LETTURE / FANTASCIENZA ITALIANA. RIVISTE, AUTORI, DIBATTITI DAGLI ANNI CINQUANTA AGLI ANNI SETTANTA


di Giulia Iannuzzi / Mimesis, Milano, 2014 / pp. 359, € 30,00


 

Il futuro visto da ieri

di Adolfo Fattori

 

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La storia della fantascienza in Italia, il suo arrivo, il suo “battesimo”, le sue fortune e sfortune, la sciatta, pigra e arrogante disattenzione della ricerca accademica e per opposizione la frenetica e spesso integralista “militanza” degli appassionati e degli operatori del settore, sono uno dei terreni più fertili per lavorare all’analisi contemporanea dello sviluppo dell’industria culturale nel nostro paese, per cui, sfogliando lo studio di Giulia Iannuzzi, viene da dire “Finalmente!” per l’approccio distaccato e contemporaneamente rispettoso per l’oggetto dell’analisi che l’autrice ha messo in opera per organizzare e dar conto dell’oggetto del suo lavoro.

Intanto, la ricercatrice parte – per chiarire il suo approccio – da una definizione di “genere narrativo” richiamata anche nelle note di copertina, e quindi, per inclusione, della science fiction, che li colloca pienamente all’interno delle dinamiche e delle tensioni che si articolano fra tutti gli attori in gioco: “In altre parole, il genere non è qualcosa che esiste in sé, ma una costruzione fluida, a cui concorrono asserzioni e pratiche diverse, anche contraddittorie, messe in gioco da scrittori, editori, distributori, operatori del mercato, lettori, fan, critici, insomma da tutti gli attori implicati nella produzione, circolazione e ricezione dei testi”.

In pratica, afferma Iannuzzi, piuttosto che di una definizione fondata solo sulle convenzioni formali e contenutistiche dei singoli prodotti, che li isola dalle dinamiche all’interno delle quali questi si collocano, abbiamo bisogno di guardare al nostro oggetto come centro e risultato dei rapporti complessivi che questo intrattiene con l’intero mercato, con i bisogni dei lettori, con le rivendicazioni di autorialità e professionalità degli scrittori, con i vincoli di mercato e di pubblico che gli editori devono rispettare e far rispettare da coloro con cui operano.

Poi, circoscritta la sfera di suo interesse, coinvolge il lettore nel lungo viaggio nel tempo in cui si è imbarcata per ricostruire un percorso che dura circa trent’anni (dai primi anni Cinquanta agli ultimi Settanta del Novecento) e che – crediamo – interessi la fase più ricca della penetrazione e dell’affermazione del genere nel nostro paese, quello che va dal momento in cui Giorgio Monicelli diede un nome italiano alla science fiction fino al momento in cui si produsse – all’interno della crisi complessiva dell’editoria che investì l’Italia – la crisi della fantascienza, almeno di quella diffusa attraverso i periodici da edicola.

L’esplorazione di Giulia Iannuzzi parte quindi, dopo aver accennato alla breve stagione dei due “prototipi” Scienza fantastica e Mondi nuovi, dalla nascita nel 1952 dei Romanzi di Urania come creatura di Giorgio Monicelli e della Mondadori – e dal conio da parte del primo del termine fantascienza, anzi “fanta-scienza” – per passare da Urania, a I Romanzi del Cosmo della Ponzoni, a Oltre il Cielo, Galassia, Futuro, fino ad approdare alla forse unica vera rivista, nelle forme e nell’organizzazione di science fiction italiana, quel Robot di Vittorio Curtoni e dell’Armenia editrice che rappresentò negli anni Settanta del secolo scorso il punto di approdo più interessante e significativo dal punto di vista editoriale e di pubblico nella diffusione del genere in Italia – e della sua chiusura in corrispondenza della crisi che colpì l’intero circuito di produzione, distribuzione e consumo del libro in quegli anni.

Il lavoro della ricercatrice procede su vari piani, che si intrecciano e si combinano fra loro proponendo un quadro che mette in luce l’idea che gli operatori del settore avevano del genere, permettendo di confrontarla con l’immagine che gli stessi si facevano del pubblico, delle sue caratteristiche, del compito che se stessi e autori avevano nei loro confronti, e naturalmente della dinamica – spesso non lineare – che si creava fra scrittori, operatori delle riviste, editori, agenzie letterarie, fandom – e cultura istituzionale – offrendo così a noi lettori una panoramica pressoché completa dell’intera vicenda, che permette di inquadrarla dentro l’evolversi dell’industria culturale italiana nel suo complesso, fra residui dell’epoca fascista ed emergenze provenienti prima di tutto dagli Usa.

Il discorso della Iannuzzi avanza su diverse direttrici intrecciate fra loro. Intanto, un rigoroso e sistematico lavoro di archivio, a caccia di interviste, testimonianze, scambi di opinioni, proposte, comunicazioni fra i promotori della diffusione della fantascienza (direttori, curatori, redattori delle riviste), gli editori, gli agenti letterari, gli aspiranti autori, i traduttori, svelando il tessuto di relazioni e di contrasti che si creava fra i vari attori. Ancora, i punti di vista dei direttori e dei redattori sullo statuto del genere, la sua collocazione all’interno dell’universo della letteratura e delle sue prospettive di crescita e di diffusione.

Poi, la ricognizione dei numeri delle riviste, materiali la maggior parte dei quali di difficile reperimento – altro lavoro complesso e articolato – per dar conto della qualità di scrittura degli autori, delle scelte editoriali dei curatori, degli interventi del pubblico e quindi delle istanze che esprimeva, che – e in questo Giulia Iannuzzi conferma una nostra vecchia impressione – spesso prendevano in contropiede gli operatori del settore.

Ancora, attraverso il puntuale riassunto della lettura di molti dei romanzi e dei racconti che sono apparsi nelle pubblicazioni consultate, Iannuzzi ci offre l’occasione per esplorare le tematiche chiave che si sono avvicendate, i debiti nei confronti della narrativa di riferimento, i tentativi di cercare e affermare una propria originalità di scrittura e di idee, i – pochi, a dire il vero – picchi e i – molti – fallimenti degli autori italiani.

Su tutto emergono un paio di nodi che sono alla radice della storia della science fiction italiana, e che sembrano ancora animare – in tempi in cui il formato “rivista da edicola” forse non è più la punta di diamante del ciclo di vita della fantascienza, ma è sostituito o almeno affiancato dal volume da libreria e dalla migrazione sul Web di molto di ciò che si produce e distribuisce (narrativa e dibattiti) – la parte più “militante” e rivendicativa della galassia fantascientifica: il riconoscimento artistico da parte della cultura ufficiale, l’attenzione aziendale della grande editoria.

Scorrendo il volume si riconosce l’evolversi dell’approccio alla science fiction che gli operatori italiani hanno avuto: i tentativi periodici di promuovere una scuola italiana di autori – e poi la diffidenza della coppia Fruttero&Lucentini nella loro lunga stagione di curatori di Urania nei confronti di questa eventualità; la commistione spesso sfiorata fra l’impianto della fantascienza e generi o sensibilità vicine – come l’horror, il fantasy, il fantastico, fino a ambiti estranei ai generi come l’ufologia, l’esoterismo e altro; il procedere lento ma sicuro, almeno per gli operatori di seconda o terza generazione come Gianni Montanari o Vittorio Curtoni, di una impostazione, di una premessa tacita che connetteva fantascienza, progressismo, qualità letteraria – forse per il tratto di proiezione al progresso e al futuro rivendicata dal genere sin dalle origini – e per quell’aura di libera anticipazione che il genere poteva ispirare e che veniva sostenuta da molti operatori e da una certa parte del pubblico dei lettori e degli appassionati – circostanza cui la giovane ricercatrice milanese accenna, seppur quasi sottotraccia.

È d’altra parte un dato di fatto che l’esplosione delle vendite delle narrazioni fantascientifiche coincise con quel periodo – la sua onda lunga, potremmo dire – che seguì il Sessantotto (cfr. "Quaderni d'Altri Tempi" n. 14), che vide un aumento complessivo delle vendite di libri, riviste, giornali da parte di un pubblico giovanile in crescita, spesso impegnato, che coniugava impegno o comunque attenzione alla politica, ascolto della musica giovanile, letture di saggistica e di narrativa – e, per quest’ultima, di molta fantascienza. Non è probabilmente casuale che proprio in quegli anni nascano nuove case editrici specializzate e si rafforzino di molto quelle già esistenti.

Il merito di Fantascienza italiana è insomma nel rigore con cui l’autrice esplora tutto il campo che ha scelto per l’analisi, e quindi nella completezza dei dati e degli eventi che illustra, che aprono quindi ad ulteriori analisi, e che ci permette una riflessione, per così dire, “meta”, una conferma a quello che sosteniamo da tempo: che la conoscenza degli oggetti culturali di massa passa prima di tutto attraverso il loro riconoscimento come merci estetiche, che da questo punto di vista agli occhi dell’analisi scientifica non ci sono gerarchie fra i prodotti, che è necessario tener separate passioni – o, al contrario, preconcetti – dal lavoro di riflessione e ricerca, cosa che il fandom continua a far fatica ad accettare, insistendo nel perseguire rivendicazioni e recriminazioni che non hanno senso fin quando rivolgendosi in apparenza all’accademia in realtà sono dirette al mercato, cioè, in ultima analisi a chi assicura il finish dell’opera d’arte, il lettore. E questo, naturalmente, vale anche per la narrativa di science fiction (cfr. "Quaderni d'Altri Tempi" n. 40).

Arrivati quindi agli anni Settanta, ci aspettiamo presto un “secondo volume” di questo apprezzabile lavoro.