi quale posto occupa nell’Universo. Con Simak siamo davanti ad una fantascienza umanistica, dove l’elemento scientifico o è assente del tutto o è molto marginale.
Lo stile di Simak è molto raffinato, per certi versi lirico, che però ben si sposa con l’obiettivo del romanzo: quello di raccontare una storia – quella dell’uomo – attraverso la forma della leggenda, del racconto epico e ancestrale. Interessanti, in tal senso, sono le dotte introduzioni ai vari episodi, in cui si tenta di trovare una ragione, una spiegazione quasi antropologica ad ognuno dei racconti, delle leggende.
Simak, dunque, in questo romanzo preferisce indugiare, con lucida malinconia e un pizzico di humor nero, sui sentimenti dei personaggi, sulle loro (nostre) paure e aspettative per un futuro dalle mille incognite.