LETTURE / VITE MEDIATE


di Maria Emanuela Corlianò / Franco Angeli, Milano, 2011 / pagine 128, € 15,00


Interazioni fluide e altre connessioni

di Alessandra Santoro


L’introduzione delle nuove tecnologie digitali nella vita quotidiana e le modalità attraverso le quali gli individui interagiscono fra loro, anche con finalità differenti, servendosi della rete, continua a produrre radicali mutamenti, fondendosi e ibridando tutte le articolazioni della vita quotidiana. Nell’arco di una trentina d’anni l’utilizzo di Internet è passato da pratica riservata ad una piccola, privilegiata cerchia di utenti, a normale aspetto delle attività umane. È negli anni Ottanta che i personal computer cominciano a connettersi tra loro in rete, ma è solo con la nascita del World Wide Web che Internet diventa un vero e proprio patrimonio planetario. Strumento di informazione, di gioco, di ricerca, di conoscenza e comunicazione, la struttura della rete permette scambi paritari, in totale assenza di gerarchie consolidate, ed il suo utilizzo quindi rimanda ad una comunicazione bidirezionale, ovvero da pari a pari: per la prima volta si generano ambienti comunicativi prodotti dai soggetti stessi, i quali cercano il coinvolgimento di altri soggetti attraverso lo scambio, la comunicazione e la condivisione di informazioni.

Nell’era della comunicazione digitale e multimediale la vecchia idea di spettatore passivo svanisce del tutto; i soggetti comunicativi interagiscono fra loro creando reti interattive che generano uno spazio di comunicazione simile ad un ipertesto globale, che genera a sua volta senso condiviso. Questo enorme potenziale interattivo crea una forma di comunicazione che Manuel Castells ha definito auto-comunicazione di massa (Castells, 2009). La nuova forma di comunicazione promuove la creatività degli individui-utenti e l’avvento nella società di una nuova figura che investirebbe l’individuo, quella del prosumer (Toffler, 1987), che vede fondersi i ruoli di produttore e di consumatore; questa figura si rivelerebbe in modo sempre meno marginale, rispetto ai modi di consumo, reso possibile dalla digitalizzazione dei media. Grazie a Internet infatti, la produttività e la creatività dei consumatori coinvolgono questi nella creazione e/o nel miglioramento dei prodotti: da qui comincia a diffondersi il concetto di consumo critico, un processo caratterizzato da pratiche di resistenza, contestazione e produzione originale che si discosta da un mercato governato dal consumismo spasmodico. Diventa di importanza vitale perciò attingere alla creatività propria di quel cervello collettivo che la Rete inevitabilmente produce.

Un esempio chiaro di consumo critico e creativo è la Rete Lillinet, nata nel 1999 ad opera di alcune associazioni e campagne nazionali di tipo sociale; questa rete garantisce il libero accesso a persone, associazioni o gruppi che si riconoscono in orientamenti comuni. L’obiettivo principale è quello di mettere in atto una serie di strategie per tentare di combattere le disuguaglianze nel mondo promuovendo la non violenza, il tutto reso possibile grazie all’incontro, confronto e relazione tra persone che sperimentano nuove possibilità per l’azione politica e sociale. La Rete Lillinet così come Jungo che propone un sistema di mobilità aggregativa considerati i danni prodotti all’ambiente dall’ipermobilità, oppure Seva, un’associazione che nasce per alleviare le sofferenze causate da malattia e povertà, o ancora revbilly, che ci invita a rinunciare alla pratica del consumismo spasmodico, sono solo alcuni esempi tra i numerosissimi siti sorti su Internet che considerano i consumatori come veri e propri agenti sociali e non più come vittime di una società invasa da una comune indifferenza culturale.

Ancora, valga l’esempio di The Talking Village, sito italiano che si presenta così: “Il Marketing della Conversazione. Abbiamo pensato The Talking Village come un villaggio popolato da persone che vogliono esprimere la loro opinione, certe che verrà ascoltata proprio là dove può fare una differenza su prodotti e piani di marketing. I nostri progetti e i nostri strumenti di conversazione nascono infatti dall’incontro delle esigenze delle persone con quelle delle aziende, dei brand. Sapendo che anche dietro un brand ci sono delle persone. Dalle conversazioni del Village nasce una migliore comprensione reciproca, e quindi idee di business migliori.” Naturalmente tutto questo produce anche enormi benefici per le imprese, che si ritrovano praticamente gratis indagini qualitative sui propri prodotti, sulla corporate image, sui valori aziendali e che ottengono comunque di veicolare le marche in portafoglio, conversando/interagendo con target che difficilmente raggiungerebbero con le forme classiche dell’advertising. È il lato oscuro del prosumer, che meriterebbe di essere ulteriormente indagato, evitando di cadere nelle nuove ideologie che l’intero universo virtuale auto-produce.

Questa nuova concezione vede Internet e la Rete come una incessante e fluida interazione, in continua cooperazione e influenza reciproca. In tal senso l’idea di produzione e consumo di nuovi media è vista come un processo collettivo all’interno del quale ognuno partecipa in modo diverso – individualizzato, se si vuole – a seconda delle sue capacità e possibilità. La riflessione condotta in Vite mediate si colloca in questo contesto, impegnandosi non a evidenziare le caratteristiche eccezionali, ma a descrivere l’utilizzo abituale, quotidiano e routinario che la contemporaneità fa delle tecnologie elettroniche.

All’interno di questo quadro di riferimento infatti, i media sono considerati i principali strumenti per le nuove forme di interazione fra gli individui e sono inseriti nelle tante attività e pratiche ripetitive della vita quotidiana atte a metterci in relazione con gli altri.

In questo modo la quotidianità entra a far parte del virtuale. In particolare, sempre più rilevante è l’aspetto relazionale e interazionale che gli individui fanno dell’utilizzo dei nuovi media: trovare nuovi amici, condividere nuove esperienze o trovare l’anima gemella in rete, diventa una condizione necessaria per contribuire alla costruzione e il mantenimento del proprio Sé e della propria identità, anche se le interazioni rimangono virtuali. Infatti, la comunicazione elettronica, proprio per le sue caratteristiche, offre ai suoi partecipanti una presentazione del Sé che, diversamente da quanto imposto dalla comunicazione faccia a faccia, può assumere nuove possibilità. Una delle preoccupazioni maggiori per i protagonisti delle interazioni, infatti, è di presentarsi agli altri utenti come persone convincenti, carismatiche, che godono di una reputazione condivisa dal senso comune. Questa presentazione di se stessi avviene in modo non del tutto dissimile rispetto a quanto accadrebbe nella realtà “naturale”, con la sola differenza che gli attori sociali della rete metteranno in atto una serie di tecniche atte a rafforzare il proprio profilo e a renderlo più convincente.

Ciò che avviene su Facebook è un esempio che mette in luce perfettamente il fenomeno. Facebook è il secondo sito e il primo social network più visitato, e il numero dei suoi utenti attivi ha superato i cinquecento milioni in tutto il mondo. La pagina di iscrizione a Facebook non è particolarmente invitante perché piuttosto scarna, ma oltrepassata questa “anticamera”, ogni utente avrà accesso ad una pagina personale, che potrà riempire liberamente a proprio piacimento: foto e dati personali, un box dedicato agli amici, un mini-feed, ovvero una bacheca che riproduce la cronologia delle azioni che si compiono in Facebook, e su cui appaiono i messaggi pubblici o privati inviati dalla rete dei propri contatti. Inoltre, selezionando il link del profilo, si accederà alla compilazione di un’ulteriore serie di informazioni personali di base (nome, cognome, sesso, data e luogo di nascita) e in seguito ad altre ancora, molto più dettagliate, riguardanti lo stile di vita condotto, gli interessi personali, le foto pubblicate. Praticamente, una “istantanea” della propria “narrazione del Sé”.

Una volta preparato a dovere il retroscena del proprio profilo, che apparirà ricco di informazioni personali, si potranno cominciare a cercare vecchi amici o ad aggiungere nuove conoscenze alla personale rete di contatti. Questo community aggregator non solo ha permesso agli utenti di costruire un network di relazioni in cui sono loro stessi i protagonisti delle interazioni, ma ha anche dato la possibilità a milioni di persone di attivare una serie di risorse espressive mirate a fornire una precisa immagine di se stessi. Lasciare intravedere solo alcuni aspetti del proprio Sé può aiutare alcuni soggetti a gestire le interazioni con gli altri navigatori in modo più sicuro, più riuscito, più consapevole rispetto a quanto si farebbe in un’interazione faccia a faccia.

La vita in rete, in Facebook come in altri social network di comune utilizzo quali Myspace, Messenger, Friendster, Netlog, inserendosi in modo sinergico nelle attività della nostra quotidianità, contribuisce ad influenzare in modo determinante il processo di costruzione identitaria. L’identità online sembra non essere altro che la ricerca della migliore gestione della propria identità reale, che a volte cerca di rasentare la perfezione. I navigatori della rete sono spesso spinti alla ricerca di un’identità perfetta, di una vita invidiabile, della libertà assoluta di poter scegliere come poter essere e come mostrarsi agli altri: Second Life sembra permettere tutto questo.

Second Life, diversamente da Facebook, è un gioco di simulazione in cui ogni membro partecipa ad un mondo virtuale ed in cui ad ognuno viene assegnato un avatar che, nel gergo di Internet, costituisce la rappresentazione che ognuno sceglie di se stesso da mostrare agli altri. La particolarità del mondo di Second Life risiede, in primo luogo, nel fatto che il gioco lascia la massima libertà agli utenti di usufruire dei diritti d’autore sugli oggetti che essi stessi creano; in secondo luogo nella costante rimozione dal mondo virtuale di morte, malattia e bruttezza fisica: avendo la possibilità di scegliere come essere, nessun membro si costruirà un avatar brutto o magari affetto da qualche tipo di patologia, ma piuttosto si ricreerà in un corpo perfetto. Per il resto, anche le attività svolte in questo gioco di simulazione non sembrano essere particolarmente distanti da quelle svolte nel mondo reale: come su Facebook, si chiacchiera, si interagisce, ci si crea nuovi amici, si condividono interessi, si cerca l’anima gemella: niente, insomma, che non accada anche nella realtà personale della vita quotidiana. Ecco perché si comincia a considerare l’assunto secondo il quale i giochi di simulazione e la realtà non sembrino discostarsi poi così tanto. I giochi di simulazione, infatti, non sono ritenuti più esclusivamente oggetti di cui l’individuo si serve per considerare il mondo reale, ma vengono guardati anche come un invito a riflettere su come il mondo reale si avvicini sempre di più ad un gioco di simulazione (Pecchinenda, 2008): a partire dalla diffusione dell’utilizzo dei videogiochi e in seguito dei nuovi media elettronici, la maggior parte dei giochi si ispira sempre di più alla realtà della vita quotidiana.

Rovesciando l’opinione dominante, l’autrice di Vite mediate sostiene, come molti studiosi prima di lei hanno fatto, che non esisterebbe una distinzione così netta tra vita online e vita offline, ma che le due invece influenzano e integrano reciprocamente il bagaglio sia relazionale che identitario della vita di ogni individuo. Infatti, Internet riscopre la valenza della conversazione e delle interazioni e offre la possibilità agli utenti di interagire come vogliono in uno spazio che l’autrice definisce come la “sfera pubblica della comunicazione”. L’utilizzo della Rete ha una dimensione anche pubblica e sociale: oggi rappresenta un nuovo mezzo per la realizzazione della democrazia grazie alla comunicazione bidirezionale e alla partecipazione attiva dei cittadini alla vita pubblica. Questo nuovo tipo di comunicazione dà luogo a nuovi e originali progetti di vita auto-determinati, a culture alternative che propongono valori quali la solidarietà, la compassione, la sostenibilità ambientale e sociale, realizzate attraverso campagne di informazione, iniziative di protesta, organizzazioni sociali di svariata natura. Una proliferazione di iniziative e un insorgere di nuovi soggetti che si pongono sempre in bilico tra critica dell’esistente più o meno genuina e rischio di manipolazione in chiave di marketing. Tutto è sotto l’ambiguo segno del prosumer.

In definitiva, attraverso questo strumento tecnologico, la società assume una nuova forma, quella della rete, in cui gli individui non sono più semplici spettatori, ma si sentono in grado di riuscire a partecipare, a modificare e ad imporre le regole sociali come vere e proprie organizzazioni: i nuovi media, e la rete in particolare, si configurano sempre di più come uno spazio pubblico e condiviso in cui gli individui non solo interagiscono, ma danno voce alla loro creatività, riuscendo a produrre un nuovo tipo di immaginario sociale. Nella società in rete, la cultura, la politica, l’economia è per la maggior parte incorporata nel processo di comunicazione; le idee, i progetti possono essere generati da diverse fonti rispetto allo specifico interesse, in cui vige un totale principio di comunicazione orizzontale, libera, un vero e proprio principio di libertà di espressione globale.

 


 

LETTURE

× Castells M., Comunicazione e potere, Università Bocconi editore, Milano, 2009.

× Codeluppi V., Il biocapitalismo. Verso lo sfruttamento integrale di corpi, cervelli ed emozioni, Bollati Boringhieri, Torino, 2008.

× Pecchinenda G., Homunculus. Sociologia dell’identità e della narrazione, Liguori, Napoli, 2008.

× Toffler A., La terza ondata. Il tramonto dell’era industriale e la nascita di una nuova civiltà, Sperling & Kupfer, Milano, 1987.