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di Claudio Bonomi
Caravan,
i dotti campagnoli del Kent

Caravan, ovvero la faccia buona e commercialmente presentabile del Canterbury Sound. Ovviamente, i cattivi o meglio “i duri e puri” sono, più o meno, tutti gli altri. A cominciare dagli ex compagni dei Caravan nei Wilde Flowers, gruppo capostipite del family tree canterburiano, come Kevin Ayers o Robert Wyatt. Per non parlare di Daevid Allen, altro transfuga dalla cittadina del Kent, che si guadagna sin da subito i galloni di alternativo e di musicista realmente “progressivo”. Così se è vero che l’identità canterburiana si forma tra il 1968 e il 1970 ad opera essenzialmente di Soft Machine e Caravan, è altresì innegabile che questi ultimi vengono ben presto relegati dalla critica colta a una “macchietta” pop che, nonostante la presenza di musicisti di talento e idee, non riesce ad evadere dal caramelloso mondo “grigio e rosa” fatto di canzoncine, ritornelli perfettamente intonati, tanto organo Hammond e timide fughe in avanti. Ma forse c’è di più. Tanto che Al Aprile e Luca Mayer nel loro illuminato saggio La musica rock-progressiva europea, uscito per Gammalibri nel 1980 e recentemente ristampato da Calypso, inquadrano l’esordio dei Caravan nel gennaio 1968 in un contesto cultural-musicale in cui non ci sono “concerti all’UFO o pruderie d’avanguardia”, ma “tanta buona volontà, capacità di concentrazione e olio di gomito”. E aggiungono: “La differenza fondamentale tra il primo gigionismo cocainomane dei primi Soft Machine e la sana professionalità Caravan si riflette anche nella musica: se nei primi tentativi Wyatt e Allen lavorano su trame armoniche da “easy listening”, dilatandone  spazi e significati, Pye Hastings e amici partono quasi ex novo, utilizzando tempi strani (5/4; 6/8) e progressioni armoniche mutuate dalla pratica jazzistica, ma abbondantemente utilizzate da, anche per dire, Frank Sinatra o Barbara Streisand”. Insomma, le idee giuste ci sono fin da subito, sono più chiare di quelle dei “cugini” della morbida macchina. Questa, dunque, la premessa per introdurre l’ennesima occasione che offre l’industria discografica per rileggere l’epopea carovaniera. La chance, questa volta, è un lussuoso cofanetto The World is Yours – The Anthology 1968-1976, che con 4 cd ripercorre quella che è senza dubbio il repertorio migliore del gruppo: dagli esordi, con l’omonimo album uscito nel 1968, fino alle ultime tracce di lucidità, rintracciabili a metà degli anni Settanta nel mediocre Blind Dog At St. Dunstans (1976), prima della definitiva deriva “regressive”, ad eccezione forse del nostalgico Back To Front, uscito nel 1982, che vede la ricostituzione del quartetto originale – Hastings, Coughlan e i cugini Sinclair – e si distingue per una rinnovata, anche se illusoria, freschezza. Ebbene, riascoltando il repertorio classico, ci si sente un po’ in colpa nell’aver liquidato Hastings e soci come professionisti sì rigorosi, ma un po’ faciloni e a caccia soprattutto di una consacrazione commerciale (che, invece, arrivò per gruppi certamente sopravvalutati come Emerson, Lake & Palmer, o Genesis). Le melodie di Place Of My Own o di Love Song With Flute, tratte dall’album di debutto prodotto da Tony Cox, resistono al tempo e sono la dimostrazione di una psichedelia leggera, ma intrisa di sagge partiture che anticipano il “bel suono” di Canterbury che trova la sua piena legittimazione nelle opere successive e in particolare nelle suite For Richard, tratta da If I Could Do It All Over Again, I’d Do All Over You (1970), e Nine Feet Underground, con protagonista assoluto il fuzz organ di Dave Sinclair, dal leggendario terzo album In The Land Of Grey And Pink (1971). Non mancano in questo bouquet alcune perle come Hello, Hello (versione demo), un altro tempo dispari, con Richard Sinclair impegnato a cantare un melodia asimmetrica che racconta la storia di un uomo che taglia una siepe e culmina con il suono concreto di un paio di forbici in perfetta sintonia con la ritmica altalenante del brano. O la prima esecuzione quasi unplugged di Love in Your Eye da Waterloo Lily: registrazione questa sì davvero inedita all’interno di un’antologia avara di reali novità. Si tratta di una versione groovy e blueseggiante con protagonista il piano elettrico di Steve Miller (subentrato nel frattempo alle tastiere dopo l’abbandono di David Sinclair) che differisce non di poco da quella “sinfonica” ufficiale e che la dice lunga sulle direzioni musicali che il gruppo avrebbe potuto prendere, magari con l’ingresso in formazione di altri “irregolari” canterburiani, allora solo collaboratori, del calibro di Phil Miller o di Lol Coxhill. Un’idea che diventa ancora più ronzante ascoltando l’altra effettiva rarità del “pacchetto”: l’inedita Any Advance On Carpet, che include la traccia sinclariana Bossa Nochance che magicamente riapparirà nell’omonimo album di debutto degli Hatfield And The North. Si tratta di composizioni che esprimono l’anima di un gruppo che almeno fino al 1972, anno di uscita di Waterloo Lily, sta ancora in bilico tra il pop britannico più raffinato e l’alveo del rock colto, quello per intendersi, dei cugini della morbida macchina e dei loro seguaci. Non è forse un caso che da parte dei membri storici della formazione, ad eccezione del batterista Richard Coughlan, ci sia stato a un certo punto della carriera la tentazione di fare un “salto di qualità” e di entrare artisticamente “in opposition”. Primo fra tutti il cantante-bassista Richard Sinclair che rimane l’unico membro del quartetto ad essersi costruito una carriera a sé stante dopo l’abbandono del 1971: si pensi non solo agli Hatfield, ma anche a collaborazioni di peso con Robert Wyatt (in Rock Bottom), con Hugh Hopper (in Somewhere in France), con Alan Gowen (in Before A Word Is Said), con Phil Miller e i suoi InCahoots ecc. Ma, poi, ci sono da registrare gli strani movimenti di David Sinclair che appare in End Of An Ear, sempre di Robert Wyatt e balena come una meteora nel primo omonimo album dei Matching Mole oppure di Pye Hastings che fa incredibilmente capolino nello sperimentale 1984 di Hugh Hopper. Ma, forse, è davvero inutile chiedersi cosa sarebbe successo se Hastings fosse diventato un accanito provocatore sonoro. In fondo la forza dei Caravan sta probabilmente nei loro limiti. Nel fatto, cioè, di essere stati, almeno agli inizi, un’entità profondamente radicata in un humus socio-culturale ben definito che ne ha condizionato non poco strategie e visioni. Lo spiega bene anche Aymeric Leroy nel suo ultimo libro Rock Progressif: “Alla stabilità dei Caravan nei primi tre anni di attività – dall’esordio discografico del 1968 fino al 1970, anno di If I Could Do It All Over Again, I’d Do All Over You – contribuì un condiviso modello di vita comunitario e provinciale (essi si rifiutarono ostinatamente di migrare da Canterbury per andare a vivere nella capitale) che sicuramente influenzò lo stile musicale del gruppo in cui delle canzoni pop, a volte melodiche, a volte eccentriche, coabitano con lunghe fasi strumentali che sono molto di più che delle vaghe jam”. Un’identità stilistica coltivata con rigore e con ostinazione (fino quasi all’autolesionismo) e che si è tramandata di album in album quasi senza soluzione di continuità. Certo, i Caravan non si sono mai schierati apertamente tra gli innovatori o fatto dichiarazioni d’intenti concettuali o “rivoluzionarie”. Tanto per fare un esempio possiamo citare i Gentle Giant, gruppo loro contemporaneo, che sulla copertina del loro secondo album, Acquiring The Taste (1971), scrivono: “Il nostro obiettivo è quello di superare i limiti della musica popolare contemporanea con il rischio di diventare impopolari”. Un obiettivo che, col senno di poi, possiamo dire raggiunto anche se il gruppo dei fratelli Shulman è diventato tutto meno che impopolare e oggi è adorato e glorificato sugli altari del progressive impegnato. Ma, fatti i conti, i Caravan, quattro campagnoli della “provincia” del Kent, hanno (loro sì) a differenza di altri, lasciato un segno indelebile nella musica popolare contemporanea. Alla faccia dei loro critici hanno di fatto inventato un genere e messo le basi a quella che oggi è una riconosciuta scuola musicale che raccoglie ancora oggi figli e figliastri. E scusate se è poco.

 


 

:: letture ::

Aprile A., Mayer L., La musica rock-progressiva europea, Gammalibri, Milano, 1980, Calypso, Milano, 2009.

Leroy A., Rock Progressif, Editions Le Mot et le Reste,  Marseille, 2010.

 

:: ascolti ::

Caravan, Caravan, Verve, 1969, Verve, 2002.

Caravan, If I Could Do It All Over Again, I'd Do It All Over You, 1970, Decca, Decca, 2001.

Caravan, In The Land Of Grey And Pink, Deram, 1971, Decca, 2001.

Caravan, Waterloo Lily, Deram, 1972, Decca, 2001.

Alan Gowen, Before A Word Is Said, Europa 1981, Voiceprint 1995.

Hatfield And The North, Hatfield And The North Virgin 1973, Esoteric Records, 2009.

Hatfield And The North, The Rotter’s Club, Virgin 1975, Esoteric Records, 2009.

Hugh Hopper, 1984, Cbs, 1972, Cuneiform, 1998.

Hugh Hopper, Somewhere in France, Voiceprint,1996.

Matching Mole, Matching Mole, Cbs, 1972, Sony 2001.

Robert Wyatt, Rock Bottom, Virgin 1974, Domino 2009.

Robert Wyatt, End Of An Ear, Columbia 1971, Cbs, 1999.