Donnie Darko
(2001) di Richard Kelly con Jake Gyllenhaal, Patrick Swayze, Drew Barrymore,
regia
Il protagonista è un giovane
problematico, anche se – si intuisce – con una interiorità ricca e
empatica: è affetto da schizofrenia, forse con tratti autistici, una
malattia che percepiamo stimolata dal confronto con un mondo adulto
ipocrita e falso. I suoi sanno della
sua schizofrenia, ma lo trattano con affetto e comprensione. E lui
ricambia. In famiglia si trova bene. Come dicono di trovarsi gli
studenti “testati” con Tras.Pre. Ha amici ed è attento alle
ragazze, come ogni adolescente, e i suoi consumi culturali sono quelli
degli anni ’80 (ancora non c’erano né dvd,
ne il web, ma c’era già il walkman,
ad esempio). Ciononostante, il
ragazzo continua la sua vita, conosce una ragazza appena trasferitasi,
se ne innamora… alla fine la salverà dalla morte sacrificandosi al
suo posto. Interrogativi tipici
di una certa fantascienza, che però richiamano anche alla memoria la
trama di un bellissimo romanzo di Adolfo Bioy Casares, Il sogno degli eroi, pubblicato dall’amico di Borges nel 1954. Distribuito negli USA
subito dopo l’11 settembre, a causa della scena in cui il motore di
aereo precipita sulla villetta di Donnie, sparì presto dalle sale. Il passaparola
attraverso il web lo ha trasformato poi in un cult
per gli adolescenti che nella grande provincia americana si ribellano al
sistema scolastico. Ed è una pellicola
estremamente interessante: per l’età del regista quando lo girò, per
le difficoltà di circolazione avute dopo la sua uscita – in contrasto
con l’interesse scatenato fra “esperti” e fans
– per la personalità del protagonista e di coloro che gli stanno
intorno; alla fine per la sua capacità di esprimere alcuni aspetti
della nostra epoca descrivendone un’altra, anche se apparentemente di
poco precedente. Una classica vicenda postmoderna,
insomma, per le sue cadenze, e per la passione che ha innescato. Ma,
soprattutto, per l’aderenza del protagonista alle identità dei
giovani nostri contemporanei, con le sue pause, le sue incertezze, la
sua determinazione, il coraggio mostrato nel finale. Anche se il racconto
è ambientato negli anni ’80 del secolo scorso, percepiamo infatti in
Donnie – e in alcuni dei suoi amici – molti punti di contatto con
gli adolescenti di oggi: è un ragazzo schivo, tranquillo, sereno in
famiglia. E di cui il suo
viaggio in un tempo/spazio alternativo non ne è che la metafora che
serve a mostrarlo a noi, spettatori esterni.
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