Donnie Darko (2001) di Richard Kelly

 

con Jake Gyllenhaal, Patrick Swayze, Drew Barrymore, regia

Donnie Darko è un adolescente americano, che durante una crisi di sonnambulismo, si imbatte in Frank, un coniglio gigante, che gli predice la fine del mondo. Che ci creda o meno, quando torna a casa scopre che la sua camera è stata distrutta da un motore di aereo caduto dal cielo. Mentre Donnie, con l'aiuto di Frank, cerca di indagare su come mai e perché sia scampato alla morte, intorno a lui strani fenomeni continuano a susseguirsi.

Il protagonista è un giovane problematico, anche se – si intuisce – con una interiorità ricca e empatica: è affetto da schizofrenia, forse con tratti autistici, una malattia che percepiamo stimolata dal confronto con un mondo adulto ipocrita e falso. 

I suoi sanno della sua schizofrenia, ma lo trattano con affetto e comprensione. E lui ricambia. In famiglia si trova bene. Come dicono di trovarsi gli studenti “testati” con Tras.Pre. Ha amici ed è attento alle ragazze, come ogni adolescente, e i suoi consumi culturali sono quelli degli anni ’80 (ancora non c’erano né dvd, ne il web, ma c’era già il walkman, ad esempio).
Solo che… Solo che il giovanotto nasconde appunto un segreto: sa quando avverrà la fine del mondo. Sarà frutto delle sue allucinazioni, dell’esser sfuggito per miracolo alla morte, della lettura di un libro sui viaggi nel tempo, dell’incontro col coniglio “Frank”… ma Donnie di questo fatto è sicuro.

Ciononostante, il ragazzo continua la sua vita, conosce una ragazza appena trasferitasi, se ne innamora… alla fine la salverà dalla morte sacrificandosi al suo posto.
In realtà noi, spettatori del film, scopriremo che forse tutto ciò non è successo: Donnie è morto perché è stato schiacciato dal motore di un aereo precipitato sulla sua cameretta, e tutto quello che è successo dopo (ma dove…quando…) è frutto… di cosa? Di una allucinazione? Ma, di chi? O è successo in una sequenza spazio temporale alternativa, ubiqua a quella del flusso della vita, della Storia normale? 

Interrogativi tipici di una certa fantascienza, che però richiamano anche alla memoria la trama di un bellissimo romanzo di Adolfo Bioy Casares, Il sogno degli eroi, pubblicato dall’amico di Borges nel 1954.
È la trama di un film americano del 2001, arrivato in Italia solo nel 2004, e toccato da uno strano destino: “opera prima” del suo autore, presentato al Sundance Film Festival del 2001, è stato uno dei film più apprezzati del festival.

Distribuito negli USA subito dopo l’11 settembre, a causa della scena in cui il motore di aereo precipita sulla villetta di Donnie, sparì presto dalle sale. Il passaparola attraverso il web lo ha trasformato poi in un cult per gli adolescenti che nella grande provincia americana si ribellano al sistema scolastico.    
A cavallo fra science fiction e horror, è ambientato in una moderna periferia alla fine dell’era reaganiana, sull’orlo di un disastro – esistenziale e sociale – ampiamente annunciato.

Ed è una pellicola estremamente interessante: per l’età del regista quando lo girò, per le difficoltà di circolazione avute dopo la sua uscita – in contrasto con l’interesse scatenato fra “esperti” e fans – per la personalità del protagonista e di coloro che gli stanno intorno; alla fine per la sua capacità di esprimere alcuni aspetti della nostra epoca descrivendone un’altra, anche se apparentemente di poco precedente.

Una classica vicenda postmoderna, insomma, per le sue cadenze, e per la passione che ha innescato. Ma, soprattutto, per l’aderenza del protagonista alle identità dei giovani nostri contemporanei, con le sue pause, le sue incertezze, la sua determinazione, il coraggio mostrato nel finale.
Una grande metafora delle identità contemporanee, che continua idealmente la galleria in cui collocare Forrest Gump (personaggio dell’omonimo film di Robert Zemeckis) e Truman Burbank (personaggio del film The Truman Show di Peter Weir).        

Anche se il racconto è ambientato negli anni ’80 del secolo scorso, percepiamo infatti in Donnie – e in alcuni dei suoi amici – molti punti di contatto con gli adolescenti di oggi: è un ragazzo schivo, tranquillo, sereno in famiglia.
Insomma, Donnie Darko vive in più di un mondo, in più di un continuum contemporaneamente: quelli della sua allucinazione e della sua morte, certo, ma anche quello dei giovani e quello degli adulti, scarsamente permeabili fra loro, al di là del reciproco affetto, dei forti legami, della sicurezza e dell’accoglienza che la sua famiglia gli assicura – e della confidenza che lui ha con i suoi.
Mondi che si toccano, scorrono parallelamente, ma che si intrecciano di rado, come se gli adolescenti avessero una loro vita spontaneamente segreta, iniziatica, esoterica, fatta di interessi e valori che – presumono – i “grandi” non possono percepire, capire, condividere, perché semplicemente non gli danno attenzione, considerazione, senso.

E di cui il suo viaggio in un tempo/spazio alternativo non ne è che la metafora che serve a mostrarlo a noi, spettatori esterni.