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LETTURE / DANTE E L'ARMONIA DELLE SFERE


di Fabrizio Galvagni / Vololibero, Milano, 2012 / pp. 192 (libro + cd)


 

Dante? È nel girone del progressive

di Roberto Pacifico

La Divina Commedia e il rock progressivo incrociarono i loro destini quarant’anni fa a Roma. “A mio avviso c’è un momento preciso in cui il mondo del rock e il Sommo Poeta si sono incontrati – testimonia Daniele Nuti – e lo hanno fatto nel 1971, in via Margutta a Roma. In quell’occasione epocale, il rock scelse le sembianze di un giovane di ventidue anni circa, biondo, barba e capelli lunghi. Un ragazzo di nome Joe Vescovi, tastierista virtuoso del gruppo The Trip, che si trovava lì per cercare l’immagine giusta per la copertina dell’album del gruppo che si sarebbe intitolato... Caronte, come il nocchiero infernale dagli occhi infuocati”. The Trip è il gruppo fondato a Londra nel 1966 da Ricki Maiocchi, già membro dei Camaleonti (en passant, ricordiamo che nei The Trip militò un giovanissimo Ritchie Blackmore, futuro chitarrista dei Deep Purple).

Caronte (1971) riporta in copertina l’incisione di Gustave Doré, legata ai versi 82-84 del canto III dell’Inferno: “Ed ecco verso noi venir per nave / un vecchio, bianco per antico pelo, / gridando: «Guai a voi, anime prave!»” (Alighieri, 1993). La cover dell’album, riprodotta in un’apposita appendice del libro dove si possono vedere fra le più belle sleeves dedicate a La Divina Commedia, merita una descrizione: cielo di colore giallo che sfuma sul verde-azzurro verso l’alto; la figura imponente e minacciosa di Caronte domina la scena: indossa solo un drappo succinto che gli copre l’inguine e riproduce i colori della bandiera britannica. In basso, a sinistra, in una sorta di cammeo, è ritratta la band in abbigliamento hippie. Il retro della copertina riporta l’incisione di Doré legata ai versi 109-111, sempre del III canto: “Caron dimonio, con occhi di bragia, / loro accennando, tutti li raccoglie; / batte col remo qualunque s’adagia” (ibidem). Questa volta l’Union Jack sventola sul remo di Caronte. Al centro della barca, sulla quale si accalcano i dannati da traghettare al di là dell’Acheronte, una donna indossa un bikini arancione: uno dei peccatori imbarcati, ritratto di spalle, tiene in alto un cartello bianco con la scritta “The Trip”. In basso a sinistra si sovrappongono all’incisione rami e foglie verdi. Nell’angolo opposto, in alto a destra, contro il cielo giallo, che sovrasta paurosi profili di montagne, un aeroplano: forse una citazione di Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni (1970), uscito pochi mesi prima nelle sale cinematografiche.

Il primo brano è Caronte I, strumentale, della durata di sette minuti, un mix tra prog e rock, con una delle più originali intro di organo mai incise, e ampio spazio dato alla voce della chitarra elettrica. L’album è chiuso da Caronte II, epilogo breve (circa quattro minuti), ma denso di suggestione e, strumentalmente parlando, più organ-led rispetto alla prima traccia.

Caronte dei The Trip non è un esempio isolato. Il rock italiano dei primi anni Settanta è disponibile al corteggiamento con la letteratura e la filosofia fino al connubio più intimo e intellettualmente fecondo che porta dall’anticamera, a volte civettuola, del citazionismo, al ben più impegnativo ma appagante talamo degli album concept e/o narrativo-poematici. Uno dei migliori esempi di questa felice ibridazione tra rock e letteratura è Inferno (1973) dei Metamorfosi, gruppo romano di cinque elementi, nato nel 1970. In questo disco le cupe atmosfere musicali si fondono alla “solenne voce operistica” (la definizione è di Augusto Croce) del cantante Jimmy Spitaleri, con i testi del poema dantesco rielaborati per adattarsi alla realtà contemporanea, fino a includere figure moderne come politicanti, razzisti e spacciatori. Un assaggio di Inferno dei Metamorfosi si può gustare ascoltando il primo brano (Introduzione, Selva Oscura) del cd allegato al libro di Galvagni. Gli altri nove brani provengono, invece, da quello che si può definire il più ambizioso dei progetti di rilettura musicale in chiave “progressive” della Divina Commedia, il finlandese Colossus Project, fondato dal romano Marco Bernard (direttore della rivista Colossus), che, trasferitosi nel paese dei laghi nel 1987, ha promosso alcune rilevanti iniziative discografiche in collaborazione con l’etichetta francese Musea. Fra le quali, appunto, la monumentale rilettura della Divina Commedia: Inferno (2008), Purgatorio (2009) e Paradiso (2010), dodici cd (quattro per ogni cantica) in cui 61 band (un terzo delle quali italiane) provenienti da 13 paesi, si confrontano con il testo della Divina Commedia: un canto, un personaggio, una situazione. “La varietà delle proposte, che è poi uno dei pregi dell’operazione, fa sì che, accanto ai canti e ai personaggi più noti (che spesso sono anche quelli storicamente più frequentati) si incontrino anche quelli che il grande pubblico solitamente ignora… Così, per esempio, accanto alle citazioni più note (cd 1 traccia 1: Lasciate ogni speranza voi ch’entrate, canto III, 9; cd 1 traccia 4: Fuor de la queta, nell’aura che trema, canto IV, 150; cd 1 traccia 5: come corpo morto cade, canto V, 142, ecc.) troviamo passaggi meno noti, quali l’epitaffio di papa Anastasio (cd 2 traccia 1):

 

Anastasio papa guardo,

lo qual trasse Fotin per la via dritta

(Alighieri, 1993, Inf. XI, 8-9)

 

o canti quali il XVI (Garamond, cd 2, traccia 6) o il XXI (Ozone Player, cd 3 traccia 2) e gli esempi potrebbero continuare”.

La formazione fiorentina dei Nuova Era, fondata dal tastierista Walter Pini, accanto a Davide Guidoni (batteria) e Guglielmo Mariotti (basso), apre l’opera con Lasciate ogni speranza voi ch’entrate: “Complessivamente si tratta di un’ottima apertura di album: un brano perfettamente progressive, sinfonico e aggressivo nel contempo”, chiuso da un originale assolo del sax di Alessandro Papotto. Il brano è anche incluso nel cd allegato al libro di Galvagni. Non si deve infatti credere che Colossus Project sia un monolitico trionfo del progressive rock, con le sue peculiarità strumentali, in primis il protagonismo delle tastiere prog (pianoforti, organi, mellotron, moog). Anzi, domina l’eterogeneità di stili dovuta non solo alla varietà geografica delle band chiamate a partecipare, ma anche alla libertà interpretativa lasciata al singolo gruppo, fermo restando il rispetto filologico-tematico per il Poema. Per esempio, un’atmosfera latina permea il brano A li occhi belli (ispirato al verso 154 del canto XXII del Paradiso: Poscia rivolsi li occhi alli occhi belli) degli argentini Jinetes Negros che cantano gli stessi versi di Dante: il testo riprende letteralmente le prime sei terzine del canto XXII, ne cita poi i versi 112-114 (“O glorïose stelle, o lume pregno / di gran virtù, dal quale io riconosco / tutto, qual che si sia, il mio ingegno”) e riprende poi la sequenza 124-132 (che inizia con “Tu se’ sì presso all’ultima salute”, cioè, dice Beatrice a Dante, tu sei così vicino a Dio) e il segmento finale del canto XXII (versi 145-154), che include la famosa metafora de “l’aiuola che ci fa tanto feroci”, ossia il nostro misero mondo terreno, misero soprattutto se contemplato da una posizione così elevata, quale quella in cui si trovava Dante nel passaggio dal settimo cielo (Saturno) al cielo delle stelle fisse:

 

“L’aiuola che ci fa tanto feroci,

volgendom’io con li etterni Gemelli,

tutta m’apparve da’ colli alle foci.

Poscia rivolsi li occhi alli occhi belli”

(ibidem, Par., XXII, 151-154).

 

Ma torniamo ai primi anni Settanta. Se la copertina di Caronte è inequivocabilmente dantesca, con quel gusto della contaminazione che ricorda il kitsch più originale (il nocchiero infernale che indossa a mo’ di perizoma la bandiera della Gran Bretagna), ben più sobria, addirittura minimalista, è quella di Ut, il quarto album dei New Trolls, pubblicato nel 1972. La cover è dominata dal nome della band, stampato a sinistra in verticale, e dal titolo, il monosillabo Ut, denso di significati (fra l’altro, con “ut” Guido d’Arezzo denominò nel secolo XI il primo grado dell’esacordo, equivalente al futuro do) che campeggia su fondo bianco, ed è separato dal nome del gruppo musicale da due bande verticali, una più stretta di colore rosso scuro, l’altra nera. Sul retro della copertina si vedono le foto numerate dei componenti del gruppo, “appese” all’immagine di una fortificazione che simboleggia la lingua italiana; nell’angolo, in alto a destra, è riportata una citazione dal Convivio (1° trattato, cap. XI, parr. 1-2) di Dante:

“A perpetuale infamia e depressione de li malvagi uomini d’Italia, che commendano lo volgare altrui e lo loro proprio dispregiano, dico che la loro mossa viene da cinque abominevoli cagioni. La prima è cechitade di discrezione; la seconda, maliziata escusazione; la terza, cupidità di vanagloria; la quarta, argomento d’invidia; la quinta e ultima, viltà d’animo, cioè pusillanimità” (Alighieri, 1921).

Dante fece una scelta di rottura: scrivere in lingua “volgare” (ossia lingua madre o materna), un’opera, il Convivio, che, per la sua natura di trattazione filosofica, di piccola summa del sapere, avrebbe richiesto, secondo gli intellettuali del tempo, il ben più illustre e nobile latino. Il passaggio citato dai New Trolls in cui Dante difende il volgare come strumento linguistico ed espressivo non meno nobile ed efficace del latino o di altri volgari stranieri, assume nell’intenzione del gruppo una nuova valenza apologetica, questa volta in chiave più squisitamente musicale: per rivendicare un’identità nazionale al rock italiano, considerato, a torto, meno nobile od originale rispetto a quello anglo-americano. “E quella dei New Trolls fu una rivendicazione a pieno diritto: se fino ad allora, nel corso degli anni Sessanta, il beat aveva goduto del suo momento di gloria brillando di luce riflessa e riproponendo perlopiù in versione nostrana le cover dei complessi anglosassoni, in quel momento finalmente era nato un movimento che, pur traendo ispirazione da quanto accadeva Oltremanica, sapeva produrre qualcosa di nuovo e di autenticamente nazionale; e soprattutto ne aveva coscienza”.

Insomma, attraverso la citazione dantesca, i New Trolls sembrano voler dire: “è tempo di ricercare una via italiana al rock, alla faccia dei detrattori e degli esterofili di ogni specie”. In Ut si può ascoltare anche un brano dedicato a Paolo e Francesca, protagonisti del quinto canto dell’Inferno. I due amanti romagnoli ritornano, a distanza di pochi anni, in Compagno di scuola di Antonello Venditti, il cui Dante resta una delle versioni pop più rinomate nella canzone italiana:

 

“E la Divina Commedia, sempre più commedia,

al punto che ancora oggi io non so

se Dante era un uomo libero, un fallito o un servo di partito.

Ma Paolo e Francesca, quelli io me li ricordo bene perché,

ditemi, chi non si è mai innamorato

di quella del primo banco,

la più carina, la più cretina”

(Venditti, 1975).

 

“Qui si vola decisamente più basso: si tratta, come si vede, di una citazione coscientemente giovanilista e un po’ scontata”, scrive Galvagni. I versi di Venditti sono scontati in apparenza: rispecchiano, in realtà, quello che è, forse ancora oggi, il vissuto prevalente di Dante nel mondo studentesco. E nel dubbio del cantautore romano (Dante fu un uomo libero, un fallito o un servo di partito?) si può avvertire una sottile critica all’insegnamento e alla lettura tradizionale di Dante nelle scuole, ponendo indirettamente una domanda per nulla oziosa, che allude all’esigenza di inquadrare con più chiarezza e senza retorica il percorso biografico e intellettuale dell’Alighieri.

Il Dante vendittiano rimane, nell’ambito della canzone d’autore italiana (se non vogliamo includere la rockwoman Gianna Nannini che ha liberamente interpretato la figura di Pia dei Tolomei, la sfortunata donna che compare alla fine del quinto canto del Purgatorio), l’esempio più memorizzato di citazione dalla Divina Commedia, soprattutto in un pubblico over 40. Ai più giovani verrà, invece, in mente la citazione jovanottiana, in Serenata Rap (1994), di “amor ch’a nullo amato amar perdona” rafforzata da un energico “porco cane”, che il cantante dichiara di voler scrivere sui muri e sulle metropolitane. Qui siamo decisamente nel campo del citazionismo disinvolto e scanzonato, agli antipodi della serietà e dell’originalità con cui i musicisti di un certo heavy metal hanno affrontato monograficamente Dante: uno dei migliori esempi è quello dei Sepultura, un gruppo che, ironia della sorte, viene dal Brasile (e con loro una pletora di gruppi metal, con gli Angra in testa), il paese della bossa nova e del samba, di atmosfere musicali agli antipodi del metallo duro. I testi del chitarrista Andrea Kisser sono molto vicini al dettato e allo spirito di Dante; eccone un esempio (Dark Wood of Error, ovvero la cupa selva dell’errore), molto bello, ispirato al canto primo dell’Inferno:

 

“I’ve lost my way

in a dark wood of error

in a crisis inside deep terror.

With fear in my mind I spot a light”

(Sepultura, 2006).

 

Per le sue immagini ora cupe, ora estreme, ora violente e disperate, per la sua atmosfera irrimediabilmente avvolta dal buio e dal dolore, l’Inferno è la cantica prediletta dai musicisti che gravitano nell’ambito del metallo pesante nelle sue plurime declinazioni musicali ed estetiche che vanno dal dark gotico e satanico fino al death metal dei messicani Transmetal: la copertina del loro El Infierno de Dante (1993) riproduce in modo originale le immagini del canto XIII dell’Inferno, con i suicidi trasformati in piante e divorati dalle Arpie.

Dante non era musicista nel senso professionale del termine. Conosceva, però, la musica (e forse la praticava a livello strumentale), e i suoi rapporti tutt’altro che sporadici e superficiali con il mondo dei musicisti sono testimoniati, solo per limitarci all’esempio più famoso, dall’episodio di Casella, nel II canto del Purgatorio. L’incontro con il musicista e amico fiorentino dà origine a uno dei momenti più belli e liricamente toccanti del poema. Dante chiede a Casella di cantargli “Amor che ne la mente mi ragiona”, il primo verso della canzone dantesca commentata nel terzo trattato del Convivio:

 

“E io: «Se nuova legge non ti toglie

memoria o uso a l’amoroso canto

che mi solea quetar tutte mie voglie,

 

di ciò ti piaccia consolare alquanto

l’anima mia, che, con la mia persona

venendo qui, è affannata tanto!»

 

“Amor che ne la mente mi ragiona”

cominciò elli allor sì dolcemente,

che la dolcezza ancor dentro mi sona.

 

Lo mio maestro e io e quella gente

ch’eran con lui parevan sì contenti,

come a nessun toccasse altro la mente.

 

Noi eravam tutti fissi e attenti

alle sue note; ed ecco il veglio onesto

gridando: «Che è ciò, spiriti lenti?

 

qual negligenza, quale stare è questo?

Correte al monte a spogliarvi lo scoglio

ch’esser non lascia a voi Dio manifesto»”

(ibidem, Purg., II, 106-123).

 

Dante e gli altri spiriti ascoltano rapiti la melodia di Casella: il brusco intervento di Catone (il “veglio onesto”) rompe l’incanto della musica, riportando Dante alla realtà, alla dura necessità del cammino da proseguire su per i ripiani della sacra Montagna.

Il canto di Casella, come nota Galvagni, deve essere musica “che prende”, la musica giusta, ma proprio per questo non adatta all’impegno, alla ricerca della perfezione. Come ricorda Vittorio Sermonti, in purgatorio non si va con il walkman: “al purgatorio i penitenti arrivano cantando in coro il salmo dell’esodo nell’eternità del futuro, e cento altri cori canteranno su per la montagna, finché non saranno assunti nel coro dei santi – così racconta la favola della fede – e loro stessi saranno musica delle stelle” (Sermonti, 1996). Nel Purgatorio dantesco la musica non può essere, come sembrerebbe suggerire il brusco rappel à l'ordre di Catone, pretesto e motivo di escapismo, di sogno, di fantasticheria. La musica è sempre legata al canto e al testo biblico, per richiamare il dovere in senso etico e spirituale. È lo stesso tema che svilupperà Thomas Mann ne La montagna incantata, in particolare nel dialogo tra Hans Castorp, il protagonista del romanzo, e l’italiano Settembrini: il primo, rivendicando alla musica finalità e valori puramente estetici e contemplativi, la considera balsamo e sollievo dell’anima, veicolo di evasione dalla realtà; Settembrini sostiene, al contrario, il pericolo insito nella musica che non sia finalizzata all’impegno, al progresso, all’attività (“Io nutro un’avversione politica contro la musica”). Il parallelo Dante-Hans Castorp e Catone-Settembrini conferma l’attualità della Divina Commedia e l’importanza della musica ai versi 109-114 del canto XII del Purgatorio, come precisa lo stesso Dante:

 

“Noi volgendo ivi le nostre persone,

‘Beati pauperes spiritu!’ voci

cantaron sì, che nol dirìa sermone.

 

Ahi quanto son diverse quelle foci

dall’infernali! ché quivi per canti

s’entra, e là giù per lamenti feroci”.

(ibidem, Purg. XII, 109-114)

 

“Lamenti feroci” e “canti”, le due cifre acustico-musicali che sintetizzano emblematicamente Inferno e Purgatorio. Nel Paradiso la musica si spoglia delle sue connotazioni terrene, risolvendosi in termini più astratti e trascendentali nell’armonia delle sfere celesti, come Dante ricorda nei versi 76-81 del I canto del Paradiso:

 

“Quando la rota che tu sempiterni

desiderato, a sé mi fece atteso

con l’armonia che temperi e discerni,

 

parvemi tanto allor del cielo acceso

della fiamma del sol, che pioggia o fiume

lago non fece mai tanto disteso”.

(ibidem, Par., I, 76-81)

 

L’amore di Dio che presiede i cieli (“amor che ’l ciel governi”) è come se regolasse (“temperi”) la diversa intensità dei suoni opportunamente distinti (“discerni”) di sfera in sfera, in una sorta di luminosissima sinfonia dei cieli, difficilmente trascrivibile in parole (“la novità del suono e ’l grande lume”), come altrettanto complesso, per non dire impossibile, esprimere verbalmente il passaggio a una condizione fisico/spirituale superiore a quella umana (“trasumanar significar per verba / non si porìa”).

La Divina Commedia racchiude tutta la gamma sonora, dal rumore alla musica delle sfere celesti, la Kosmische Musik, per usare la fortunata e tanto discussa espressione coniata da Rolf-Ulrich Kaiser per definire il genere dei Tangerine Dream e di altre formazioni coeve, autori di una trilogia dedicata al divino poema. La definizione di musica cosmica venne coniata proprio in occasione dell’uscita del secondo album, Alpha Centauri (1971), in cui il loro profilo musicale prende corpo in sonorità psichedeliche e trasognate che nell’immaginario collettivo rimandano ai suoni dello spazio. The Dante Trilogy è una delle produzioni più recenti, pubblicata separatamente in tre album corrispondenti alle tre cantiche del Poema: Inferno (2002), Purgatorio (2004), Paradiso (2006). La musica dei Tangerine Dream fa anche da colonna sonora all’edizione restaurata (2004) del film italiano Inferno (1911), di Francesco Bertolini, Adolfo Padovan (registi) e Giuseppe De Liguoro (collaboratore alla regia), prodotto dalla Milano Films, basato su tutta la prima cantica del Poema, e riproposto in nuova edizione dalla Cineteca di Bologna (2011), questa volta con musiche di Edison Studio.

Passando dalla musica elettronica e sperimentale al jazz, non si può non ricordare il disco dei Risonanza Magnetica, Andante (2008). Cinque dei nove brani che compongono l’album traggono spunto dalla Divina Commedia, gli altri quattro da altrettanti sonetti di Dante, fra i quali il celeberrimo Tanto gentile e tanto onesta pare. I testi di Dante sono “vestiti con raffinata leggerezza di una brillante ma pacata atmosfera jazz”. La copertina ritrae Dante con il classico lucco rosso (l’abito degli antichi fiorentini) alla guida di una moto gran turismo stile Harley Davidson: sullo sfondo la vista panoramica dell’odierna Firenze. Un ottimo mix di antico e moderno, omaggio originale e per nulla irriverente.

 


 

ASCOLTI

AA.VV., Dante’s Inferno, The Divine Comedy part I (Colossus Project), Musea, 2008.
AA.VV., Dante’s Purgatorio, The Divine Comedy part II (Colossus Project), Musea, 2009.
AA.VV., Dante’s Paradiso, The Divine Comedy part III (Colossus Project), Musea, 2010.
Il Giro Strano, Divina Commedia, Mellow, 1992.
Tony Linfjärd, The Divine Comedy of Dante, Blue Ball Music, 2001.
Metamorfosi, Inferno, Vinyl Magic, 1989.
Gianna Nannini, Pia come la canto io, Polydor, 2007.
New Trolls, Ut, Arcangelo, Warner Music Japan, 2004.
Risonanza Magnetica, Andante, Electromantic Music, 2008.
Sepultura, Dante XXI, SPV Records, 2006.
Tangerine Dream, Inferno, TDI Music, 2002.
Tangerine Dream, Purgatorio, TDI Music, 2004.
Tangerine Dream, Paradiso, Eastgate, 2006.
Transmetal, El Infierno de Dante, Denver, 1993.
Trinovox, Incanto, Jaro Mediem, 1994.
The Trip, Caronte, Rca, 2008.
Venditti Antonello, Lilly, Heinz Music, 1999.

 


 

LETTURE 

Alighieri Dante, La Divina Commedia (testo critico della Società Dantesca Italiana,
con commento scartazziniano riveduto da Giuseppe Vandelli), Milano, Hoepli, 1993.
Alighieri Dante, Convivio (testo critico della Società Dantesca Italiana), Firenze, Bemporad, 1921.
Cosi Alessandro, Poesia come musica nella Divina Commedia, Lecce, Edizioni del Grifo, 1996.
Mann Thomas, La montagna incantata, Milano, Dall’Oglio, 1991.
Sermonti Vittorio, La Divina Commedia, Purgatorio, Milano, Bruno Mondadori, 1996.

 


 

VISIONI

Bertolini Francesco, de Liguoro Giuseppe, Padovan Adolfo, Cento anni fa. Inferno, Cineteca di Bologna, 2011.
Bertolini Francesco, de Liguoro Giuseppe, Padovan Adolfo, L’Inferno, Snapper Music, 2004.