Loredana e il nano Hans, le reincarnazioni del trash di Andrea Cirillo

 


Queste riflessioni sui Freaks, ci proiettano direttamente nel cinema Trash, quel filone di cinema italiano che meglio ha mutuato la lezione di contro-linguaggio di Browning, anche se incatenato nella logica del cinema-industria che ne ha limitato la potenza.

Definire il Trash non è impresa facile: questo genere ha limiti molto labili (ammesso che li abbia) ed è facile constatare che, come un vero virus sovversivo, passa dal cinema alla televisione, dalla pittura alla letteratura con una facilità estrema, proprio perché non è ingabbiabile come altri generi.

Quello che però ci interessa è il Trash che ha invaso il cinema negli anni Settanta e Ottanta del 900, quello che praticamente da solo ha mantenuto in vita le sale italiane, quello che delle sue molteplici caratteristiche ha sfruttato di più il corpo come linguaggio. Il Trash ha soddisfatto la voglia di voyerismo dell’uomo medio di quegli anni, sempre a metà tra le vecchie tradizioni consolidate e la riforma giovanile e tecnologica, che voleva vedere senza farsi vedere, che voleva protestare ma senza alzare troppo la voce. E così che il Trash diviene ai nostri occhi, così come i Freaks di Browning, un contro-linguaggio, che ha appoggiato appieno la protesta sessantottina (nata da questa in un ciclo che si auto riproduce) ed ha usato il corpo “particolare” per creare quell’impatto diretto sullo spettatore (avido di immagini), costretto a non poter inquinare o distorcere il messaggio a proprio piacere.

Portabandiera di questo processo è sicuramente il regista Nando Cicero. Quest’ultimo si può ben dire il capostipite di un sottogenere del trash, i film “militareschi”: pellicole basate sulla vita militare svolta da improbabili soldati atti più a divertirsi e sfogare i loro istinti che a servire diligentemente la patria. Questa sottocategoria meglio si addice al nostro discorso in quanto è quella che più ha lasciato parlare il corpo irregolare rispetto al contesto. Infatti, in un ambito che predilige corpi avvenenti, atletici, che esprimono sicurezza e forza nell’esercito, l’aspetto flaccido, basso e sovente ottuso dei militari ciceriani, lascia subito capire a chi è rivolto il messaggio trasmesso.

Non vi pare una esplicita protesta (anche sovversiva) verso la costrizione allo svolgimento della leva obbligatoria? E di conseguenza far parlare il corpo in questo modo non è forse fare contro-linguaggio? Se è così allora è dimostrato che il Trash risponde appieno all’uso del linguaggio del corpo di cui stiamo parlando, e ci aiuta a capirlo meglio.

A questo punto descrivere le linee guida di questi film può essere d'aiuto. Le gag che qui scaturiscono sono dei veri e propri inni al corpo deforme, una galleria di amenità anatomiche naturali, che vanno dai rumori del corpo alle malformazioni congenite. La formula adottata è disarmante nella sua semplicità: costruire gag da avanspettacolo, vere e proprie barzellette animate, sfruttando l’inesauribile serbatoio di storielle e freddure sul mondo militare.

In quest’ambito “militarizzato” si tende a portare alle estreme conseguenze il sentimento di frustrazione che affiora prepotente nel maschio italiano “medio”, ed in queste pellicole possiamo anche ravvisare una occulta denuncia verso un sistema di reclutamento che creava, ed ancora crea, numerosi malcontenti. L’idea è quella di sfuggire ai rapaci ed affilati artigli del padre punitivo di migliaia di ragazzi: il Ministero della Difesa.

È così che Cicero crea una galleria di personaggi assurdi nell’aspetto fisico e nell’abbigliamento: si parte dal reclutatore (Renzo Ozzano, con il suo baffone inconfondibile) agghindato come un emissario tedesco motorizzato della seconda guerra mondiale, per poi passare alla visione della visita militare che dà l’idea di raffigurare un ipotetico imbarco di una sgangheratissima Arca di Noè, con esplosioni di cellulite e di tante altre amenità fisiche.

Qui come altrove, Cicero mette in scena la bruttezza e l’obesità come clamoroso contraltare della irraggiungibile procacità delle varie protagoniste. Il regista tende ad esaltare l’estetica del grossolano e si diverte a spiazzare lo spettatore con trovate di esilarante ripugnanza, come quella di truccare Jimmy il Fenomeno Origine Soffrano, la più famosa spalla del trash insieme a Bombolo – noto per la sua “stranezza” fisica, addirittura da suora, intento a svolgere le pulizie in una camera dell’ospedale militare. La presenza continua di comparse fisicamente emblematiche contribuisce a consolidare l’idea secondo cui non si può definire questo filone “minore”, ma tutt’al più minorato.

Cicero ama il paradosso accoppiato alla sudiceria e ce lo mostra in maniera sfrontata, come quando nel film il famoso asmatico Nino Terzo gratta e pialla le meno nobili estremità di Alvaro Vitali – altro fenomeno di fisicità – per fargli perdere quei tre millimetri necessari per essere riformato. Sull’altro piatto della bilancia, però, Cicero colloca la bellezza folgorante e debordante di Edwige Fenech. Il fascino e la classe di quest’ultima sono l’ennesima conferma del debole per l’assurdo di Cicero: viene spontaneo chiedersi come può recitare una donna così bella in un film così pieno di uomini grassi, brutti e volgari? La Fenech interpreta Eva Marini, personaggio che diventerà famoso per il genere, portavoce di assurde rivendicazioni femministe, decisa comunque a combattere le convenzioni di una società maschilista ed a sfidare gli uomini sul loro stesso terreno naturale. La povera Eva è però destinata a soccombere al richiamo carnale, e dimentica spesso le sue velleità ideologiche, come se il regista criticasse apertamente le rivendicazioni femministe degli anni Settanta.

 

 

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