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APOCALISSE NEOTERICA


di Adolfo Fattori e Gennaro Fucile


 

“Benvenuti nel deserto del neoterico!” scrivevamo qualche anno fa ricordando il “Sessantotto” ( www.quadernidaltritempi.eu/numero14), cercando di individuare con questo termine quella miscela di discorsi, pratiche, credenze, tendenze che sembrano sostanziare la “visione del mondo” della nostra epoca, fatte di riflessi più o meno distorti di teorie scientifiche banalizzate, psicologia d’accatto, tecniche di “autoaiuto”, pulsioni etiche, emergenze “etniche”, sociologismi, pratiche salutiste, esoterismi da salotto, derive di slogan politici e quant’altro emerso da quegli anni, e poi rimescolato e shakerato sotto l’ombrello effervescente dell’avanzante egemonia della Rete. Fine delle differenze, delle distinzioni, delle gerarchie e delle classificazioni.

Insomma, una nuova dimensione della “cura di sé”, della costruzione della propria identità che non sdegna di prendere laddove conviene, al di là del marchio o dell’etichetta. È ciò che i credenti stigmatizzano come “relativismo etico”, e i sociologi definiscono “pluralismo”. Ed è da lì che è cominciata la fine del mondo, quello moderno. Il significato originario del termine, come ci ricorda Michel Maffesoli in Apocalisse Rivelazioni sulla società postmoderna, ha a che fare con “rivelazione”, “trasformazione”, distruzione e ri-creazione. Come secondo David Harvey è d’altra parte nella natura del capitalismo, immensa forza distruttrice e insieme creatrice.

 

Fine del tempo e dello spazio, nella dimensione assoluta e infinita del Web e del mercato. Per certi versi, la “supremazia del codice” di cui scriveva Jean Baudrillard, passando nel migliore dei casi per visionario, nel peggiore, e più frequente, per venditore di fumo, già negli anni Settanta del secolo scorso ragionando sulla logica della simulazione che pareva affermarsi fino a sostituire quella dello scambio economico. In realtà, col senno di poi, possiamo dire che il francese – da apocalittico conseguente – sbagliava, ma solo a metà. Il mercato, il capitalismo, è riuscito anche nell’impresa di sussumere a sé la logica del codice mettendolo al servizio della logica dello scambio economico, elevando al grado infinito la legge di equivalenza generale delle cose sotto il segno del denaro. Riducendo così i valori, tutti, a valore di scambio. Anche le cose più immateriali: passioni, pulsioni, gusti, doveri, diritti. Tanto che davvero diventa “più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo”, (Fisher, www.quadernidaltritempi.eu/ancore06). In parallelo, l’individuo nato con la modernità si disancora, si perde, si disfa. Tanto da indurre a discutere di fine del soggetto nato con la modernità occidentale. E, difatti, il mondo che percepiamo, quello dato-per-scontato, finisce continuamente, sistematicamente, insieme alle piccole morti quotidiane delle identità, delle abitudini, dei valori, delle coerenze, conoscendo una perenne apocalisse in quella dimensione di “reincanto del mondo” che, col declino della certezza di poter costruire “la propria vita” come scrive Ulrich Beck, e un mondo “a misura d’uomo”, di progettare un futuro a lungo termine, di dare senso al mondo, sembra recuperare laicizzandola al ribasso quella dimensione della sfera del sacro che rimanda al Destino, al Fato, alla Fortuna, e che ci permette di riprendere a narrarci a noi stessi, e di dare una forma alle incertezze, allo sradicamento, alla vertigine del tempo presente.

 

Fenomeno non nuovo, d’altra parte, visto che, dopo aver scritto della “piccola apocalisse viennese” che segnò l’alba della Finis Austriae, Hermann Broch ne scriveva più tragicamente a ridosso dell’esplosione di una vera apocalisse, quella rossa di sangue del nazismo, vagheggiando un ritorno alla sacralità del medioevo germanico, con accenti simili a quelli che apparterranno alla galassia New Age. Di cui, se vogliamo cercare la cifra essenziale, il luogo – anzi il vuoto (cosmico) – in cui precipita tutto il “sentire” dell’apocalissi neoterica, forse potremmo trovarlo nell’astrologia, che ha accompagnato la vita quotidiana lungo tutta la parabola del moderno, conoscendo un picco negli ultimi trent’anni, facendo da battistrada ad una “sensibilità” che non può non essere attratta, sedotta dalla dimensione del millenarismo, del reincanto, da qualsiasi fonte vengano le risposte che cerca. 
Così, dopo le periodiche sortite di qualche esegeta di Nostradamus o di qualche fondamentalista religioso, vanno bene anche i glossatori della presunta apocalisse Maya, seppur ridotta a materia per dépliant pubblicitari, o a esercizio numerologico, di cui si è nutrita qualche mese fa l’aspettativa popolare. Una richiesta di sacro insoddisfatta, a sua volta riflesso di un bisogno di rassicurazione che il moderno non è più capace di offrire, e che cerca nelle palingenesi da happy hour il suo esito, il suo traguardo. L’apocalisse forse è in questo scollamento da se stessi e dal reale, apocalisse del senso, del progetto, della consapevolezza.
Benvenuti nel reale neoterico!