Chiedi chi erano i concept album
di
Gennaro Fucile

 

 

Saltando i precursori, dai soundie degli anni Quaranta/Cinquanta ai Beatles del Magical Mistery Tour, il primo concept-video nella storia del rock viene realizzato in Inghilterra dai Queen con Bohemian Rapsody nel 1975. Oltre oceano, nel 1978, sono i fratelli Jackson a sperimentare gli effetti hollywoodiani sulla musica con Blame It On The Boogie. Nel 1979 arriva il primo video con una vera e propria sceneggiatura ad opera dei Buggles: Video Killed The Radio Star, (letteralmente Il video uccide le star della radio). Nello stesso anno esce Bop Till You Drop di Ry Cooder, il primo disco rock inciso con il sistema digitale. Nel 1981 nasce MTV, il canale che ha dedicato per primo il suo intero palinsesto alla messa in onda di video musicali. Si apre una breve stagione di ricerca e sperimentazione.

Al vertice, Julian Temple e John Landis che girano nel 1982 per Michael Jackson rispettivamente Billy Jean e Thriller. L’esplosione del video clip sposta la necessità di ascoltare verso il piacere di vederle, ma non è tutto. Ad esempio, nel primo videoclip italiano creato per Ancora Tu (Lucio Battisti) le immagini non ricalcano fedelmente il testo bensì ne costruiscono uno proprio, originale. Il videoclip dunque utilizza delle strategie testuali che oscillano fra la performance del cantante o gruppo alla costruzione di micro narrazioni che creano libere associazioni mentali.  Spetta al fruitore il compito di ricostruire le tracce di senso ottenibili riannodando i continui rimandi all’interno del testo. Lector in video. Intanto i concept album vanno sparendo. Negli Ottanta si ricorda solo Zen Arcade dei punk hardcore Hüsker . L’atto finale forse è il Neil’s Heavy Concept Album, realizzato da Nigel Planer (e prodotto dal Dave Stewart dei National Health) sul finire del 1984. Un album che fa il verso alla cultura psichedelica e ai concept, narrando le disavventure di Neil, il personaggio interpretato da Planer nella serie Tv The Young Ones, sitcom dedicata alle vicende di quattro studenti nell’era della Thatcher. Spassoso, con belle cover di pezzi dei Traffic, Donovan, Caravan, Pink Floyd, Incredible String Band e un’imperdibile sgridata della mamma di Neil che lo obbliga a fare il verso a Frank Sinatra.

 

Vent’anni dopo

Nato per caso, iniziato per gioco, gestito con modalità amatoriali in brevissimo tempo, nel 1999, si diffonde vertiginosamente il file sharing Napster. La forma più compiuta di comunismo finora realizzata consiste nella condivisione di file musicali. La proprietà privata dei bit è abolita. La vicenda è nota. Napster è un’invenzione di Swan Fanning, semplice studente, ha creato il più potente sistema per scambiarsi la musica gratis. All'inizio era solo uno scambio tra amici, ma ben presto la comunità crebbe a dismisura. Come funzionava Napster? Scaricando un software gratuito dal sito Napster.com si poteva consultare un archivio musicale di file Mp3 dislocati sui vari computer connessi a Napster. I contatti si cominciano a contare a milioni e partono le denunce, inaugurate dai Metallica. Dopo una gigantesca battaglia legale, Swan Fanning abdica, Napster deve sottostare al mercato: o gli Mp3 si pagano o si chiude. A giugno 2001 il file sharing viene definitivamente interrotto, ma subito nascono e si diffondono altre comunità analoghe. L’idea è anche un business potenziale, che prende forma sotto il nome di iTunes, un programma sviluppato dall'Apple per riprodurre e organizzare file MP3 e altri formati di musica digitale, permettendo l'acquisto online delle canzoni attraverso il servizio iTunes Music Store A chiudere il cerchio ci pensa, infine, iPod, il lettore di musica digitale dell'Apple. La musica si preleva in rete, si acquista, si continua a scambiare, ma al di là delle sue logiche pro o contro il mercato, si frantuma in innumerevoli file, i file si miniaturizzano ulteriormente trasformandosi in suonerie per cellulari e le storie… non c’è più storia, che senso avrebbe concepire un disco per raccontare una vita o anche solo la vicenda principe della vita di qualcuno se poi tutto si sbriciola nella musica digitalizzata? Che senso avrebbe pensarla, scriverla e inciderla per poi proporla ad un pubblico abituato a vivere l’istante musicale, l’hic et nunc dell’Mp3?

Quella che si affidava ai concept album era una generazione che voleva raccontarsi e che chiedeva un nuovo modo di raccontare, quella attuale è sommersa da una valanga di storie/informazioni, un gigantesco rumore di fondo che stride con una dolorosa solitudine esistenziale. Forse può avere senso, facendo leva su un sentire parallelo che le tecnologie digitali hanno sollecitato: la relazione museale tra arte e pubblico. Il boom delle compilation è qualcosa di più di un indizio, per non dire della lista dei preferiti dei lettori di Mp3, il fai da te riversato in musica.  Un tempo c’erano gli evergreen della musica leggera e gli standards del jazz, poi sono arrivate le cover degli hit con l’esplosione mondiale del mercato discografico negli anni 60. Infine, terminata la grande stagione delle utopie musicali della prima parte degli anni Settanta (con le dovute eccezioni), sono iniziati i tributi.

Tutti hanno ricevuto un omaggio musicale, i grandi eroi del rock scomparsi tragicamente, le star immarcescibili, i gruppi cult dei vari sottogeneri, le nuove leggende musicali, piccoli e grandi, con risultati anche preziosi musicalmente, o risultando autentiche cialtronate, tanto furbe quanto inutili. Si sono omaggiati generi musicali, e anche idee come il concept album. Un esempio? Non al denaro non all'amore né al cielo pubblicato lo scorso anno da Morgan è quasi una ricostruzione filologica del vinile che Fabrizio De André pubblicò nel 1971, mettendo in musica insieme a Nicola Piovani, nove dei 244 epitaffi contenuti nell'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Alcuni a volte ritornano e talvolta si rifanno vivi i mezzi morti, gli zombies.

 


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