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LETTURE / IL MISTERO DI MARIA


di Salvatore Patriarca / Mimesis, Milano-Udine, 2012 / pp. 140, € 12,00


 

L'umano dentro la tivù che ci guarda

di Tito Vagni

Solamente se si tiene conto della natura umanizzata della televisione – così come degli altri media che l’hanno preceduta – e della natura televisiva dell’uomo contemporaneo, è possibile dialogare con il testo di Salvatore Patriarca, Il mistero di Maria. L’autore ha studiato tre programmi di lungo corso della televisione commerciale italiana che hanno come denominatore comune la conduzione – ma anche la scrittura – di Maria de Filippi, riuscendo a isolare alcuni motivi dell’antropologia contemporanea, tra questi basti qui riferirsi all’affermazione dell’“autorità orizzontale”. Qualche considerazione generale sulla televisione ci appare però necessaria prima di entrare nel merito del libro.

Le leggi della fisica eleggono l’occhio a organo supremo della comunicazione televisiva. La sua meccanica è la condizione di possibilità dello scambio di informazioni tra l’uomo e il piccolo schermo, perché senza tale sofisticato recettore la televisione sarebbe, al pari della radio, solamente una voce oscura. Al contrario, tale strumento aggiunge all’invenzione di Marconi l’abilità fotoelettrica di trasformare la luce in elettricità e, viceversa, quella fluorescente, grazie alla quale l’elettricità torna ad essere nutrimento dell’occhio umano. Se non v’è dubbio che esista una liturgia biodinamica nel passaggio di un’informazione dallo schermo all’occhio, è anche vero che la comunicazione non si esaurisce nel contatto elettronico, ma determina un coinvolgimento complessivo del corpo umano, che viene modificato fisicamente e intimamente dalla trasmissione televisiva. L’occhio è l’organo del sentire, che riconfigura la propria facoltà percettiva secondo l’ambiente in cui esso ha luogo, “lo stampo nel quale l’esperienza generale viene plasmata” (Williams, 1968). L’occhio, proiettato su un panorama riconfigurato, non smette di vigilare su sagome, contorni, movimenti, ma attribuisce loro valori e significati innovativi; la sua percezione è come filtrata da una lente che precede ogni stimolo visuale. La relazione tra l’occhio e la televisione non è unidirezionale, non vi è vincolo di determinazione tra l’uno e l’altro elemento, si tratta invece di reciprocità vitale: le immagini della televisione possono essere captate solamente dall’occhio, ma quest’ultimo muta la propria facoltà percettiva assecondando le discontinuità della vita. La televisione dunque, pur occupando un luogo fisico altro rispetto a quello dello spettatore, non può essere considerata una tecnologia esterna; essa, al contrario, a partire dalle prime sperimentazioni degli anni Trenta è stata interiorizzata dall’uomo che se ne è fatto immediatamente incantare e plasmare. Come David Cronenberg lascia dire al Prof. Oblivion in Videodrome: “Lo schermo televisivo è oramai l’unico occhio della mente umana” (2002). Non un oggetto da conoscere e dominare per utilizzarlo nel modo più efficace possibile, ma una tecnologia incarnata, che influenza i comportamenti dell’uomo per tutta una serie di cambiamenti tecnici che si trasformano in maniera quasi automatica in altrettante mutazioni culturali.

Si pensi allo scrittore statunitense David Foster Wallace (1999) che, per sua stessa ammissione, cercava di conoscere il suo mondo attraverso lo schermo televisivo, unico luogo in cui si potevano comprendere i tratti essenziali della famiglia americana media. La medietà dell’exemplum, in questo caso, non è rappresentata dalla capacità di uno sceneggiatore o di un autore di sintetizzare in un personaggio i caratteri ricorrenti della personalità contemporanea. Al contrario, la televisione può dare forma a certi caratteri, modellando i comportamenti, gli atteggiamenti, lo stile di un individuo. Vedere la televisione rende medi, ovvero prevedibili, individuabili, inseriti in una comunità di auditori e veditori che magicamente assume tratti comuni. Civilizzati. Tale considerazione è priva di ogni giudizio di merito sulle qualità della tv, perché persino sul romanzo ci si potrebbe esercitare in identiche considerazioni. In questo caso è lo Stendhal de Il rosso e il nero a suggerirci che i lettori francesi dell’Ottocento, coinvolti in una storia d’amore, finivano per assumere comportamenti e compivano mosse prescritti dalla propria formazione letteraria, con il risultato di essere scontati e prevedibili, a differenza degli abitanti della provincia e degli incolti che, in ragione del proprio analfabetismo e della scarsa frequentazione di letture formative, potevano salvaguardare schegge preziose della propria ingenuità e innocenza, preservando una certa verginità e spontaneità, a scapito della possibilità di accedere alla vita elegante e ai suoi rigidissimi canoni. I comportamenti amorosi avevano uno specifico percorso formativo, che poteva passare per i libri o attraverso dei precettori che già ne avevano fatto larga esperienza. Il protagonista del romanzo stendhaliano, Julien Sorel, apprese l’ars amatoria da Madame de Rênal, che grazie alla propria condizione aristocratica aveva appreso l’amore dai romanzi. Anche il libro, sebbene goda di maggior prestigio e autorevolezza presso l’opinione pubblica, agisce esattamente come la televisione, orientando i suoi pubblici verso dei comportamenti prevedibili e uniformati. Medi.

Tornando a Il mistero di Maria, secondo Patriarca il programma televisivo Amici “offre una rifigurazione litigiosa e contestatrice di un processo in atto: la rottura del nesso conoscenza-autorità, che sta trasformando le forme di relazione interpersonale”, ne consegue “l’annullamento della gerarchia in ambito relazionale”. Quello che scrive l’autore dopo un’attenta osservazione del prodotto televisivo è sicuramente reale. I meccanismi di funzionamento della trasmissione e le tecniche narrative consentono questo genere di riflessione. Da un punto di vista mediologico però, non si può misconoscere il contributo degli studi di Joshua Meyrowitz che in Oltre il senso del luogo, analizzando l’influenza dei media elettronici sulla società – siamo nei primi anni Ottanta – aveva già intuito che uno dei cambiamenti essenziali prodotti dalla tv, e già ampiamente riscontrabili nella vita quotidiana, era il declino dell’autorità.

 

I ruoli della gerarchia si sono capovolti non solo per la perdita del controllo esclusivo sulle conoscenze che riguardano direttamente le funzioni di ruolo (per esempio, per un medico, i dati medici), ma anche per la fusione di situazioni pubbliche e private. I ruoli gerarchici, più di qualsiasi altro ruolo sono condizionati dalla misura in cui gli attori riducono l’accesso alle loro vite private. Gran parte dell’attività umana è comune a tutti gli individui. Se le persone di status sociale superiore non riescono a separare questo comportamento dalle azioni di status in primo piano, sembreranno ancora più simili a chiunque altro (Meyrowitz, 1995).

 

Probabilmente è vero, come scrive Patriarca, che i programmi televisivi di Maria de Filippi hanno il pregio di “penetrare e descrivere alcuni snodi essenziali del vivere collettivo caratteristici del tempo attuale”, ma questo genere di conclusione – sebbene più interessante di tanta critica e ricerca sulla televisione – non tiene conto adeguatamente della televisione in quanto forma culturale. Il ragionamento sarebbe più convincente se impostato in maniera inversa. Maria de Filippi non dovrebbe essere intesa come soggetto capace di percepire in anticipo e con particolare sensibilità i fremiti del tessuto sociale – come accade solo all’élite culturale di una comunità. La presentatrice andrebbe intesa piuttosto come una profonda conoscitrice del mezzo televisivo, di cui comprende perfettamente i meccanismi di funzionamento e costruisce, di conseguenza, dei programmi in grado di esaltarne i punti di forza. L’esempio del declino dell’autorità potrebbe aiutare a spiegare la necessità di tale capovolgimento di vedute. La televisione, per il semplice fatto di essere al centro della vita domestica e di aver penetrato la vita privata, rende personaggi dello schermo delle persone “a portata di mano”, di cui non si conoscono più solamente gli aspetti pubblici, ma si alimentano continuamente indiscrezioni e informazioni riguardanti la sfera personale dell’abitante dello schermo. La distanza tipica della comunicazione cinematografica, quella che consentiva ad un personaggio di divenire una stella inimitabile e irraggiungibile, si riduce sensibilmente con l’ingresso dello schermo nelle vita privata del pubblico e viene fatto deflagrare dalle innovazioni tecniche e narrative della neotelevisione, che “non è più uno spazio di formazione ma uno spazio di convivialità. […] Non si tratta più di trasmettere un sapere ma di lasciare libero corso allo scambio e al confronto delle opinioni” (Missika, 2007). Si pensi ai primi ingressi del pubblico nella televisione attraverso le telefonate da casa, fino ad arrivare ai reality show e alla proliferazione di programmi televisivi in cui vengono coinvolte persone comuni chiamate semplicemente a vivere sotto l’occhio di una telecamera. Trionfo di una televisione che ha perso ogni velleità pedagogica o artistica, rinunciando finalmente all’imposizione di rapporti verticali.

L’orizzontalità delle relazioni interpersonali – anche quella tra docente e discente – è inscritta nel medium fin dalle sue origini, ed è stata imposta in maniera sotterranea ma inesorabile come forma mentale dei pubblici contemporanei, minando alla base le condizioni di esistenza di rapporti gerarchicamente determinati. I programmi di Maria De Filippi non possono dunque essere intesi come una mirabile lettura e ri-produzione dell’esistente, perché tale osservazione suggerirebbe una televisione come specchio della società. Anche la tesi opposta sarebbe fallace, perché l’unica posizione condivisibile è quella secondo cui televisione e società coincidono. La televisione è la società.

La critica potrebbe essere impostata nello stesso modo anche per le altre considerazioni che l’autore propone analizzando i programmi di Maria De Filippi, ciò non toglie che, letto con i piccoli accorgimenti di cui si è scritto, Il mistero di Maria è un libro intelligente, che compie uno sforzo di interpretazione meritorio.


 

LETTURE

  Fink Donald G., Lutyens David M., The Physics of Television, Dubleday&Company, New York, 1960.
De Kerckhove Derrick, La pelle della cultura, Costa&Nolan, Genova, 1995.
McLuhan Marshall, Galassia Guttemberg, Armando Editore, Roma, 2000.
Meyrowitz Joshua, Oltre il senso del luogo, Baskerville, Bologna, 1995.
Missika Jean-Loius, La fine della televisione, Lupetti, Milano, 2007.
Stendhal, Il rosso e il nero, Garzanti, Milano, 2004.
Wallace David Foster, Tennis, tv, trigonometria, tornado, Minimum Fax, Roma, 1999.
Williams Raymond, Cultura e rivoluzione industriale, Einaudi, Torino, 1968.

 

LETTURE

Cronenberg David, Videodrome, Universal Pictures, 2002.