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letture /
di Ivano Scotti
Politica e rifiuti connessioni non umane
nella governance dell'ambiente

La presunzione degli uomini – e la disattenzione alle conseguenze imprevedibili delle loro azioni – è cosa risaputa (Tenner, 2001), e a riprova di questa verità, nata forse nel senso comune ma nobilitata dalla riflessione sociologica e filosofica, ne dà un esempio “locale” Dario Minervini, nel volume dal titolo Politica e rifiuti. Connessioni socio-tecniche nella governance dell'ambiente (2010).  Nel libro è narrata la vicenda decisionale della localizzazione e messa in funzione dell'impianto di termodistruzione dei rifiuti “Fenice” nella Piana di San Nicola di Melfi in Basilicata. L'evento è analizzato utilizzando il costrutto teorico dell'Actor-Network Theory (ANT), approccio legato ai nomi di Bruno Latour (2005) e Michel Callon (1986) e qui utilizzato per comprendere ed approfondire il tema delle politiche ambientali attraverso lo studio di caso.

Il testo di Minervini, che prende ad esempio di studio “Fenice”, affronta quindi un tema che non è solo più “caso”, evento passato, ma società viva che si muove nelle maglie di una apparente immobilità. L'autore studia l'attualissimo tema della gestione delle problematiche ambientali attraverso il confronto delle principali modalità con cui le scienze sociali hanno trattato il tema, affrontando il problema delle policy pubbliche e di come la questione ambientale appartenga oggi profondamente all'ambito di gestione ed organizzazione della cosa pubblica. L'autore, tuttavia, non scrive un manuale in cui si confrontano solo posizioni teoriche e paradigmi. Il libro è insieme sintesi ed esposizione di una chiara prospettiva teorica che ci consegna una chiave di lettura interessante di un caso concreto. Un lavoro utile per chi si oppone ma anche per chi gestisce.

Minervini, infatti, nel suo volume fa una scelta di campo precisa, quella di considerare la prospettiva sociologica sull'ambiente come analisi della co-influenza del mondo fisico e sociale (Pellizzoni, Osti, 2008) andando tuttavia ben oltre questa impostazione con l'adozione del frame teorico dell'ANT. In questo costrutto soggetti eterogenei, umani e non-umani, sono considerati come inseriti in un network di relazioni simmetriche in cui ciò che costituisce il filo conduttore dell'analisi è il coerente programma d'azione che un “attante” mette in pratica in modo situato per raggiungere pragmaticamente il proprio scopo. In questa prospettiva, cioè, non esiste un attore sociale inteso come soggetto agente intenzionale, ma attanti, cioè entità (uomini, animali, piante, cose, tecnologie, ecc.) che compiono o subiscono l'azione. Latour (1984) nota come un fatto sociale emerga dalla rete di relazioni in cui sono allineati gli interessi di diversi attanti in modo strategico per un percorso d'azione. Pasteur, ad esempio, riuscì a coinvolgere nelle sue ricerche sul bacillo del carbonchio imprese zootecniche e medici “traducendo” il problema in termini gestibili secondo le usuali pratiche di entrambi i gruppi ed ottenendo il risultato sperato.

Il bacillo, però, nel mondo sociale non pre-esiste all'esperimento in quanto tale, ma neppure è un puro artefatto. Il bacillo dell'antrace è piuttosto un ibrido o meglio, un assemblaggio (De Landa, 2006). In questa prospettiva il dualismo tra società e natura è un artificio moderno, questi sono co-costruiti. Il bacillo, ad esempio, emerge quale entità fisica attraverso il lavoro di Pasteur che lo isola, lo rende visibile e dotato di senso in un certo ambiente sociale e tecnico. Attraverso la medesima prospettiva Minervini considera i diversi attanti del caso “Fenice”, individua coalizioni, tradimenti e percorsi d'azione intrapresi nella rete di relazioni in cui emerge il potere decisionale e la forza di una coalizione sull'altra – fino all’intervento di un attante non umano, che sconvolgerà gli equilibri previsti e prestabiliti.

Aldilà dell'indubbio pregio di questo lavoro e del dibattito che potrà stimolare, la lettura del testo ha avuto l'effetto di far riemergere le varie fasi di una vicenda che a lungo è passata in secondo piano, perché esclusa dall’agenda politica nazionale, col rischio di ridurre a una questione di “cortile” una vicenda esemplare per le politiche ambientali del paese. Proprio il ricorso alla Actor-Network Theory  permette di ricordare quando il vento candelese – il vento proveniente dalla zona di Candela, comune in provincia di Foggia – divenne alleato di coloro che si battevano contro l'inceneritore. Questo vento, da sempre benigno per le popolazioni circostanti, non avrebbe consentito, infatti, una omogenea distribuzione della ricaduta dei fumi dal camino dell'inceneritore disperdendo gli inquinanti su una vasta area come avrebbero voluto i tecnici del gruppo Fiat, promotori dell'opera, ma avrebbe concentrato il suo impatto proprio sulla cittadina di Lavello, a pochi chilometri dall'area. Come in una prova sul campo delle previsioni apocalittiche di James G. Ballard in Vento dal nulla (1986), in cui l’apparire di un vento violentissimo e continuo che spazza l’intero pianeta ristruttura completamente la società umana, i comportamenti, le identità, la presenza e l'azione del “candelese” ebbe un ruolo tutt'altro che secondario negli sviluppi successivi della vicenda.

Anche se non esattamente nei termini descritti dallo scrittore inglese, l’entrata in gioco di questo “attante”, una forza naturale, non un agente umano, ebbe un effetto catastrofico, sconquassando le consuete logiche politiche, con parte dell'ambientalismo divenuto favorevole all'incenerimento, i locali circoli dei partiti del nascente centro-destra schierati decisamente contro questa tecnologia, l'ambiguità del sindacato, preoccupato di mantenere insieme questione ambientale e lavoro. Fino alla manifestazione contro “Fenice” che coinvolse tutta la cittadina di Lavello ed i paesi contermini della provincia di Potenza, con i trattori dei contadini del luogo che percorrevano la strada che conduceva al sito in cui era già a buon punto la costruzione dell'impianto.

L'impianto Fenice era infatti strettamente legato a Fiat, che in quel punto a Nord della Basilicata, area baricentrica del Mezzogiorno continentale, aveva deciso di costruire il suo più importante stabilimento automobilistico con annessa tecnologia di smaltimento e valorizzazione dei suoi scarti.

Dal volume di Minervini riemergono le voci dei soggetti in campo, delle forze in gioco (funzionari e politici regionali e nazionali, esperti della Fiat, del Comitato “No a Fenice”) gli scioperi e gli incontri realizzati tra gli esperti dell'Università della Basilicata ed i tecnici Fiat contrapposti ad un sapere esperto altro, della controparte, del movimento “No a Fenice” che riuscì a mobilitare persino Paul Connet dell'Università Lawrence in Usa. Come riemergono le tante informazioni tecniche e scientifiche che animavano i discorsi di tutti, i tanti scontri verbali sulle ricadute economiche e politiche se avessero vinto i “no” oppure i “si”. Una effervescenza sociale paragonabile solo alla contestazione di Scanzano Jonico, dove alcuni anni dopo si sarebbe voluto realizzare un sito di stoccaggio nazionale di scorie nucleari.

Infine, pian piano, dopo quasi due lustri di incontri, riunioni, lotte fatte di carte bollate, ricorsi, articoli di giornale ecc., l'inceneritore Fenice vinse la battaglia, riuscì ad essere messo in piedi ed a condizionare la gestione dei rifiuti (industriali ed urbani) particolarmente nella provincia potentina. Oggi, dopo circa dieci anni di funzionamento, i giornali locali riportano notizie inquietanti che confermano i ricordi sui pericoli che si possono correre con la presenza di questa tecnologia. Non solo il piano provinciale dei rifiuti è in estremo ritardo, mettendo così in forse l'intero ciclo integrato dei rifiuti che avrebbe dovuto garantire anche il corretto ed economico funzionamento di Fenice, ma risulta che almeno da settembre 2007 i rilevamenti delle acque di falda indicano un forte inquinamento di metalli pesanti nei pozzi di controllo dell'inceneritore. Ad ascoltare le testimonianze dei locali, la situazione è inquietante: il proprietario dell'impianto, attualmente Electricité de France, invia di continuo documentazione tecnica poco comprensibile alle autorità competenti; le istituzioni, peraltro, sono completamente assenti sui controlli. L'Arpab, l'agenzia regionale che avrebbe dovuto controllare l'impianto, sino a poco tempo fa versava in stato comatoso – così dichiarò il nuovo direttore dell'Ente alla stampa. Fenice è quindi una vertenza ambientale ufficialmente chiusa, ma che potrebbe esplodere nuovamente se l'insieme della coalizione che ne permise la realizzazione fosse nuovamente messa in discussione. O se intervenisse un qualche altro agente non-umano a rompere di nuovo i precari equilibri attuali, avvicinando di più l’iperbole proposta da James Ballard agli eventi reali in cui i gruppi sociali sono coinvolti.

 

 


 

:: letture ::

Ballard J. G., The Wind from Nowhere, 1962, trad. it. Il vento dal nulla, Mondadori, Milano, 1986.

Callon M., Some Elements of a Sociology of Translation: Domestication of the Scallops and the Fishermen of St Brieuc Bay, in Law J. (ed.), Power, Action and Belief: A New Sociology of Knowledge, Routledge & Kegan Paul, London, 1986.

De Landa M., A New Philosophy of Society. Assemblage Theory and Social Complexity, Continuum, New York, 2006.

Latour B., Reassembling the Social: An Introduction to Actor-Network Theory, Oxford University Press, New York, 2005.

Latour B., Les microbes. Guerre et paix, Métailié, Paris, 1984.

Latour B., Pandora's Hope, Harvard University Press, London, 1999.

Pellizzoni L., Osti G., Sociologia dell'ambiente, il Mulino, Bologna, (2008).

Tenner E. (1996), Why Things Bite Back, trad. it. Perché le cose si ribellano, Rizzoli, Milano, 2001.