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LETTURE / SOLARIS


di Stanislaw Lem / Sellerio, Palermo, 2013 / pp. 328, € 14,00


 

Ulisse alle prese con le stringhe

di Roberto Paura

Nonostante fosse notoriamente ateo, com’era del resto comune per gli scrittori dell’allora blocco sovietico, anche per quelli non troppo a loro agio con l’ideologia di Mosca, nel suo capolavoro Solaris il polacco Stanislaw Lem sembra avvicinarsi molto a quel pensiero cristiano – un cristianesimo fondamentalista – che Dante Alighieri espone nel raccontare, nel celebre XXVII canto dell’Inferno, l’ultimo viaggio di Ulisse. Quel limite estremo della conoscenza umana che Dio ha imposto agli uomini, rappresentato idealmente, nel mondo medievale, dall’invalicabilità delle colonne d’Ercole, ritorna in Solaris proiettato in un contesto fantascientifico in cui le nuove colonne d’Ercole sono quelle del sistema solare. Oltre queste c’è appunto Solaris, il misterioso pianeta coperto da un oceano senziente che orbita intorno a due stelle, riuscendo a modificare la stessa struttura dello spazio-tempo per evitare che la duplice attrazione gravitazionale finisca per far cadere il pianeta nella fornace del sole più vicino. È il primo caso di vita apparentemente intelligente in cui l’umanità si imbatte nella sua esplorazione della galassia; eppure, è un caso incomprensibile.

Romanzo famosissimo ben oltre i limiti della fantascienza, grazie anche a due trasposizioni cinematografiche – una sovietica, quella di Andrej Tarkovskij, e una più recente americana, quella di Steven SoderberghSolaris continua a ergersi come silenzioso monito per la nostra civiltà superbamente protesa nella conquista infinita della conoscenza. Riedito da Sellerio in una traduzione più fedele all’originale polacco – un po’ impropriamente definita “traduzione integrale” – si dimostra assolutamente in grado di resistere alla prova del tempo (fu pubblicato nel 1961) e anzi, riletto oggi acquista una maggiore attualità. Quando fu scritto da Stanislaw Lem, non solo non si sapeva nulla dell’esistenza di altri pianeti al di fuori del sistema solare – cosa che comunque non impedì mai agli scrittori di fantascienza di immaginarne a bizzeffe – come oggi è ormai dimostrato dalle scoperte quotidiane di nuovi sistemi planetari, ma si ipotizzava che non potessero esistere pianeti abitabili intorno alle stelle doppie. Oggi ci mancano conferme dell’esistenza di pianeti simili alla Terra, ma le teorie sull’abitabilità dei pianeti intorno a sistemi doppi o tripli sono state riviste, proprio come immaginava Lem. E ancora, i misteriosi neutrini, di cui sono fatti gli ospiti che compaiono sulla stazione scientifica posta nell’atmosfera di Solaris, sono molto più d’attualità oggi rispetto a cinquant’anni fa.

La vera modernità di Solaris non sta tuttavia nelle cognizioni scientifiche che Lem dimostrava – o anticipava – ma nella sua capacità di porre un problema che all’epoca nessuno si poneva e che invece oggi si aggira come uno spettro inquietante nella comunità scientifica (e filosofica) internazionale. È il problema dei limiti della conoscenza scientifica, dei limiti della ragione: un problema che a più riprese è stato sollevato nella storia della filosofia, da Blaise Pascal a Immanuel Kant, ma che solo negli ultimi anni comincia ad assumere dei contorni più definiti. Le premesse erano state gettate fin dagli inizi del XX secolo: il principio di indeterminazione di Heisenberg, il limite posto dalla velocità della luce nella teoria della relatività di Albert Einstein, il teorema di incompletezza di Kurt Gödel, le questioni riguardo i limiti della logica poste da Bertrand Russell e Alan Turing. Ovunque, sembravano sorgere delle barriere invalicabili per la conoscenza umana. Non potremmo mai sapere cosa c’è oltre i confini dell’universo conosciuto, quello osservabile dalla nostra posizione e limitato dall’insuperabilità della velocità della luce, così come non potremo mai conoscere con esattezza allo stesso tempo la posizione e il moto di una particella quantistica. In comune, questi limiti avevano un quesito che ponevano agli scienziati impegnati nel superarli: solo ciò che è osservabile, che è direttamente esperibile, è scientificamente vero?

Una domanda che riempie le pagine di Solaris. Gli ospiti che ossessionano i membri della base sospesa nel cielo sono reali o frutto di pura immaginazione? È quel che i protagonisti cercano disperatamente di scoprire, sottoponendoli a una vasta batteria di esperimenti, senza ottenere alcun risultato definitivo. Ci sono, ma non dovrebbero esserci. Sono al confine tra la realtà e l’irrealtà, costituendo difatti una sfida insormontabile. Uno dei momenti più interessanti del romanzo è quello in cui il protagonista, Kelvin, che è uno psicologo, si chiede in che modo sia possibile dimostrare incontrovertibilmente a se stesso di non essere preda di un’allucinazione o di un sogno. Inizialmente si convince che non sia possibile, perché la realtà è dopotutto il frutto di un’elaborazione del nostro cervello, per cui non esistono strumenti per analizzare il mondo dal di fuori di noi stessi. Poi, rigettando questo solipsismo che costituisce un evidente limite alla capacità cognitiva dell’essere umano, ha un’idea: chiede al satellite in orbita intorno al pianeta di fargli dei calcoli astronomici, mentre al contempo prova a compierli a sua volta utilizzando le tabelle che ha a disposizione. Prevede quindi che, una volta confrontati, i dati debbano essere identici fino alla quarta cifra decimale, mentre differirebbero solo dal quinto valore decimale, poiché il satellite è in grado di effettuare anche calcoli sulle variazioni gravitazionali che lui non può svolgere. L’esperimento riesce, e Kelvin si convince che ciò che sta vivendo è reale. Scopre quindi che anche altri prima di lui hanno compiuto esperimenti del genere per giungere alla stessa conclusione. Alla base del ragionamento ci sono due concetti-chiave della scienza, quelli della prevedibilità e della replicabilità. Una teoria scientifica è valida se può portare a previsioni verificabili sperimentalmente e se questi esperimenti sono replicabili da altri, alle stesse condizioni. L’esperimento che tenta Kelvin risponde a questi requisiti: da qui la sua convinzione che quel che sta vivendo sia reale.

Eppure, negli ultimi anni questi solidi pilastri che sorreggono la conoscenza scientifica hanno cominciato a scricchiolare, allo stesso modo in cui le robuste fondamenta della solaristica – la disciplina inventata da Lem che studia l’enigma Solaris – cedono sotto il peso della mancanza di qualsiasi risultato. Una teoria in particolare, quella delle stringhe, oggi di moda nella fisica, sembra avere moltissimi tratti in comune con la solaristica di Lem. Sviluppata nel corso degli ultimi quarant’anni, si è posta l’obiettivo di giungere, attraverso un poderoso sforzo immaginativo sorretto da una complessa matematica, al Santo Graal della scienza: la cosiddetta “teoria del tutto”. Eppure, nonostante la teoria si possa ormai definire completa a grandi linee, non ha mai prodotto previsioni verificabili. Ciò in quanto le premesse teoriche delle stringhe sembrano essere al di là di una qualsiasi verificabilità sperimentale. Le stringhe stesse, che dovrebbero essere i componenti ultimi della materia, innumerevoli volte più piccole dei quark, non possono essere viste nemmeno nei più potenti acceleratori di particelle, perché la loro dimensione si avvicina alla lunghezza di Planck, che rappresenta un limite invalicabile nella regressio ad infinitum della fisica delle particelle. La previsione riguardo l’esistenza di dimensioni addizionali alle tre (o quattro) che esperiamo quotidianamente potrebbe, secondo i teorici delle stringhe, rivelarsi inverificabile. E così anche l’ipotesi riguardo l’esistenza di altri universi, il cosiddetto “multiverso”. Come scrive Brian Greene, uno dei più importanti stringhisti viventi, la teoria delle stringhe, “nonostante tutti i suoi progressi, è ancora un’impresa esclusivamente matematica”, ammettendo che il “confronto con i dati, osservativi o sperimentali”, che resta “l’unico modo per stabilire se la teoria delle stringhe descrive o meno la natura nel mondo corretto”, resta un obiettivo “irraggiungibile” (Greene, 2012).

Stringhisti e solaristi hanno diversi punti in comune. I loro studi si moltiplicano. Le loro pubblicazioni occupano intere biblioteche. In Solaris, a più riprese Kelvin consulta gli studi di solaristica nella biblioteca della stazione, descritti da Lem come enormi e ponderosi volumi, spesso divisi in più tomi, impegnati nello sviscerare le teorie più improbabili e nell’elencare e descrivere un infinito numero di osservazioni slegate tra loro. Di fronte a quell’enorme e vuoto accumularsi di ipotesi e indizi, i solaristi – come gli stringhisti – sono nel romanzo ormai sul punto di gettare la spugna. Kelvin sfoglia un compendio enciclopedico delle teorie solaristiche, vecchio di vent’anni: “Consultai l’indice dei nomi, che elencava alfabeticamente gli autori citati, ed era come scorrere un’anagrafe mortuaria; pochi erano ancora vivi e nessuno, fra questi, si dedicava più allo studio attivo di Solaris”. E giunge poi a una convinzione: “Di fronte a quella profusione di pensiero, spesa in tutte le direzioni, si rimaneva impressionati: qualcuna delle ipotesi doveva certo contenere una briciola di verità: non era possibile che la realtà fosse completamente diversa”. È la stessa fede che, decenni più tardi rispetto al romanzo di Lem, anima gli stringhisti. “È troppo bella per non essere vera”, ripetono nei loro saggi. La verità matematica che sorregge la teoria è troppo affascinante per essere del tutto campata per aria. Deve pur nascondere una qualche verità. Secondo Greene, la teoria, “che costituisca o meno un approccio corretto al problema della descrizione dell’universo fisico, ha già dimostrato di essere uno strumento potente per indagare l’universo matematico” (ibidem). Ne è convinta anche Lisa Randall, celebre fisica delle particelle: “La maggior parte degli scenari previsti dalla teoria delle stringhe (…) non avrà dunque riscontro sperimentale, anche se la descrizione della realtà in termini di stringhe è corretta” (Randall, 2006).

Atti di fede, insomma, esattamente come quelli che portano Kelvin, in Solaris, ad accettare l’enigma posto dal pianeta-oceano e dalle sue “creazioni F”: non è possibile comprendere cosa siano e soprattutto perché siano lì, ma ci sono, e vanno accettate. Nel procedere della storia, la corazza scientista condivisa dai diversi protagonisti, e incarnata soprattutto dal dottor Sartorius, che per mantenere la lucidità continua a disquisire con i colleghi come da “un traballante podio per conferenze”, viene meno. Kelvin finisce addirittura per elaborare una sua nuova teoria di Solaris, lontana dalla scienza e della sua verificabilità, ma di natura teologica: l’oceano pensante è un Dio immaturo e imperfetto, che impara lentamente, come un neonato, baloccandosi con le nuvole dell’atmosfera e gli abitanti della stazione d’osservazione. Kelvin accetta Solaris e le sue creazioni come un atto di fede, definendole “miracoli” e rinunciando alla loro comprensione razionale, esattamente come un autore di uno dei libri sulla solaristica che sfoglia in biblioteca: “La solaristica – si legge nell’Introduzione alla solaristica di Muntius (uno dei tanti esempi del genio di Lem nell’arte della pseudobiblia, che raggiunge l’apice nel suo Vuoto assoluto) – è un succedaneo di religione dell’era cosmica, una fede che riveste i panni della scienza; il Contatto, suo fine supremo, è altrettanto oscuro e nebuloso quanto la Comunione dei Santi o la venuta del Messia (…). La solaristica è figlia postuma di miti da tempo defunti, una rifioritura di nostalgie mistiche che le labbra degli uomini non osano proferire apertamente ad alta voce, e il suo fondamento, profondamente nascosto, è la speranza della Redenzione…”.

Del resto, cos’è l’accettare una teoria scientifica in mancanza di prove empiriche, se non un atto di fede? “Uno dei punti che appassiona gli stringhisti è il fatto che la teoria è magnifica, o elegante”, scrive Lee Smolin, fisico della gravità quantistica e storico oppositore delle stringhe. “È una sorta di giudizio estetico su cui si possono avere opinioni discordanti (…). In ogni caso, non ha alcun ruolo in una valutazione oggettiva dei successi della teoria… È capitato più di una volta di scoprire che una teoria magnifica non avesse nulla a che fare con la natura” (Smolin, 2007). Probabilmente è così anche per la teoria del Dio imperfetto di Kelvin: a lui non interessa dimostrarla, sa che non è possibile. Ma, dopo tutto, cosa la rende diversa dalle centinaia di altre teorie che affollano gli scaffali della biblioteca della stazione e dell’Istituto di solaristica? Kelvin, nel romanzo, ricorda un giorno in cui una ragazzina, in visita all’Istituto con la sua classe, alzò gli occhi verso gli scienziati impegnati nel mostrar loro ripiani colmi di microfilm e studi su Solaris e chiese: “A che serve?”. E Kelvin ricorda che nessuno riuscì a dare una risposta corretta. “Noi partiamo per lo spazio preparati a tutto, cioè pronti al sacrificio, alla solitudine, alla lotta, alla morte”, esclama Snaut, compagno di sventure di Kelvin sulla stazione. “Per modestia, non lo diciamo ad alta voce, ma lo pensiamo dentro di noi di tanto in tanto: pensiamo di essere eccezionali (…). Non abbiamo nessuna voglia di conquistare il cosmo, noi vogliamo soltanto allargare fino ai suoi ultimi confini le frontiere della Terra”. Ed è proprio questo il peccato di cui si macchiano i protagonisti di Solaris, lo stesso peccato di cui, secondo Dante, si macchiò Ulisse: non voleva davvero “seguire virtute e canoscenza”, ma sfidare i limiti imposti da Dio. Ulisse/Kelvin vanno incontro allo stesso destino, inghiottiti dall’oceano che li sommerge senza scampo, con l’indifferente invincibilità della natura, “infin che ’l mar fu sovra noi richiuso”.

 


 

LETTURE

  Alighieri Dante, la Divina commedia, Milano, Hoepli, 1993.
Greene Brian, La realtà nascosta, Einaudi, Torino, 2012.
Lem Stanislaw, Vuoto assoluto, Voland, Roma, 2010.
Randall Lisa, Pasaggi curvi, il Saggiatore, Milano, 2006.
Smolin Lee, L’universo senza stringhe, Einaudi, Torino, 2007.

 

VISIONI

Soderbergh Steven, Solaris, Koch Media, 2012.
Tarkovskij Andrej, Solaris, Cecchi Gori Home Video, 2012.