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LETTURE / ESSERE OTTIMISTI È DA CRIMINALI


di Theodor W. Adorno / L’Ancora del Mediterraneo, Napoli, 2012 / pp. 112, € 12,50


 

Tutta un'altra tivù sul canale '68

di Antonio Iannotta

Che un’altra televisione, ben diversa da quella cui siamo oggi assuefatti, anche in tempi di digitale e di presunta proliferazione di offerta contenutistica, sia possibile, appariva chiaro già nel 1968 a Theodor W. Adorno, punta di diamante della (tanto vituperata) Scuola di Francoforte. Adorno, in una missiva datata 5 aprile di quell’anno, ringraziava infatti il conduttore e moderatore di una trasmissione televisiva straordinaria, dedicata all’opera di un non ancor così conosciuto Samuel Beckett – l’autore irlandese avrebbe vinto il Nobel, e raggiunto la tanto temuta popolarità, solo l’anno successivo –, Hans-Geert Falkenberg (tra i maggiori responsabili dei programmi culturali del Westdeutscher Rundfunk), non solo per i contenuti, che si erano dimostrati di grande interesse, ma innanzitutto per la durata del programma – due ore circa – che aveva dato modo agli intervenuti di argomentare le proprie tesi e posizioni con calma ed efficacia, e per l’atmosfera di grande “umanità” in cui si era svolta la discussione. Per non dire della fascia oraria di assoluto prime time cui la trasmissione venne destinata; per un pubblico dunque, diremmo oggi, generalista.

Vi immaginate una cosa del genere oggi in Italia? Diciamo, organizzata per festeggiare una delle tante possibili ricorrenze, o a partire dagli indubbi legami possibili tra Beckett e il nostro paese… Figuriamoci, anche uno dei più grandi autori italiani di teatro, e non solo, che viene in mente parlando di Beckett, vale a dire Carmelo Bene, sembra oggi completamente dimenticato, salvo le solite meritevoli riserve di studiosi e appassionati.

Tornando alla nostra trasmissione televisiva: il risultato, manco a dirlo, fu di formidabile successo. E poteva prefigurare, sempre a detta di Adorno, un altro uso della tv, più spregiudicato dal punto di vista culturale, aprendo possibilità dunque “non ancora esplorate” al medium stesso.

Essere ottimisti è da criminali è il titolo di un importante volumetto edito dall’Ancora del Mediterraneo, e curato dal massimo studioso beckettiano in circolazione, Gabriele Frasca, che raccoglie appunto la trascrizione di questa trasmissione televisiva, a partire precisamente da una replica della stessa andata in onda nel dicembre del 1989, subito dopo la morte dell’autore irlandese. Il 2 febbraio 1968 l’emittente della Repubblica Federale Tedesca WDR mandò in onda due opere di Beckett, la prima ripresa televisiva di un’opera profondamente arcimediale come Comédie e il mediometraggio Film, unica opera per il cinema di Beckett (co-firmata insieme all’americano Alan Schneider, con protagonista uno straordinario Buster Keaton). Due ore di dibattito – registrato a Colonia nel gennaio dello stesso anno – per discutere dell’opera di uno straordinario autore, ancora non acquisito in maniera uniforme dalla cultura e dalla critica del mondo letterario occidentale, ospitate da un paese che, se era oggettivamente molto importante per Beckett, non era certo né l’Irlanda o la Gran Bretagna, luoghi principes della sua lingua madre, né la Francia della città d’adozione, Parigi. Quello che stava facendo il Westdeutscher Rundfunk era dunque, per dirlo con Frasca, “prendere esplicitamente partito per la nascita di una nuova cultura sovranazionale, che aggirava (frequentandola) la frammentazione delle lingue, e che finiva in verità per riconoscersi in quello spazio letterario con cui il Medioevo latino aveva dischiuso il concetto stesso di Europa”. Non appare una coincidenza, allora, che tra gli intervenuti, oltre ad Adorno, ci fosse anche Walter Boelich, critico letterario di Die Zeit e Frankfurter Allgemeine Zeitung, collaboratore della Suhrkamp e allievo diretto di Ernst Robert Curtius, autore dell’opera capitale, del 1948, Europäische Literatur und lateinisches Mittelalter, non a caso tardivamente tradotta in italiano – Letteratura europea e Medio Evo latino – solo nel 1992, a rimarcare come nel nostro paese di “cultura sovranazionale” si faccia fatica a parlare ancora oggi. Beckett, come è noto, scriveva infatti da equilingue in inglese e in francese, autotraducendosi e riscrivendosi nelle due lingue d’elezione; collaborava poi alla ricezione tedesca della sua opera, e aveva cominciato a firmare le prime regie teatrali proprio in Germania, allo Schiller-Teater di Berlino, mettendo in scena Endspiel, Finale di partita, nel 1967, dopo aver collaborato strettamente due anni prima con Deryk Mendel per Warten auf Godot; per rimanere alla letteratura tedesca, sono poi noti gli interessi di Beckett per Johann Wolfgang Goethe, come quelli, per passare ad altre tradizioni letterarie, per la Recherche di Marcel Proust, per non parlare della Commedia di Dante, ben conosciuta nella sua lingua d’origine. Una copia dell’opus magnum della nostra storia letteraria fu gelosamente conservata fino alla fine della sua vita dallo scrittore di Foxrock.

La trasmissione di cui si sta parlando non fu comunque un unicum, come fa bene a ricordare Frasca nel saggio che accompagna la trascrizione della conversazione televisiva (in origine pubblicata nel 1994 dall’edizione critica dell’opera adorniana). Non si possono non ricordare, infatti, per quanto riguarda la Rai, l’intervista di Pier Paolo Pasolini a Ezra Pound del 1967, e lo speciale su Jacques Lacan – noto ai più come Télévision, ma in realtà intitolato Psychanalyse – curato per la Ortf da Benoit Jacquot, in onda in due puntate nel 1974.

Il dibattito, per tornare a noi, vide protagonisti, oltre ai citati Adorno e Boehlich, altri due intellettuali di primo piano: il direttore, dal 1963 al 1977, della fondamentale sezione radiodramma della BBC, e amico, oltre che studioso, di Beckett, Martin Esslin; e il sorprendente Ernst Fischer, scrittore austriaco esperto di Robert Musil e Franz Kafka, militante comunista, amico di Palmiro Togliatti, e di lì a poco espulso dal partito per le chiare posizioni anti-sovietiche in Cecoslovacchia. E sono proprio da ascrivere a Fischer alcune delle considerazioni più interessanti dell’intero dibattito. “Mi sembra molto importante chiarire una volta per tutte”, afferma con forza Fischer, “che, pur essendo uno scrittore solitario, Beckett è pur sempre uno scrittore della nostra epoca. Nella sua opera la parola Auschwitz non compare mai, ma tutto ciò che ha scritto lo ha fatto nelle ceneri di Auschwitz”. “È della sua epoca che Beckett scrive”, ribadisce lo scrittore austriaco, “e se facesse altrimenti sarebbe un ipocrita”. E Adorno non a caso rincara la dose: “Nessuno gli può rimproverare questo!”. A Fischer è attribuita anche la frase che ispira il titolo del volumetto: “pensare con ottimismo è da criminali”. A questa affermazione, replica ancora Adorno, citando Kafka ma riferendosi a Beckett: “Molta, infinita speranza, ma non per noi”. Già, perché ottimismo e speranza sono i due poli in cui ci imbriglia l’ideologia dominante. Lo sapeva bene Beckett, che non a caso, come ci ricorda sempre Frasca, aveva bene a mente questa massima di Sébastien-Roch Nicolas de Chamfort: “L’espérance n’est qu’un charlatan qui nous trompe sans cesse” (che aveva tradotto magnificamente così: “Hope is a knave befools us evermore”). Fischer non aveva dubbi su cosa nascondesse la parola d’ordine di ogni atteggiamento fin troppo ottimista. “Sperate!” equivale a subire passivamente i flussi discorsivi egemoni, siano essi nazisti o stalinisti, così come avviene oggi con l’ancor più maliziosa ideologia capitalista. Lo aveva capito di recente, poco prima di non lasciarsi morire in un letto d’ospedale, anche il nostro Mario Monicelli: “La speranza è una trappola!”.

Non sembrerebbe esserci viatico migliore, allora, che la lettura di questo dibattito televisivo, per immergersi a pieno in Malone muore, l’opera beckettiana di recente riproposizione einaudiana (in libreria dal 2011, il secondo romanzo della cosiddetta Trilogia segue dopo sei anni Molloy: chissà quanto si dovrà aspettare per rivedere disponibile L’innominabile…), che invita ad abbandonare, sin dal titolo, qualsivoglia speranza.

In appendice al volume dell’Ancora viene poi riportata, a testimonianza del costante lavoro di Adorno su Beckett, una miscellanea dei luoghi beckettiani della Teoria estetica, ambiziosa opera incompiuta e postuma che Adorno, come sappiamo dai suoi eredi, voleva dedicare proprio a Samuel Beckett.

 


 

LETTURE

  Theodor W. Adorno, Teoria estetica, Einaudi, Torino, 1977.
Beckett Samuel, Malone muore, Einaudi, Torino, 2011.
Frasca Gabriele, Tout se tient, tout vous tient, in Beckett Samuel, Malone muore, Einaudi, Torino, 2011.
Iannotta Antonio, Lo sguardo sottratto. Samuel Beckett e i media, Liguori, Napoli, 2006.
Knowlson James, Samuel Beckett. Una vita, Einaudi, Torino, 2001.