ASCOLTI / LITTLE RED RECORD


di Matching Mole / Esoteric Recordings, 2012


Lassù sulle montagne, tra l'aspre rupi

di Gennaro Fucile

 

Nel corso del 1922, Vladimir Il'ič Ul'janov, noto come Lenin, ricorse anche a una parabola per difendere la scelta di istituire nella giovane Unione Sovietica la cosiddetta Nep, la Nuova politica economica, cambio di rotta sulla quale e sulle cui conseguenze non è qui il caso di soffermarsi, ma solo aggiungere che fu una svolta ritenuta paradossalmente necessaria per salvaguardare i frutti e le promesse della Rivoluzione d’ottobre. Accerchiato da contestazioni dentro e fuori il partito, Lenin argomentò in difesa della Nep scrivendo un delizioso saggio, intitolato A proposito dell’ascensione sulle alte montagne, del quale invece vale la pena di riportare qualche passaggio, seppur lungo, utile per conoscere quali contraddizioni, drammi, o semplici piccoli dilemmi assalgono chiunque si appresti a dare l’assalto al proprio cielo. Scrive Lenin: “Immaginiamo un uomo che effettui l’ascensione di una montagna altissima, dirupata e ancora inesplorata. Supponiamo che dopo aver trionfato di difficoltà e di pericoli inauditi, egli sia riuscito a salire molto più in alto dei suoi predecessori, senza tuttavia aver raggiunto la sommità. Egli si trova in una situazione in cui non è soltanto difficile e pericoloso, ma addirittura impossibile avanzare oltre nella direzione e nel cammino che egli ha scelto. Egli è costretto a tornare indietro, a ridiscendere, a cercare altri cammini, sia pure più lunghi, i quali gli permettano di salire fino alla cima. La discesa, da questa altezza mai ancora raggiunta su cui si trova il nostro viaggiatore immaginario, offre delle difficoltà e dei pericoli ancora maggiori, forse, dell’ascensione […] manca quello stato d’animo particolare di entusiasmo che dava impulso al cammino verso l’alto, dritto allo scopo” (Lenin, 1967).

Mezzo secolo dopo, nel 1972, quattro strani figuri addobbati da guardie rosse con tanto di libretto delle massime di Mao, fucile automatico e bandiera rossa, compaiono sulla copertina del loro secondo e ultimo album, intitolato Little Red Record. L’immagine è clonata da una cartolina agiografica, chiaramente propagandistica della Repubblica Popolare Cinese dell’epoca. Gli iconoclasti in questione si fanno chiamare Matching Mole e al momento della pubblicazione del dischetto rosso si erano innalzati non poco su quel versante di quella montagna che si staglia altissima sui territori della musica, la cui cima fu oggetto di numerose escursioni ad altissima quota nei primi anni Settanta, e che vide non pochi azzardi, fallimenti, smarrimenti e retromarce. Il quartetto Matching Mole si era costituito da non molto, nell’autunno del 1971, e composto originariamente da Dave Sinclair alle tastiere (piano e organo), Phil Miller alla chitarra elettrica, Bill MacCormick al basso elettrico e Robert Wyatt, fondatore, promotore e leader del gruppo, che adoperava diversi attrezzi sonori: batteria e voce soprattutto, ma anche mellotron e pianoforte. In seguito Wyatt sarà anche membro del Communist Party of Great Britain.

Il primo album omonimo uscì nella primavera del 1972, frutto di registrazioni iniziate nel dicembre 1971 e conclusesi in marzo con l’apporto di un secondo tastierista, il neozelandese David MacRae, proveniente dal giro dei Nucleus di Ian Carr, combo che fu tra i protagonisti della nuova scena jazzistica inglese. Prima di tornare in studio per Little Red Record, Sinclair lasciò la band che dalle pseudo pop song del progetto iniziale si andava incamminando verso un’improvvisazione più sistematica. Gli unici due album in studio del gruppo sono oggetto oggi di una curatissima ristampa che li ripropone entrambi in versione doppio cd con l’aggiunta di inedite jam di studio e materiali live da registrazioni radiofoniche già presenti su precedenti compilation dedicate all’attività concertistica della band, per oltre settanta minuti di musica in più, che evidenziano, nel complesso delle registrazioni, il work in progress della band.

Una sperimentazione che condusse i quattro ad alta quota, sulle pareti di quella montagna dove era facile, allora, incrociare altri escursionisti coraggiosi. Ad esempio, proprio nel 1971 avevano iniziato ad arrampicarsi su un'altra parete decisamente scoscesa i membri di una specie di comune musicale tedesca, che autogestiva il proprio studio di registrazione sito nei pressi del fiume Wümme in Germania: i Faust. La band fece subito schiantare la pop music in un mare di suoni prodotti da nastri accelerati, suonati al contrario, sulla scia di certa sperimentazione accademica. Qui però l’energia primitiva del rock tuonava come non mai. Il loro primo album (con la radiografia di un pugno chiuso in copertina) si apriva sulle note ultra sfregiate di Satisfaction dei Rolling Stones e di All You Need Is Love dei Beatles, trattate come si usa per preparare un frappè. Gli anni di Wümme andarono dal 1970 al 1973 portando la band a un’altezza inaudita, per poi ridiscendere di poco per passare qualche tempo alla neonata Virgin e infine far calare un silenzio discografico durato circa dieci anni. I Faust tornarono (qualcosa che si chiama così è ancora in giro, ma resta ormai solo il nome e poco più) e per un altro decennio produssero sì ottima musica, ma dando l’impressione di girare intorno alla montagna senza salire di un solo metro in più. Non è facile ridiscendere e ricominciare, un mezzo tentativo riuscito lo si deve a un francese visionario di nome Gilles Artmann, che sul finire del 1970 crea un gruppo, i Lard Free, davvero sui generis, misto di jazz, elettronica e rock davvero sporco. Anche loro iniziano a scalare e nell’arco di tre dischi, dopo aver mandato in paranoia il loro primo produttore, che li pagò pur di toglierseli di torno, misero a punto un vertiginoso punk-jazz cosmico. Artmann ridiscese e risalì, riprese la formula, la dilatò e diede vita agli Urban Sax, un’orchestra composta da un numero imprecisato di elementi (almeno dodici, ma si è giunti fino alla cinquantina), quasi tutti sassofonisti coadiuvati da percussionisti e talvolta voci, spesso protagonisti di performance nelle città dove si aggiravano rinforzati anche da ballerini, sfiorando anche i duecento elementi, che indossavano tute spaziali. Un’invasione aliena sostenuta da poderose reiterazioni sulla scia della scuola minimalista (alla Philip Glass e Terry Riley per fare due nomi).

C’era un via vai intenso in quegli anni, la montagna era affollata come le più rinomate località sciistiche, vi risuonava di tutto e niente aveva precedenti (se escludiamo le elitarie sperimentazioni accademiche): ritmi e soluzioni timbriche del pop si scioglievano dentro misture armoniche complesse, ritmi inediti per il rock ma in genere per la musica occidentale irrompevano fin dentro la semplice canzone, i passaggi in India erano numerosissimi, ma si sconfinava un po’ dappertutto. C’era spazio per i rituali misteriosi della Third Ear Band, una congrega underground che attaccò una della pareti della montagna attrezzata con oboe, violino, tabla e violoncello, una strumentazione aliena all’epoca. Sparirono dopo aver firmato la colonna sonora del Macbeth di Roman Polanski nel 1972. Vennero riavvistati dopo oltre quindici anni, ma non si erano mossi in avanti di un metro. L’ascesa per alcuni significò continuare per sempre a girare in tondo, per altri ridiscendere e mollare, per qualcuno intraprendere la risalita altrove nello spirito della parabola narrata da Lenin. Dove poteva andare ad esempio la babelica musica di Miles Davis ai tempi di Dark Magus e On The Corner? Quella zuppa ribollente di funky, elettronica, raga, jazz e rock? Davis ridiscese e staccò la spina, per motivi di salute certo, ma quando ritornò prese un’altra strada e oltre quel picco non riuscì ad andare. Molti in quegli anni smarrirono i sensi per l’alta quota, anche dopo un solo tentativo, come era già successo all’ex bassista dei Buffalo Springfield, Bruce Palmer. Lui si separa dai suoi partner Stephen Stills e Neil Young destinati alle grandi platee e licenzia un solo album, The Cycle Is Complete, anno 1971, che dalla festa freakedelica iniziale scivola in un oscuro sogno di cose inquietanti, per dirla con David Lynch.

I Matching Mole s’incamminarono su per cime sconosciute, come si è accennato, sul finire di quello stesso anno. I quattro avevano avuto già modo di incrociarsi. Wyatt, fresco di licenziamento dai Soft Machine (cfr. Quaderni d'Altri Tempi n. 9), aveva pubblicato il suo primo album solista, End Of An Ear, viaggio psichedelico nel jazz, fallimento commerciale pari a quello registrato dal Cycle di Palmer. Prima, in seguito e parallelamente, aveva fatto capolino in sedute di registrazioni eterogenee, con gli ex Soft Machine della primissima versione, Daevid Allen e Kevin Ayers, con le estemporanee formazioni Amazing Band e Symbiosis, con il violinista Sugarcane Harris, con i Centipede, la grande orchestra di Keith Tippett (cfr. Quaderni d'Altri Tempi n. 34) e con Lol Coxhill, (cfr. Quaderni d'Altri Tempi n. 32) che ai tempi duettava con Steve Miller, il fratello di Phil. Dallo stesso giro del pelato sassofonista arrivava Phil Miller, chitarrista dei Delivery, formazione alle prese con una specie di progressive blues (oltre a Coxhill e al fratello Steve, c’erano il bassista Roy Babbington, il batterista Pip Pyle e la cantante Carol Grimes); MacCormick, a sua volta, faceva parte del giro dei Quiet Sun in compagnia dei futuri Roxy Music, Phil Manzanera e il più celebre Brian Eno. Infine, Dave Sinclair proveniva dai Caravan, l’altro gruppo di Canterbury nato insieme ai Soft Machine per scissione dal nucleo originario dei Wilde Flowers. A sottolineare affinità e divergenze in seno al popolo canterburiano, Wyatt decise di chiamare il gruppo Matching Mole, che in francese è la replica fonetica di machine molle, ovvero Soft Machine. Il gruppo nacque, ricorda Wyatt, perché non avendo un gruppo stabile (come si è appena detto) ritenne “giunto il momento di formarne uno. Rapii qualche altro musicista, come Bill MacCormick che era stato un membro dei Quiet Sun, e Dave Sinclair, che era sul punto di lasciare i Caravan. Quest’ultimo condivideva il mio interesse per le «canzoni pure e semplici». Avevamo tutti qualche canzone da parte; perciò fondammo un gruppo e le suonammo. Rimasi molto soddisfatto di gran parte del primo album. Eppure, non avevamo soldi né attrezzature e quell’album è stato inciso in uno studio abbandonato dalla Cbs, talmente freddo (si era a dicembre, ndr) che Dave Sinclair doveva suonare con i guanti […]. Il nome fu un’idea mia, il gioco di parole era intenzionale” (King, 1994).

Involontario invece fu il primo rimando al comunismo, a Karl Marx che nel pamphlet il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte scriveva “E quando la rivoluzione avrà condotto a termine questa seconda metà del suo lavoro preparatorio, l'Europa balzerà dal suo seggio e griderà: Ben scavato, vecchia talpa!” (Marx, 2006), parafrasando l’Amleto di Shakespeare. Gli incidenti tecnici (pianoforte scordato, problemi con il dolby, con le cuffie e il registratore, interferenze delle linee elettriche, ecc.) e le difficoltà ambientali (il freddo, dei lavori di manutenzione in corso, sospensione della corrente elettrica) portarono il gruppo a terminare il disco solo nel marzo del 1972 dopo aver traslocato ai Nova Studios vicino Marble Arch. Wyatt amava le canzoni pure e semplici ma di queste nell’album c’è in realtà, forse, la sola O Caroline che apre l’album e schianta i cuori, perché è la semplicità che è difficile a farsi, ma quando ci siamo di fronte restiamo irretiti e storditi. Lui che aveva trasformato un motivo swingante in una cavalcata verso il nulla (Moon in June, da Third dei Soft Machine) e giocato con voci, nastri e Gil Evans in End Of An Ear, dentro la canzone non riusciva proprio a starci, ma nemmeno ce la faceva a starci lontano. Al secondo brano si è già nella patamusica wyattiana con Istant Pussy, si ricade nella ballad con Signed Curtain e poi si scivola in quel mondo con diversa forza di gravità pur tra sussulti elettrici ad alto voltaggio. Un’altra dimensione che si ritrova ancor più nella Part Of The Dance Jam, pescata dagli avanzi (si fa per dire) delle registrazioni: venti minuti di divagazioni sul tema dell’originale Part Of The Dance, già piuttosto incatalogabile secondo gli schemi rock.

Prima di rientrare in studio per confezionare il dischetto rosso, i Matching Mole suonano nei Paesi Bassi, in Francia, in alcune città inglesi, sbucano in trasmissioni della BBC, cercando di sbarcare il lunario dovunque capitasse. La scalata, intanto, ha già perso un membro della cordata. “Dave (Sinclair) non rimase a lungo – annotava Wyatt –. Era difficile trovare musicisti disposti a dedicarsi a tutte le cose differenti che avevamo in mente. A Bruxelles facemmo un concerto totalmente improvvisato. Dave fu molto fantasioso ma non gli piacque affatto. Gli piacevano solo le canzoni. Ma non si possono fare otto O Caroline. Come le chiami? O Annette? O Jacqueline? O Sue? Diventeremmo poco credibili. La nostra vena più sperimentale lo rendeva molto insicuro. E così chiamammo Dave MacRae, che era sempre lieto di fare nuove esperienze: un musicista veramente dotato. I rischi che comportava suonare in una situazione di anarchia lo divertivano” (King, 1994). Così a metà del loro cammino, i Matching Mole incrementarono il loro potenziale tasso di sperimentazione e (paradossi e meraviglie dell’epoca) se ne andarono per tutto il mese di aprile in giro per il Regno come spalla di John Mayall, che seguiranno anche per un breve tour in Francia il mese successivo. A metà agosto i quattro rientrano in studio e danno inizio alle registrazione di Little Red Record con Robert Fripp (piccola grande star con i King Crimson) in veste di produttore e Brian Eno (incrociato da MacCormick durante la lavorazione del primo disco dei Roxy Music) a prestare manodopera elettronica. Il materiale era stato in buona parte testato on the road, ma venne severamente vagliato e anche censurato da Fripp, inflessibile anche in quel frangente. Ricorda MacCormick: “C’era una tensione tangibile e alla fine certe cose che ci piacevano vennero escluse, perché Fripp decise così. Si arrivò anche a quello. Sembrava una buona idea all’inizio, ma poi si rivelò un errore” (ibidem). A pagarne le conseguenze fu soprattutto Miller, in quanto chitarrista tenuto sotto osservazione più degli altri, al punto che, sempre nei ricordi di MacCormick, si ridusse “all’ombra di se stesso, capace a stento di muovere le dita” (ibidem). Contraddizioni in seno al popolo degli esploratori sonori. Fatto sta che Miller riduce il suo apporto nel secondo disco, anche se in parte riemerge negli inediti che le attuali ristampe mettono a disposizione. L’album apre illustrando il concetto di filastrocca sonora elaborato da Wyatt in Starting In The Middle Of The Day We Can Drink Our Politics Away e prosegue quasi come un quiz à la Lewis Carroll chiedendosi: “What’s brown, goes underground and it’s myopic? It’s the mole!”. Strofa che durante le prove in studio scatenò anche un discreto cazzeggio tra i presenti, tra cui Julie Christie sotto le mentite spoglie di Ruby Cristal. La traccia inedita intitolata Mutter testimonia il tutto. Wyatt anche nel dischetto rosso non riesce a star dentro la canzone, ma quando ne è fuori cerca a tutti i costi di tornarci e Gloria Gloom con Eno impegnato al synth spiega alla perfezione il gioco dialettico sotteso alle manovre sonore svolte all’epoca dal futuro compagno Wyatt facendo sorgere dal suono inafferrabile una densa e arzigogolata melodia. Una vera canzone compare anche in questo album e fornisce la misura intera, la levatura notevole del Wyatt chansonnier: God Song, dove si esprime con misurato disappunto il dissenso tra l’uomo e l’operato divino. Sarà lo spiritato piano elettrico di MacRae in Smoke Signal a chiudere la storia discografica dei Matching Mole, giunti a considerevole altezza, in un punto che non lasciava intravvedere a Wyatt ulteriori scalate, un punto ineguagliabile, tant’è che, come scrive Riccardo Bertoncelli: “Per migliaia di fans in tutto il mondo quell’avventura rimarrà la sua più bella e il benchmark cui riferirsi quando si parla di sogni & meraviglie a Canterbury. Sono passati quarant’anni ed è ancora così…” (Bertoncelli, 2012).

Bisognava ridiscendere e non sono solo la precarietà di ingaggi e situazioni, oppure l’antileadership dichiarata da Wyatt a spiegare perché un bel giorno di settembre, nel 1972, dopo dieci mesi, la storia si chiuse. Wyatt precisò: “I Matching Mole si sciolsero perché non ho la stoffa del leader, non mi piace dirigere. L’onere del comando spettava a me perché ero più noto degli altri ed ero al centro dell’attenzione quando suonavamo. Non voglio spacciarmi per il simpatico timidone o cose del genere: semplicemente, desideravo essere uno dei quattro membri del gruppo. E poi i problemi con il bere, con le attrezzature non sapevo proprio come risolverli” (King, 1994). MacCormick non ci stava a chiudere l’avventura, fece pressione su Wyatt, al punto da fargli riprogettare i Matching Mole nel marzo del 1973. Il quartetto si sarebbe riformato con altro assetto, prevedendo Gary Windo al sax tenore e Francis Monkman (proveniente dal gruppo prog Curved Air) alle tastiere. Tutto sembrava pronto per un’altra scalata, da un punto diverso, altrettanto unico. I quattro si trovano il 29 di maggio nell’appartamento dell’artista Alfreda Benge, nota come Alfie, che poi sposerà Wyatt e provicchiano, improvvisano. Tutto è però rimandato, a dopo la festa organizzata il 1° giugno 1973 nell’appartamento dell’artista e poetessa Lady June. Quel giorno, fuor di metafora, Wyatt volò giù, la sua schiena andò in pezzi, resterà per sempre bloccato su una sedia a rotelle e in sua compagnia mesi dopo inizierà a riassaltare il cielo con il capolavoro Rock Bottom, ma questa è un’altra puntata della storia. I Matching Mole non si riformarono più.

 


 

ASCOLTI

Matching Mole, Matching Mole, Esoteric Recordings, 2012.

Matching Mole, On The Radio, Hux Records, 2007.

Matching Mole, March, Cuneiform Records, 2002.

Matching Mole, Smoke Signals, Cuneiform Records, 2001.

 

LETTURE

Bertoncelli Riccardo, Matching Mole: nuovi cunicoli della talpa, Musica Jazz, maggio 2012.

King Michael, Falsi movimenti, Arcana, Milano, 1994.

Lenin Vladimir I., Note di un pubblicista, in Opere vol. XXXIII, Editori Riuniti, Roma, 1967.

Marx Karl, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, Editori Riuniti, Roma, 2006.