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ASCOLTI / MOTORPSYCHO


Concerto Sala Sidecar, Barcellona, 24 maggio 2012


 

Tutte le strade portano a Trondheim

di Livio Santoro

Ci sono certe cose, certe situazioni, che cominci ad aspettare fregandoti le mani non appena ne hai notizia; situazioni che poi difficilmente dimentichi. Magari perché le hai soltanto attese come un bimbetto attende gli ultimi di giugno che la scuola finisca e che i gelsi là fuori, sull’albero del giardino, siano dolci e maturi. Magari perché davvero si fissano al di là dell’attesa e delle aspettative.

Il giorno: 24 di maggio del 2012; il luogo: Barcellona, Ciutat Vella, Sala Sidecar. Senza troppo clamore, tre uomini un po’ inattuali si arrotolano una sigaretta seduti al tavolo tondo d’alluminio di un localino nascosto sotto i porticati di Plaça Reial; davanti a loro, proprio sul tavolino, tre bottiglie con l’etichetta rossa di una birra per la verità abbastanza scadente. Tutt’attorno, oltre gli altri tavolini vuoti, perché il localino ha ancora la serranda ammezzata, è un brulicare selvaggio di turisti apparentemente impegnati a competere per il numero maggiore di scatti fotografici non proprio originali ed eccitanti. Una fontana centrale dove qualcuno ci mette pure i piedi in ammollo a prendere il fresco che ristora dopo lunghe passeggiate di acquisti, e una fila di gente perlopiù dai capelli biondi che aspetta per entrare a nutrirsi in un posto di cui ha letto chissà dove. A dirla tutta questa scena è più che comune da quelle parti, un giorno vale l’altro e che ci vai d’estate o ci vai d’inverno ti trovi davanti sempre questo scontato e terribile quadretto, ad esclusione forse dei piedi in ammollo, che d’inverno magari è meglio restino nelle scarpe.

Perché questa introduzione? Perché ai tavolini del locale non stanno tre turisti, ma i Motorpsycho. E questa scena descritta, per quanto forse possa non sembrare, sintetizza uno dei tratti caratteristici della band di Trondheim. Niente divismo, niente tracotanza. I Motorpsycho sono lì per suonare, suonare come hanno sempre fatto. Perché la musica, in un modo o nell’altro, è il loro unico scopo. Al di là del suo nemico più grande, il capitale, la grande produzione di massa.

È dal 1989, anno della sua fondazione, che il trio norvegese (per i due terzi ancora conforme all’originaria line-up), a partire dalla tradizione che territorialmente gli appartiene, se ne va in giro per i più disparati luoghi della musica a partire, com’è ovvio che sia, dalle sponde di quello sfumato contenitore che è il rock alternativo. Per conoscere e basta, per scoprire e per suonare. In questi ventitré anni i Motorpsycho, con una foga quasi schizofrenica e talvolta irriverente, senza dubbio scarsamente consecutiva, si sono incamminati lungo le strade del suono cercando di fermarsi (ossia di appagarsi) il meno possibile. Dallo stoner e dal metal (su tutti l’album di debutto Lobotomizer, 1991, prodotto dalla norvegesissima e metallarissima Voices of Wonder: per intenderci l’etichetta che ha distribuito il disco forse più classico del black metal, De Mysteriis Dom Sathanas, nera scrittura degli “evangelisti” Mayhem, 1996, e che ha accompagnato il sorprendente, nel bene e nel male, tragitto dei The 3rd and the Mortal da Tears Laid in Earth, 1994, fino a Memoirs, 2002) verso il progressive, i Motorpsycho hanno calcato rapide incursioni nella musica da camera (The Death Defying Unicorn - A Fanciful And Fairly Far-Out Musical Fable, 2012); hanno percorso i sentieri che dalla psichedelia (per esempio in Timothy’s Monster, 1994; Trust Us, 1998; Little Lucid Moments, 2008; Heavy Metal Fruit, 2010) vanno fino a lambire le raffinate sponde del jazz (Motorpsycho & Jaga Jazzist, In the fishtank 10, 2003), attraversando anche l’heavy metal più classico (ancora Trust Us); hanno solcato le vie contemporanee del lo-fi (ancora Timothy’s Monster), per ritornare alle classiche asprezze dell’hard rock, senza disprezzare sconfinamenti, forse anche un po’ bizzarri, nello space, sempre rock, e nel pop, anche qui, sempre rock (Phanerothyme, 2001). Tutto in un progetto che di coerente ha solo il suo scopo e il suo riferimento: rispettivamente la scoperta e la musica stessa, ararne i più disparati territori, farsene pervadere totalmente ma senza essere mai stanziali. Perché quando ci si ferma da una parte, seppure si trova un terreno umido e fertile e un panorama che riempie gli occhi, a volte si rischia la secchezza, si rischia la maniera, magari la presunzione di chi crede di essere arrivato. Ma non si arriva mai. Da nessuna parte.

Ecco: i Motorpsycho, per usare un’espressione forse un po’ classica e abusata, sono dei nomadi della musica. Montano le loro tende, sfruttano con garbo quanto trovano dove hanno fatto bivacco salvo poi passare oltre. E ricominciare daccapo. Nuovamente.

Bisogna dirlo, grazie a tutto ciò è difficile, se non impossibile, trovare due (diciamo tre) album della band norvegese che strutturalmente si somiglino, che facciano dire con certezza: ascolta, ecco il tipico sound dei Motorpsycho!

Non che i tre artisti di Trondheim disprezzino i bei riferimenti, quelli consolidati e dovunque riconosciuti, della musica che toccano, figuriamoci. Esempio ne siano una passata collaborazione con Steve Albini (Child of the Future, 2009), il pater familias (altri direbbero il re Mida) di quel lignaggio un po’ pallido e vagamente opaco che è l’indie rock, un ripetuto sodalizio con i Jaga Jazzist (Let Them Eat Cake, 2000; In the Fishtank 10, decima uscita di uno dei progetti più sensazionali del panorama musicale europeo: In the Fishtank, appunto) e quella floridissima con Ståle Storløkken dei Supersilent, loro conterraneo, eminenza non tanto grigia dell’etichetta norvegese Rune Grammofon, da cui i Motorpsycho sono stati adottati nei tempi più recenti.

Proprio da quest’ultima collaborazione nasce The Death Defying Unicorn - A Fanciful And Fairly Far-Out Musical Fable, prodotto, come i precedenti tre lavori, proprio dalla Rune Grammofon di cui s’è appena detto. Ad affiancare i Motorpsycho e l’amico Storløkken ci sono qui il violinista Ola Kvernberg, la Trondheim Jazz Orchestra e l’ensemble da camera Trondheimsolistene. Il risultato è un doppio album ancora sorprendente, a metà strada tra psichedelia, chamber music, progressive, con il solito heavy a far da sottofondo intervallato da improvvisi tappeti space e leggere incursioni jazzistiche lasciate quasi a mezz’aria. Insomma, un bel miscuglio. Tanto che da più parti s’è detto: forse questi stanno esagerando…

È proprio The Death Defying Unicorn il disco che i Motorpsycho portano con loro nel tour che ha toccato pure Barcellona, in quella serata di primavera inoltrata con cui s’è cominciato. Senza Ola Kvernberg, senza la Trondheim Jazz Orchestra e senza la Trondheimsolistene, naturalmente. Sul palco (nell’occasione che si racconta una pedana alta poco più di mezzo metro, quasi a dimostrare che non c’è niente da mettersi in cerimonie) sono saliti in tre, soltanto in tre, e hanno ritagliato anche quegli stessi pezzi arrangiati e suonati nel disco con l’accortezza della classica e del jazz riportandoli all’origine, alla base, mondandoli del belletto. Hard rock, progressive e un poco di heavy. Puro. Come se i tre fossero dei liceali che hanno appena imbracciato la chitarra con la voglia di spaccare, con il mondo, anche le vetrinette lucide dei mobili nel salone di mamma e papà.

Un piccolo club, una distanza inesistente con un pubblico forse troppo stanco e invigliacchito, e il gusto un po’ aspro di lasciare la voce soltanto ai loro strumenti. Proprio come fanno i ragazzini appena s’approcciano alla musica. Perché forse, al di là dell’eclettismo e delle disparate incursioni attraverso le vie infinite del suono, è esattamente questo il bello: avere la gente davanti, sentirne l’alito e accompagnarne i movimenti. Probabilmente è proprio in questo che sta la forza dei Motorpsycho, nella loro inusuale capacità di evitare l’appagamento e di ricominciare ogni volta come adolescenti golosi. Sperando semplicemente che nel suo andare avanti e indietro per le geografie del suono, il trio di Trondheim non si trovi a bivaccare nelle losche regioni del reggae. Ma anche questo, forse, glielo perdoneremmo.

 


 

ASCOLTI

  Mayhem, De Mysteriis Dom Sathanas, Deathlike Silence Productions, 1996.
Motorpsycho, Lobotomizer, Voices of Wonder, 1991.
Motorpsycho, Timothy’s Monster, Bird Cage, 1994.
Motorpsycho, Trust Us, Columbia, 1998.
Motorpsycho, Let Them Eat Cake, Columbia, 2000.
Motorpsycho, Phanerothyme, Columbia, 2001.
Motorpsycho, Little Lucid Moments, Rune Grammofon, 2008.
Motorpsycho, Child of the Future, Rune Grammofon, 2009.
Motorpsycho, Heavy Metal Fruit, Rune Grammofon, 2010.
Motorpsycho & Jaga Jazzist, In the fishtank 10, Konkurrent, 2003.
Motorpsycho & Ståle Storløkken, The Death Defying Unicorn - A Fanciful And Fairly Far-Out Musical Fable,
Rune Grammofon, 2012.
The 3rd and the Mortal, Tears Laid in Earth, Voices of Wonder, 1994.
The 3rd and the Mortal, Memoirs, Voice of Wonder Records (Voices of Wonder), 2002.