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© quadernidaltritempi.eu no. 26 - 2010

 
Maradona il divin briccone /
di Luca Bifulco
EL FAUST DE ORO

palloneNon basta essere verosimilmente il più talentuoso giocatore che abbia mai partecipato ai campionati professionistici per diventare l’icona più fervida della storia del calcio, per radicarsi nella memoria collettiva in qualità di emblema del sublime calcistico. È infatti necessario un impianto mitico, c’è bisogno insomma che la propria storia personale sia iscritta nelle cornici significative e nutrienti di narrazioni esemplari, che ripercorra i segni e le tracce di quelle radici mitiche con cui si dà senso alla natura, agli slanci, alle contraddizioni delle cose profane.
Che Diego Armando Maradona sia riconosciuto dalle moltitudini come il miglior calciatore di sempre è ormai fatto acclarato. Eppure la sua figura ha ampiamente travalicato i limiti del semplice e terreno reame calcistico. Spesso si ammanta, in pratica, di un’aura speciale: molteplici rappresentazioni collettive lo dipingono come una vera e propria entità suprema che governa le traiettorie di un palla di cuoio plasmandole in funzione della propria volontà e della propria capacità creatrice. Insomma, un’iconografia sovrumana, simil divina, lo accompagna sovente. Nondimeno la sua essenza è anche ricca di inquietudine e di contraddizione. Gli elementi distruttivi e quelli creativi si intrecciano e si animano vicendevolmente senza sosta. L’impeto, la volontà, la caduta, la colpa, la redenzione compongono la sua drammaturgia alternandosi di continuo. Possiamo ravvisarvi un modello mitico comprensivo? Ebbene – riflettendoci – Maradona, con la sua indole, le sue gesta nello spazio sacro del campo di calcio e la sua biografia esterna ad esso, sembra incorporare la fecondità del modello faustiano, pare riproporne i lineamenti e farsi in qualche misura sua trasposizione. Sì, Maradona è un Faust dei nostri tempi, ed è per questo che il suo profilo risulta tanto accattivante e tanto capace di accendere l’immaginazione condivisa. 
Il nucleo centrale della storia del Faust, dall’originario personaggio cinquecentesco del Dottor Johann Georg Faustus alle trasposizioni – tra gli altri – di Christopher Marlowe, Johann Wolfgang von Goethe e Thomas Mann, è piuttosto noto. È dunque poco utile ripercorrere tutte le vicende e le variazioni tematiche dei differenti rifacimenti. Allo stesso modo, è per noi poco fruttuoso sviscerare le pur rilevanti trame latenti alle singole versioni del mito, come – a titolo esemplificativo – il goethiano rapporto con la moderna società urbano-industriale o la correlazione allegorica con la follia nazionalsocialista nel Doctor Faustus di Mann. Tutte caratteristiche, detto per inciso, che fanno di questa storia esemplare una chiara raffigurazione della natura della modernità. Tuttavia, per i fini di questa nostra breve riflessione sull’ineguagliabile calciatore argentino e sul portato immaginario che lo accompagna, è sufficiente accennare all’elemento unificante di questi intrecci narrativi: il patto col diavolo, stipulato con l’intento – a seconda delle varie rielaborazioni – di ottenere la conoscenza assoluta, di dissetare la volontà di creazione, di raggiungere l’apice dell’estro artistico.
Allo stesso modo, per comprendere il fascino e l’impronta mitica di Maradona ci interessano, piuttosto, alcuni tra i principi fondamentali, tra gli argomenti per così dire quintessenziali del Faust, che sono pressoché costanti nelle sue differenti elaborazioni. Sono questi aspetti che contribuiscono decisamente a plasmare in maniera analoga l’icona del pibe de oro, tratteggiando la forza e l’impatto della sua rappresentazione nella coscienza collettiva. Se poi diamo uno sguardo alla versione di Mann, ci accorgiamo, in più, di una declinazione specifica del mito capace di fornirci un ulteriore sostegno, particolarmente fecondo, in virtù di uno dei significati più rilevanti che essa ci propone: il protagonista del romanzo, il geniale compositore Adrian Leverkühn, simboleggia tra le altre cose la componente demoniaca che accompagna drammaticamente, quasi in maniera inscindibile, il genio artistico. Tanto da portare con sé, come contraltare irrinunciabile alla propria natura, il peccato e la disperazione. La genialità, per farla breve, ha in sé un lato oscuro, tenebroso, mefistofelico in quanto contrario all’umanità ordinaria, da cui non può distaccarsi.

A pensarci bene, non è questa l’essenza della figura maradoniana e della sua veemente suggestione? Come il Faust, il “personaggio” Maradona appare animato dallo Streben, dall’ambizione, dall’aspirazione ad elaborare e dominare il mondo, intendendo con esso l’universo peculiare della partita di calcio. Almeno così l’immaginario popolare lo raffigura. All’interno del campo di gioco egli pare trascinare il suo potere oltre i confini umani, agisce come un assoluto, portavoce di una vera e propria energia trasformatrice (Kaiser, 1998) che mette in crisi l’esistente proponendo universi possibili soggettivi. Questa implicita linea interpretativa, questo stilema narrativo del tutto faustiano rappresenta il fondamento immaginario con cui, ad esempio, per molti è possibile afferrare intuitivamente un campionato mondiale vinto con una nazionale non proprio irresistibile, presa sulle spalle e portata – quasi da solo – verso il trionfo. Il fuoriclasse argentino viene allora dipinto come vibrante di potenza, di volontà e di autorealizzazione. Coniuga volere e dovere ed è sorretto da un’incessante azione di dominio, sia pur “calcistico”. Egli crea un ordine nuovo che plasma la partita di calcio, la governa. Si propone, insomma, come soprannaturale risolutore e trasformatore. Trabocca di onnipotenza apparente, almeno è così che l’iconografia a lui dedicata pare rappresentarlo.
Allo stesso modo, l’indole faustiana del personaggio maradoniano viene immaginata come manipolatrice della natura. Ad esempio, come spiegarsi altrimenti l’inverosimile rete del secolo contro l’Inghilterra ai Mondiali del 1986? Creazione pura che produce un novum prima non concepibile. Così la si è raccontata negli anni, e questa ormai è la percezione condivisa che – lo ripetiamo – non può che poggiare sui mitemi ormai consolidati del “demoniaco-faustiano”.
Oppure, a maggior ragione, consideriamo il famoso goal su punizione contro la Juventus del 3 novembre 1985. In questo caso, la narrativa mediale e l’immaginario condiviso intuiscono uno sconvolgimento delle leggi naturali, e così dipingono una simile prodezza. Ebbene: punizione di seconda da battere nell’area di rigore, barriera a quattro o forse cinque metri, porta a non più di una decina di metri. Pura esecuzione dell’impossibile! Traiettoria difficile da spiegare con le leggi della fisica e palla in rete. Solo giustificazioni lontane dall’umano ordinario possono offrire racconti plausibili. Ed è questa la narrazione popolare offerta e l’interpretazione accettabile ai più. Gesta degne di un orientamento congruo alla patafisica, quello di chi crea soluzioni del tutto immaginarie e innovative a problemi per così dire tangibili.
Eppure, lo slancio produttivo non può che attecchire nell’inquietudine. L’aspirazione ad andare oltre i confini, a ricercare assoluti – come il personaggio Maradona fa nel campo da calcio – non può che generare insoddisfazione permanente, per la sua connaturata ed irrefrenabile attività. E, al contempo, la tensione ad espandersi incessantemente, a dare il proprio ordine alle cose, a governare gli eventi non può rimanere impunita agli occhi dell’uomo. L’impulso alla creazione, la genialità assoluta sono realtà colpevoli, vincolate per loro natura all’errore. Questi sono i significati faustiani con cui l’Occidente interpreta la condizione dell’esistente. E questo è il contraltare tenebroso della figura di Maradona. Il suo sforzo non può che incorrere in conseguenze estreme. È il lato demoniaco del genio.
La sua inquietudine fuori dal campo di calcio, i suoi problemi esistenziali sono l’altra faccia del suo spirito faustiano e completano irrimediabilmente la sua figura. D’altronde, in qualche misura, non potrebbe essere altrimenti. Non è il caso di ricordare al lettore che siamo ben lungi dall’intavolare sterili riflessioni psicoanalitiche, ma che il nostro intento è – lo ribadiamo –  quello di comprendere la forza dell’iconografia maradoniana ponendola nella sua specularità al modello faustiano. Ebbene, la sua indole geniale non può che portarlo, come il Faust goethiano o il Leverkühn di Mann, a disdegnare la “cura”. Il suo impeto irrefrenabile impone che egli ignori ogni preoccupazione per ciò che può capitargli, sul terreno di gioco, dove il suo spirito abbonda di generosità agonistica ed estetica, e nel mondo della vita quotidiana, dove gli risulta difficoltoso frenare le sue inclinazioni e preoccuparsi di preservare la salute. L’ebbrezza della sua azione non può che prorompere infinitamente e trasformarsi in auto-minaccia dando vita a ripercussioni finanche nefaste. L’abisso, la tragedia sono connaturati al personaggio faustiano, e lo rendono ricco di significati e di attrattiva. Il genio assoluto pone nell’assoluta originalità una sfida a Dio, invade uno spazio interdetto agli umani e lambisce la colpa. È questo ciò che forse si imputa a figure che rinverdiscono il mito prometeico. Aspirazione, genialità e colpa non possono essere disgiunte nelle narrazioni. È la natura contraddittoria dell’umanità che lo esige. Ed è questa la ricchezza che la figura di Maradona implica e con cui viene interpretata nell’immaginario. Non è possibile suggerire deviazioni.
Per concludere, rimane controversa la questione della redenzione, che peraltro, escludendo soprattutto la versione di Goethe, non è elemento centrale nelle più rilevanti trasposizioni del Faust. In effetti, la vita di Maradona è ricca di redenzioni più o meno temporanee. Ma la ricerca irrequieta, che ancora lo anima, non può che esporre continuamente l’uomo all’errore potenziale. L’attimo di piena realizzazione, di assoluto perfezionamento, l’istante pieno non sembrano ancora raggiunti. Eppure, a ben pensarci, possiamo ravvisare una sorta di redenzione, una pienezza assoluta dell’attimo nell’eternità dei momenti di perfezione calcistica che ci ha donato e che rimangono tracce indelebili nella storia del calcio. Di fronte al ricordo della compiutezza estrema dell’atto calcistico maradoniano, anche noi siamo portati quasi ad implorare, come il Faust di Goethe: “Attimo, fermati! Sei così bello!”.

 


 

:: letture ::

— Balló J., Pérez X., La llavor immortal. Els arguments universals en el cinema, 1995, trad. it. Miti del cinema. Semi immortali, Ipermedium libri, Napoli, 1999.

— Goethe J. W. von, Faust – Eine tragödie; Urfaust, 1832, trad. it. Faust e Urfaust, Voll. I e II, Feltrinelli, Milano, 1999.

— Kaiser G., Ist der Mensch noch zu retten?, 1994, trad. it. Faust o il destino della modernità, Guerini e Associati, Milano, 1998.

— Marshall B., All that is color:Melts into Air. The Experience of Modernity, 1982, trad. it. L’esperienza della modernità, il Mulino, Bologna, 1985.

— Mann T., Doktor Faustus. Das Lebens des deutschen Tonsetzers Adrian Leverkühn erzählt von einem Freunde, 1947, trad it. Doctor Faustus. La vita del compositore tedesco Adrian Leverkühn narrata da un amico, Mondadori, Milano 1949.

— Neher A., Faust et le Maharal de Prague, 1987, trad. it. Faust e il Golem. Realtà e mito del Doktor Johannes Faustus e del Maharal di Praga, La Giuntina, Firenze 2005.

— Watt I., Myths of Modern Individualism. Faust, Don Quixote, Don Juan, Robinson Crusoe, 1996, trad. it. Miti dell’individualismo moderno. Faust, don Chisciotte, don Giovanni, Robinson Crusoe, Donzelli, Roma, 1998.

 

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